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SANTA MESSA PER LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI «AMICI DEI LEBBROSI»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 21 settembre 1986

 

“Lo sguardo del Signore è sopra il povero”.

1. Queste parole del Salmo 112, che abbiamo poco fa proclamato, cari fratelli e sorelle, ci invitano a dare la nostra risposta di fede al messaggio dell’amore attento e misericordioso di Dio verso ogni persona che si trova nella sofferenza e nell’angoscia.

Il Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato è un Dio “preoccupato” per la sorte dell’uomo, impegnato a rimediare alle conseguenze della fragilità umana. È un Dio che manda addirittura il Figlio suo perché si sacrifichi per la salvezza dell’uomo. Gesù, Figlio di Dio incarnato, ci insegna a riconoscere e rispettare in chiunque la dignità della persona, qualunque sia la sua condizione di miseria o di debolezza: anzi, Gesù guarda con una particolare attenzione, si direbbe con una speciale predilezione, proprio i più deboli e i più emarginati, per mostrare in essi la potenza della sua bontà e della sua misericordia. Egli si compiace di “sollevare l’indigente dalla polvere per farlo sedere tra i principi” (cf. Sal 112, 7-8).

2. Cari fratelli e sorelle, “Amici dei Lebbrosi”, vi saluto tutti di vero cuore e con sentimenti di apprezzamento per la preziosa e feconda opera di carità che svolgete in varie parti del mondo, laddove maggiormente salgono a Dio le lacrime dell’angoscia umana. Ma laddove anche, grazie a voi, si mostra tangibile il soccorso della divina Provvidenza.

Nel 25° anniversario di servizio dell’Associazione Italiana Amici dei Lebbrosi e nel 20° di fondazione della Federazione delle Associazioni anti-lebbra del mondo, saluto tutti i presenti e con particolare pensiero i dirigenti e le varie Associazioni qui rappresentate: Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, Fondation Luxembourgeoise Raoul Follereau, Le Secours aux Lépreux du Canada, Aide aux Lépreux Emmaüs de la Suisse, Deutsches Aussaetzingen-Hilswerk, Association Française Raoul Follereau, Damien Foundation de la Belgique, “Lepra”, The British Leproxy Relief Association.

Sono lieto di celebrare con voi questa Eucaristia, che offro al Signore per tutti i lebbrosi del mondo, come per tutte le persone che in qualsiasi maniera si prodigano nella lotta contro questo tremendo male, o che comunque s’interessano od operano - mediante la preghiera, gli scritti, l’azione o l’aiuto finanziario - per favorire e diffondere nel mondo la comprensione, l’amicizia e l’affettuosa attenzione nei confronti dei sofferenti hanseniani.

3. L’uomo, anche se umiliato dal male, è sempre portatore di un destino che trascende il tempo e si proietta nell’eternità. Dio infatti “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della Verità” (1 Tm 2, 4), poiché conoscere Dio e la verità è la sublime vocazione dell’uomo. La rivelazione, messaggio rivolto a ogni persona senza distinzione, invita anche il più umile e il più povero a sentirsi portatore di valori che arricchiscono l’umanità. Per questo la giornata odierna ci ricorda l’alta considerazione che dobbiamo avere per il significato della vita dei nostri fratelli lebbrosi. Essi sono uomini e donne chiamati da Dio alla salvezza; sono fratelli e sorelle dai quali noi stessi possiamo e dobbiamo ricevere un dono, un miglioramento nella bontà, una maggiore ricchezza di umanità, una più profonda luce di verità. Noi sappiamo infatti che Dio vuol far conoscere ai piccoli e ai miseri la sua Verità, il suo infinito amore, la sua volontà di conforto e di salvezza.

4. Dio esalta i miseri, perché Cristo si è fatto misero per noi: “Egli da ricco che era, si fece povero per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor 8, 9). Un grande stupore colpisce il nostro spirito, allorché consideriamo con quanto amore Dio ha voluto prendersi cura della creatura umana caduta nel peccato; egli infatti l’ha privilegiata a tal punto da sacrificare per l’uomo il suo Figlio unigenito, resosi in tutto simile a lui tranne che nel peccato. Egli, divenuto per noi infimo nella sua passione e nella morte, ci insegna che proprio quello che ai nostri occhi può apparire un non-valore, diviene invece, nella luce della croce, il massimo dei valori. Cristo, fattosi povero per arricchirci col dono di sé ci invita ad accogliere la lezione grande e urgente a vincere il nostro orgoglio e a chinarci - come lui - sui fratelli maggiormente umiliati; in particolare su coloro che sono tentati dalla disperazione, su coloro per i quali non c’è umana speranza, su coloro che i comuni meccanismi di difesa, dettati dall’egoismo, dalla ripugnanza, dalla paura o da altre ragioni sociali, tendono a escludere da qualsiasi rapporto umano.

5. “Gli vennero incontro dei lebbrosi” (Lc 17, 12). In un altro passo del Vangelo è detto che Gesù, toccò” (Lc 5, 13) il lebbroso presentatosi a lui. Gesù si lascia dunque incontrare, egli si è fatto nostro prossimo per essere incontrato da noi proprio sulla soglia più tragica e pesante della sofferenza. Dalla croce egli ci insegna a cercare nel malato lo stesso suo volto, ad avvicinare chi soffre proprio là dove questi sperimenta la sua indigenza.

Quanti sono e dove sono oggi i lebbrosi? Si parla di cifre che oscillano tra gli undici e i venti milioni: sono persone, disperse, per la maggior parte, nelle regioni più povere del nostro pianeta. Si tratta spesso di un fenomeno che sfugge alle normali possibilità di controllo e di aiuto. Nonostante lo sforzo di anime generose, molti ammalati rimangono esclusi dalla comune assistenza e dalle cure, e quindi dalla guarigione, che oggi la scienza medica potrebbe offrire loro.

L’esempio di Cristo ci deve incoraggiare a persistere nell’impegno nei confronti di quelle situazioni sociali che risultano tuttora insensibili o impotenti di fronte al dramma della lebbra. Non ci si deve arrendere, se gli sforzi appaiono talvolta privi di risultato o se ci si trova di fronte ad ambienti nei quali il terrore del male ispira misure di difesa disumane, frutto di avversioni istintive e irrazionali verso il malato. Dobbiamo continuare ad operare perché proprio questi ambienti, che sembrano più refrattari, si aprano anch’essi alla speranza. Accogliamo il grido rivolto a Gesù dagli stessi lebbrosi: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17, 13).

6. Mi pare giusto ricordare a questo punto come la Chiesa sia stata sempre fedele alla sua missione di annunciare il gesto misericordioso di Cristo, di imitarlo e tradurlo in un concreto impegno di aiuto, di conforto, di fattiva assistenza.

Come non ricordare l’esempio di Francesco d’Assisi, il quale, nei pressi della sua città, incontrato un lebbroso che gli chiedeva l’elemosina, scendendo da cavallo lo soccorse e lo baciò, vedendo in quel misero proprio la figura di Cristo sofferente, da lui amato e cercato? Come non nominare, ancora una volta, padre Damiano De Veuster, che visse con i lebbrosi e morì vittima della stessa malattia; il padre Jan Beyzym che tanto si prodigò per i lebbrosi del Madagascar; il beato Pietro Donders, missionario olandese, che trascorse ben ventotto anni nel lebbrosario di Batavia come cappellano volontario degli infermi? E, nei nostri tempi, mi sia consentito di farne cenno, uomini come Raoul Follereau e Marcello Candia, che tanto hanno fatto a servizio per i lebbrosi. Con il loro esempio essi hanno scosso la coscienza del mondo e hanno iniziato un movimento di sensibilizzazione circa il dovere e le esigenze di soccorrere i malati di lebbra. Insieme con loro vorrei ricordare le migliaia di sacerdoti, medici, religiosi, missionari, laici, catechisti, volontari che hanno voluto farsi amici dei lebbrosi fino al punto di fondare e sostenere con la loro attiva presenza lebbrosari, ospedali, centri specializzati di ricerca e di cura. A tutti costoro va il mio plauso, il mio vivo incoraggiamento, la mia gratitudine. A nome di tutta la Chiesa e dell’umanità io li ringrazio e li invito a continuare nel loro paziente e coraggioso lavoro.

7. Il Signore ha affidato alle nostre mani tante opere di carità, affinché mediante esse divenissimo corresponsabili del suo disegno di salvezza. Non mancheranno, allora, anche a noi gli impegni per operare secondo dei validi programmi. Un programma, come è ovvio, è qualcosa di più che un’occasione, di aiuto lasciato alla buona volontà dei singoli. Esso suppone un piano meditato, una costante consapevolezza degli obiettivi, l’individuazione delle prospettive offerte alla solerzia e alla carità, l’esame sempre aggiornato della situazione. È quanto voi fate, ben conoscendo la necessità di mettere insieme le forze, a livello internazionale, per alleviare le sofferenze della malattia e affrontare anche difficoltà psicologiche e sociali che conseguono alla situazione del malato specialmente in rapporto all’evoluzione della malattia o dei lunghi periodi di segregazione che essa comporta. La prospettiva del vostro impegno non è solo la guarigione: occorre dare a tutti i malati la speranza di poter vivere una vita veramente umana, contribuire a far si che si formi attorno a loro un ambiente sensibile alle loro necessità, prima fra tutte quella d’inserirsi o reintegrarsi con il resto della società. Occorrerà soprattutto far capire loro che anche ad essi, come ad ogni uomo, è consentito di crescere nella loro umanità, di valere di più, di essere di più.

8. Uno dei lebbrosi tornò indietro dal Signore per “ringraziarlo” (Lc 17, 16). Evidentemente, nel suo cuore era sbocciata la fede. Possa essa sbocciare in tanti altri cuori oggi toccati dalla guarigione da questa o da altre malattie! Dalla fede scaturisce nell’uomo una dimensione nuova, di un umanesimo trascendente che, nato dal dialogo con Dio, si realizza mediante la comunione con Gesù Vita. La fede dà all’uomo la risposta esaustiva e gli apre gli occhi sulla meta suprema del suo sviluppo come persona.

Di cuore auspico, quindi, che sia possibile per ciascuno accogliere la Parola che conforta ogni fatica e ogni impegno della comune carità: “La tua fede ti ha salvato” (Lc 17, 19). Qualsiasi fatica o sofferenza, infatti, se sopportata nella fede e nella speranza, diviene un’anticipazione della gloria futura. Proprio le sofferenze e le fatiche aprono l’esistenza umana a un futuro di gioia e attestano che nel momento del declino dell’esistenza corporea si affaccia in Cristo la vera vita.

“La tua fede ti ha salvato”. Voglia il Signore Gesù ripetere ad ogni persona che soffre questa parola di conforto e di speranza. E possa ciascuno, toccato da questa parola di Cristo, “alzarsi e andare”: andare sulla strada della vita incontro ai fratelli, per proseguire con loro, “alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese” (Lectio Prior), verso la meta comune, la beatificante visione di Dio.

Con la mia affettuosa benedizione.

 

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