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SANTA MESSA PER LA FESTA DI SAN SEBASTIANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Castel Gandolfo - Domenica, 3 settembre 1989

 

1. “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 32).

Con queste parole di Cristo, che sembrano in qualche modo riassumere lo spirito e la tenace testimonianza del martire Sebastiano, vostro celeste patrono, porgo a tutti voi, fedeli di Castel Gandolfo e pellegrini qui convenuti, il mio affettuoso e cordiale saluto.

Siamo radunati per commemorare un santo, la cui testimonianza di fede, narrata dai padri della Chiesa come Ambrogio e Gregorio, o da antichissime e pie tradizioni, come la “Passio Sancti Sebastiani” del V secolo, ha commosso i cristiani di ogni tempo.

Ambrogio dice che proprio per dare prova della sua fede Sebastiano venne a Roma, dove la persecuzione era più intensa, qui sofferse, qui fu coronato della gloria del martirio, qui raggiunse la dimora dell’immortalità. Il Papa san Gregorio lo esalta come soldato e martire di Cristo, difensore della Chiesa, e patrono di Roma, insieme a Pietro e Paolo.

2. L’esempio di Sebastiano, nella luce della Parola divina, può offrirci spunti di riflessione validi anche per il tempo presente, per il tempo in cui noi siamo chiamati a vivere la fede. Il primo spunto ci viene offerto mediante una parola del Vangelo: “Non abbiate paura”.

Si tratta di un invito pressante di Gesù a bandire dall’anima ogni timore e ad avere coraggio. La parola è rivolta agli apostoli, chiamati a compiere la missione dell’annuncio in una maniera pubblica, forte, decisa, anche se ciò può mettere a repentaglio la loro vita.

Il coraggio cristiano si fonda sulla consapevolezza che Dio ama i suoi discepoli fedeli, dei quali egli ha cura, perché essi valgono di più delle altre creature: “Voi valete più di molti passeri”. Non avverrà che la vita dell’uomo possa essere tolta o offesa senza che il Padre celeste lo sappia. Nemmeno la fine della vita del martire, oggetto della persecuzione del mondo contro il Vangelo e contro Cristo, può accadere al di fuori di un disegno divino. Tale disegno, che porta a perfezione la grazia della testimonianza, dona al martirio il valore di un atto di piena comunione con la Croce di Cristo.

“Non abbiate paura”. La paura, infatti, può condizionare la libertà delle scelte e spingere a decisioni in contrasto con i propri convincimenti. Ma come superare la paura? Gesù stesso indica la strada per dominare questo istinto, radicato così profondamente nell’essere umano. La strada sta nella scoperta dell’amore personale di Dio per ciascuno, nella scoperta della sollecitudine amorosa con cui egli segue le vicende anche più insignificanti dei suoi figli.

In forza di tale scoperta l’uomo non si sente più solo; egli sa di potersi abbandonare con totale fiducia alla provvida saggezza di un Padre che non permette alcun male se non in vista di un bene più grande.

3. Ciò che innanzitutto si richiede dal cristiano è, dunque, che egli ravvivi nel suo cuore l’occhio interiore della fede, così da arrivare a riconoscere in ogni evento della propria vita la presenza rassicurante di Cristo che, se ha sofferto fino a morire sulla Croce, ha poi trionfato definitivamente della morte e vive ora glorioso presso il Padre.

In questo senso l’apostolo Pietro raccomanda: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1 Pt 3, 17).

“Nei vostri cuori”, cioè nel profondo della vostra personalità umana. Ciascuno infatti deve costruire come dal di dentro della propria esistenza l’atteggiamento fondamentale della fedeltà e del coraggio. È una costruzione che si opera progressivamente, con l’aiuto della grazia e con scelte coerenti, agendo con perseveranza, accettando pazientemente i ritmi talvolta alterni dello sviluppo della personalità, affinando lo spirito nella fatica.

“Nei vostri cuori”, cioè organizzando in modo nuovo la vita intera, sulla base della docilità alla parola del Vangelo, accolta con rettitudine, “con una coscienza retta”, affinché le scelte morali, corrispondenti alla santità voluta dal Signore, costituiscano giorno dopo giorno il fondamento di una crescita fino “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13).

4. Solo così la “paura” potrà essere vinta e sarà possibile adorare il Signore, superando gli ostacoli che generano timore e scoraggiamento.

Non possiamo chiudere gli occhi, infatti, di fronte alle molteplici minacce del mondo che ci circonda. In ogni epoca della storia il cristiano deve “soffrire per la giustizia”. Non sono forse motivo di sofferenza per il cristiano di oggi la critica esasperata ai contenuti della fede, lo scetticismo e il cinismo spregiudicato circa i valori morali, circa il significato della famiglia e l’impegno per salvaguardarne la consistenza? Non si sente egli forse insidiato nella sua interiorità da quelle circostanze tipiche della società del benessere, o della logica del profitto ad ogni costo, che inducono alla passività, all’egoismo, al disimpegno ed all’isolamento? Quanto pertinente è, dunque, l’esortazione dell’Apostolo: “Non vi sgomentate per paura di chi vi perseguita . . ., pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 14 s.)!

E quanto saggia l’ammonizione a formarsi una “retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangono svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo” (1 Pt 3, 16)!

5. “Ti glorificherò, Signore mio re, ti loderò, Dio mio salvatore; glorificherò il tuo nome, perché fosti mio protettore e mio aiuto ed hai liberato il mio corpo dalla perdizione” (Sir 51, 1).

Questa preghiera del Siracide noi amiamo oggi immaginarla sulle labbra di Sebastiano, testimone della fede. La sofferenza del martire comprende anche l’angoscia interiore quando, di fronte agli uomini, egli si sente perduto ed abbandonato: “Mi rivolsi per soccorso agli uomini, ma invano” (Sir 51, 7).

Tale è anche la quotidiana fatica del credente, quando è posto di fronte alla necessità di rendere conto della sua fede in situazioni continuamente nuove e difficili, che egli sente come il “soffocamento di una fiamma avvolgente” (Sir 51. 4).

Ma la prova, se superata, è destinata a formare una fede più autentica, proprio perché più provata. Impariamo perciò anche noi ad elevare a Dio, tra le prove che nella sua provvidenza egli permette, la preghiera che la liturgia oggi ci suggerisce: “Signore, mio padre tu sei autore della mia salvezza, non mi abbandonare nei giorni dell’angoscia, nel tempo dello sconforto e della desolazione” (Sir 51, 10).

Tale preghiera noi rivolgiamo a Dio, insieme con il martire Sebastiano, insieme con tutti coloro che hanno subìto la desolazione della persecuzione e l’hanno superata con fede; insieme con tutti coloro che, nell’intimo delle angoscianti prove dell’anima, hanno operato una scelta coraggiosa, quella di fidarsi di Dio e della sua Parola, di credere alla voce ed alla chiamata di Cristo, di accogliere l’annuncio che la morte e la Risurrezione sono le due fasi inscindibili dell’unico mistero di Cristo.

“Per questo ti ringrazierò e ti loderò, benedirò il nome del Signore” (Sir 51, 11). Amen!

 

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