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VISITA AL COLLEGIO INTERNAZIONALE

«S. LORENZO DA BRINDISI» IN ROMA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

 Domenica - 24 giugno 1984

 

Carissimi confratelli dell’ordine dei Cappuccini, e voi, in particolare, sacerdoti-studenti di questo collegio internazionale!

1. Motivo di speciale compiacimento è per me l’odierna visita in questa sede, perché mi consente non soltanto di corrispondere a un invito più volte e tanto amabilmente formulato, ma di celebrare, altresì, in raccolta comunione di carità e di fede, la santissima Eucaristia proprio nel giorno al quale è stata trasferita la solennità liturgica del corpo e del sangue del Signore. Questa circostanza o, meglio, coincidenza - e felice coincidenza! - fa salire immediatamente di tono il nostro incontro e, se pur vi sono in esso - come accennerò più avanti - altri temi e motivi che lo individuano e definiscono, oggi tuttavia motivo dominante e tema centrale vuol essere, deve essere, quello eucaristico.

2. “In supremae nocte cenae recumbens cum fratribus . . .”. Ecco, il luogo e il tempo del nostro ideale appuntamento sono là, presso il Cenacolo di Gerusalemme, dove il Signore Gesù si riunì con i suoi apostoli il giorno prima della sua passione redentrice, e dove oggi anche noi, tutti noi, vogliamo portarci con la mente e col cuore per considerare, o riconsiderare, il grande evento sacramentale ed ecclesiale, che là si verificò.

Che cosa fece Gesù quella sera? Troppo noti sono i particolari - gesti e discorsi, affermazioni e raccomandazioni, moniti e insegnamenti - che risultano dall’ultima Cena, perché io debba qui distintamente ricordarli. Certo è che Gesù vi parla e agisce da protagonista, fondendo insieme antico e nuovo in un intreccio di storiche memorie e di prospettive future, in un’alternanza di emozioni sublimi e di consapevoli decisioni, la cui profondità può esser solo intravista, ma rimane e rimarrà sempre radicalmente insondabile. Gesù, il Maestro e il Signore, dà innanzitutto una lezione di umiltà ai suoi discepoli, lavando i piedi a ciascuno di essi, compreso il traditore (cf. Gv 13, 4-15). Già questo gesto o rito iniziale - vorrei osservare di sfuggita - se ha grande importanza per tutti i credenti, ha un valore del tutto singolare per i seguaci di san Francesco, quali voi siete: si direbbe che il santo, concentrando il suo sguardo amoroso sull’intera esistenza del Cristo dall’umiltà del neonato di Betlemme alla “nudità” di lui crocifisso sul Calvario, abbia voluto includervi anche questo episodio che è, a un tempo, insegnamento ed esempio di profonda umiltà, come condizione per la disponibilità verso gli altri ed espressione di spirito fraterno.

3. Ma riprendiamo il filo degli avvenimenti: dopo la lavanda dei piedi ha luogo il vero e proprio banchetto pasquale, durante il quale Gesù prende nelle sue mani il pane e il vino. Sappiamo bene quale sia il “peso” di questi gesti, perché è Gesù stesso a dircelo. Non si trattò di una semplice distribuzione di cibo; non fu, quello, uno scambio amichevole tra commensali che si passano le portate: no, qui c’è molto di più, c’è infinitamente di più. “Prendete e mangiate, (perché) questo è il mio corpo”; “prendete e bevete, (perché) questo è il sangue della nuova alleanza” (cf. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 17-20; 1 Cor 11, 23-25). La forza di queste frasi è nella loro implicanza causale: c’è tra esse un sottinteso perché, il quale come può rafforzare l’invito del Maestro a mangiare e a bere, così serve a introdurre una superiore verità, che è la realtà del corpo e del sangue del Signore. Voi - intende dire Gesù - dovete “consumare” il pane e il vino che vi distribuisco, perché in essi “sono” io stesso. Mistero di realtà, fratelli carissimi, è l’Eucaristia, quale autentico segno e sacramento del corpo e del sangue del Signore, ma è anche mistero da rinnovare, perché alla duplice affermazione, or ora ricordata, è contestuale, secondo la tradizione paolino-lucana, l’ordine esplicito di fare questo in sua memoria (cf. Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24.25).

4. Gli apostoli capirono il senso di quelle parole e il valore di quest’ordine. Il gesto di Gesù altro non era che la consegna ufficiale e - si direbbe - “l’affidamento” del suo corpo e sangue, non semplicemente perché ne prendessero spunto per una commossa commemorazione dell’amato Maestro, ma per averlo sempre vivo e presente tra loro, con loro, in loro.

Essi certamente capirono, come ci conferma non soltanto l’uso della Chiesa nascente che si soleva raccogliere “in fractione panis” (cf. At 2, 42), ma il programma altamente didattico del Signore, che a quel rito arcano li aveva preparati da tempo. È proprio ciò che leggiamo nel Vangelo di oggi, in quel brano del Discorso sul pane della vita, che il Maestro aveva tenuto a Cafarnao dopo la moltiplicazione miracolosa dei pani.

Procuratevi - aveva detto con lungimirante sapienza - un pane di qualità superiore: un pane celeste, un pane vivo. E questo pane - aveva ripetutamente affermato - sono io, e questo pane è “la mia carne per la vita del mondo”. Fin da allora era stato anticipato l’invito a mangiare e a bere in termini di un’assoluta necessità spirituale: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita, Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna . . . rimane in me e io in lui”. Insomma, la vita soprannaturale, la stessa vita come sopravvivenza alla morte fisica, il permanere in Cristo dipendono totalmente da questo cibo e questa bevanda, poiché il Maestro soggiungeva: “La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda” (cf. Gv 6, 1).

L’adempimento di tutto ciò non si fece attendere: fu esatto e puntuale secondo una linea di alta pedagogia e di rilevanza salvifica. Il Gesù del Cenacolo era colui che già aveva parlato a Cafarnao e che nella “Chiesa” della città santa dava attuazione alla promessa fatta nella “sinagoga” della cittadina lacustre.

5. Cari confratelli, io ritengo che questi pensieri, ricavati dal confronto di fondamentali testi evangelici, anche se noti, meritino permanente attenzione da parte di tutti i sacerdoti, e dunque anche di voi, sia membri della curia generalizia e dell’istituto storico dell’ordine Cappuccino, sia alunni di questo collegio internazionale, provenienti dalle più diverse province e studenti delle varie università pontificie dell’Urbe. Siamo tutti sacerdoti, e come potremmo dimenticare che il nostro sacerdozio ruota intorno a questo mistico banchetto? che esso è indissolubilmente legato all’Eucaristia in forza di un rapporto che non è solo di derivazione e di contatto, ma anche di destinazione e di funzione? Se le due realtà sacramentali dell’Eucaristia e dell’Ordine sacro sono tanto strette da combaciare geneticamente e finalisticamente, se tra esse sussiste un vincolo di straordinaria unione, come potremmo noi sacerdoti, nella concretezza della nostra vita e nella stessa diversità dei rispettivi uffici, fare a meno di considerare essenziale sempre e insopprimibile un siffatto rapporto? Nati dall’Eucaristia e abilitati a “fare” l’Eucaristia, come potremmo fare a meno di vivere di essa e per essa?

È questione di coerenza, è questione di fedeltà: fedeltà e coerenza a quel che siamo, al nostro “essere sacerdoti”!

Per questo oggi, festa del corpo e del sangue del Signore, è anche la nostra festa, e faremo bene ad approfondire e sviluppare tutti comunitariamente e ciascuno “in secreto cordis sui” le accennate riflessioni, per confermare la nostra totale, convinta, incrollabile adesione a Cristo, sommo sacerdote e artefice unico del nostro sacerdozio.

6. A misura che tale indagine sarà profonda e sincera, ne risulterà indubbiamente più chiara la visione dei problemi particolari e, magari, delle difficoltà che oggi, nel vivo di un processo di trasformazione, che sembra tutto coinvolgere e travolgere, si pongono ad ogni sacerdote, sia secolare che regolare, a ogni famiglia religiosa, all’intera comunità ecclesiale. Anche i vostri problemi, anche le inevitabili difficoltà del presente, cari membri della famiglia serafica Cappuccina, possono prender luce da una verifica che sia condotta dal punto di vista dell’Eucaristia! È, questa, un’angolatura molto favorevole: è l’angolatura dell’unità e della carità che aiuta a veder bene il nocciolo delle questioni, per distinguere l’accessorio dal principale, per elevarsi dal contingente all’essenziale. Né si pensi che sia essa una forma di evasione dalla realtà, o un modo indebito di vedere le cose, o un alienante “transfert” al piano soprannaturale. La dimensione eucaristica può e deve essere assunta come un sicuro metro di valutazione anche da voi. Un solo esempio: giustamente le nuove Costituzioni (Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini, cap. VI) del vostro ordine insistono sul dovere di condurre la vita in fraternità, per dare a tutti i livelli, dal convento locale fino alla casa generalizia, la testimonianza del genuino amore evangelico, per superare ogni forma di individualismo egoistico, per costituire secondo verità un “ordine di fratelli”. C’è forse bisogno di spiegare che la fonte primaria, donde si attinge questo spirito, è e resta la santa Eucaristia? Sia essa, pertanto, il superiore punto di riferimento nel lavoro personale e comunitario, a cui siete impegnati.

7. A me sembra che è lo stesso serafico Padre a ricordarlo, a raccomandarlo: pensate, cari Cappuccini, agli insuperati esempi di fraternità vissuta che vi ha lasciato, egli che per l’Eucaristia ebbe, più che devozione, una “passione” singolare, al punto di imporsi e di imporre ai suoi compagni la più grande riverenza verso ogni sacerdote, incontrato lungo la strada.

Con quanta commozione leggiamo nella Vita di fra Tommaso da Celano: “Ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura . . . Si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri. Infatti, essendo colmo di riverenza per questo venerando sacramento, offriva il sacrificio di tutte le sue membra e, quando riceveva l’agnello immolato, immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sempre sull’altare del suo cuore” (Thomae A Celano, Vita secunda, cap. 152). E le citazioni si potrebbero moltiplicare . . .

Umiltà, dunque, fraternità e sacrificio sono gli essenziali richiami, che vi vengono nella festa del Corpus Domini, dalla lettura congiunta della parola di Dio, della biografia del vostro santo, nonché del testo delle vigenti costituzioni.

A presidio e nutrimento di queste stesse virtù sappiate collocare la spiritualità eucaristica, incentrata su colui che è la vita e che a questo mondo è venuto, perché tutti l’abbiano e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 1, 4; 10, 10). Così sia.

 

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