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LETTERA AI SACERDOTI IN OCCASIONE DEL GIOVEDI' SANTO 1989

Amati fratelli nel sacerdozio di Cristo!

1. Anche quest'anno desidero mettere in rilievo la grandezza di questo giorno, che ci riunisce tutti intorno a Cristo. Durante il triduo sacro la Chiesa approfondisce la consapevolezza del mistero pasquale. A noi in modo particolare si indirizza il giorno del giovedì santo. E' la memoria dell'ultima Cena che si ravviva e si ripresenta in questo giorno, e noi ritroviamo in esso ciò di cui viviamo, ciò che siamo per grazia di Dio. Noi ritorniamo all'inizio stesso del sacrificio della nuova ed eterna alleanza ed insieme all'inizio del nostro sacerdozio, che è tutto e pieno in Cristo. Colui che durante la Cena pasquale disse le parole: «Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi»; «questo è il calice del mio sangue... versato per voi e per tutti, in remissione dei peccati» (cfr. Mt 26,26-28), in virtù di queste parole sacramentali si è rivelato come Redentore del mondo ed insieme come Sacerdote della nuova ed eterna alleanza.

La lettera agli Ebrei esprime questa verità nel modo più completo, scrivendo di Cristo come «sommo sacerdote dei beni futuri», il quale «entrò una volta per sempre nel santuario...con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna»; mediante il sangue versato sulla Croce egli «offrì se stesso senza macchia a Dio» in virtù di uno «Spirito eterno» (cfr. Eb 9,11-14).

Per questo l'unico sacerdozio di Cristo è eterno e definitivo, così come definitivo ed eterno è anche il sacrificio da lui offerto. Sempre, ogni giorno e, in particolare, durante il triduo sacro questa verità vive nella consapevolezza della Chiesa: «Abbiamo un grande sommo sacerdote» (cfr. Eb 4,14).

E allo stesso tempo ciò che si compì durante l'ultima Cena, ha reso questo sacerdozio di Cristo sacramento della Chiesa. Esso è divenuto sino alla fine dei tempi il segno della sua identità e la fonte di quella vita nello Spirito Santo, che la Chiesa riceve incessantemente da Cristo. Questa vita viene partecipata da tutti coloro che in Cristo costituiscono la Chiesa. E tutti partecipano del sacerdozio di Cristo, e tale partecipazione significa che già mediante il Battesimo «da acqua e da Spirito Santo» (cfr. Gv 3,5) sono consacrati per offrire i sacrifici spirituali in unione con l'unico sacrificio della Redenzione, offerto da Cristo stesso. Tutti - come popolo messianico della nuova alleanza - diventano in Cristo «sacerdozio regale» (cfr. 1Pt 2,9).

2. Ricordare questa verità sembra particolarmente attuale in occasione della pubblicazione dell'esortazione apostolica «Christifideles Laici», recentemente avvenuta. In essa è contenuto il frutto dei lavori del Sinodo dei Vescovi, radunato in sessione ordinaria nel 1987 ed il cui tema fu la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.

Occorre che tutti noi prendiamo conoscenza di questo importante documento. Occorre anche che alla sua luce meditiamo circa la nostra propria vocazione. Una tale riflessione appare molto attuale specialmente nel giorno che ricorda la nascita dell'Eucaristia, nonché del servizio sacramentale dei sacerdoti che è connesso all'Eucaristia.

Nella costituzione «Lumen Gentium» il Concilio Vaticano II ha ricordato in che cosa consiste la differenza tra il sacerdozio comune di tutti i battezzati ed il sacerdozio che si riceve nel sacramento dell'Ordine. Il Concilio chiama quest'ultimo «sacerdozio ministeriale», il che significa insieme «ufficio» e «servizio». Esso è anche «gerarchico» nel senso di sacro servizio. «Gerarchia», infatti, significa sacro governo, il quale nella Chiesa è servizio.

Ricordiamo il noto testo conciliare: «Il sacerdozio comune dei fedeli ed il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale con la potestà sacra, di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nella persona di Cristo ("in persona Christi") e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale e sacerdozio, concorrono alla oblazione dell'Eucaristia, e lo esercitano col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità» («Lumen Gentium», 10; cfr. «Christifideles Laici», 22).

3. Durante il triduo sacro si presenta agli occhi della nostra fede l'unico sacerdozio della nuova ed eterna alleanza, che è in Cristo stesso. A lui, infatti, si possono applicare le parole sul sommo sacerdote che, «scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini» (Eb 5,1). Come uomo Cristo è sacerdote, è il «sommo sacerdote dei beni futuri»; al tempo stesso, però, questo uomo-sacerdote è il Figlio consostanziale al Padre. Per questo anche il suo sacerdozio - il sacerdozio del suo sacrificio redentore - è unico ed irripetibile. E' il compimento trascendente di tutto il contenuto del sacerdozio.

Ora proprio questo unico sacerdozio di Cristo, per mezzo del sacramento del Battesimo, è partecipato da tutti nella Chiesa. Se le parole «sacerdote scelto fra gli uomini» si riferiscono anche a ciascuno di noi, partecipi del sacerdozio ministeriale, esse tuttavia indicano prima di tutto l'appartenenza al popolo messianico, al sacerdozio regale, nonché il nostro radicamento nel sacerdozio comune dei fedeli, che sta alla base della chiamata di ciascuno di noi al ministero sacerdotale.

I «fedeli laici» sono coloro tra i quali ciascuno di noi «viene scelto», coloro tra i quali è nato il nostro sacerdozio. Prima di tutto, sono i nostri genitori, poi i fratelli e le sorelle e tante persone dei vari ambienti, dai quali ognuno di noi proviene: ambienti umani e cristiani, a volte anche scristianizzati. La vocazione sacerdotale, infatti, non sempre nasce in un'atmosfera ad essa favorevole; a volte la grazia della vocazione passa attraverso un contrasto con l'ambiente, persino attraverso la resistenza fatta da familiari.

Ed oltre a tutti coloro che conosciamo e che possiamo finalmente identificare lungo la via della nostra vocazione, ci sono altri ancora, che rimangono sconosciuti. Non siamo mai in grado di stabilire a chi noi dobbiamo questa grazia, alla preghiera ed ai sacrifici di quali persone la dobbiamo, nel mistero della divina economia.

In ogni caso le parole «sacerdote scelto fra gli uomini» possiedono un'ampia estensione. Se oggi meditiamo la nascita del sacerdozio di Cristo, prima di tutto, nell'intimo di ognuno di noi (prima ancora di averlo ricevuto mediante la imposizione delle mani del Vescovo), dobbiamo vivere questo giorno come debitori. Sì, fratelli, noi siamo debitori! Come debitori dell'inscrutabile grazia di Dio, noi nasciamo al sacerdozio, nasciamo dal cuore del Redentore stesso - al centro del suo sacrificio della Croce. Ed insieme noi nasciamo dal seno della Chiesa, popolo sacerdotale. Questo popolo, infatti, è come la terra spirituale delle vocazioni, la terra coltivata dallo Spirito Santo, che è il Paraclito della Chiesa per tutti i tempi.

Il Popolo di Dio gioisce della vocazione sacerdotale dei suoi figli. In questa vocazione esso trova la conferma della propria vitalità nello Spirito Santo, la conferma del sacerdozio regale, mediante il quale Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri», è presente nelle generazioni degli uomini e nelle comunità cristiane. Anche egli è «scelto fra gli uomini». E il «Figlio dell'uomo», il Figlio di Maria.

4. Là dove mancano le vocazioni, la Chiesa deve farsi premurosa. E si fa premurosa, molto premurosa. Questa sollecitudine è partecipata anche dai laici nella Chiesa. In proposito, al Sinodo del 1987 abbiamo sentito parole toccanti non soltanto da parte dei Vescovi e sacerdoti, ma anche dagli stessi laici presenti.

Tale sollecitudine testimonia nel modo migliore chi è il sacerdote per i laici: testimonia la sua identità, e si tratta di una testimonianza della comunità, di una testimonianza sociale. Il sacerdozio, infatti, è un sacramento «sociale»: il sacerdote, «scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1).

Il giorno prima della sua Passione e morte in Croce, Gesù nel Cenacolo lavò i piedi agli apostoli e ciò fece per sottolineare che «non era venuto per essere servito, ma per servire» (cfr. Mc 10,45). Tutto ciò che Cristo faceva e insegnava era a servizio della nostra redenzione. L'ultima e più completa espressione di questo servizio messianico doveva diventare la Croce sul Calvario. In essa ha trovato conferma «sino alla fine» che il Figlio di Dio si è fatto uomo «per noi uomini e per la nostra salvezza» («Credo» Missae). E questo servizio salvifico, che ha un raggio di azione universale, è «iscritto» per sempre nel sacerdozio di Cristo. L'Eucaristia - il sacramento del sacrificio redentore di Cristo - contiene in sé questa «iscrizione». Cristo, che è venuto per servire, è presente sacramentalmente nell'Eucaristia appunto per servire. Questo servizio nello stesso tempo è la pienezza della mediazione salvifica: Cristo è entrato in un santuario eterno, «nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). Davvero, egli fu «costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio».

Ognuno di noi, che grazie all'ordinazione sacramentale, partecipa del sacerdozio di Cristo, deve costantemente rileggere questa «iscrizione» del servizio redentore di Cristo. Infatti, anche noi - ciascuno di noi - siamo costituiti «per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio». Il Concilio afferma giustamente che «i laici... hanno diritto di ricevere abbondantemente dai sacri Pastori i beni spirituali della Chiesa, soprattutto gli aiuti della parola di Dio e dei sacramenti» («Lumen Gentium», 37).

Questo servizio si trova al centro stesso della nostra missione. Certamente anche i nostri fratelli e le nostre sorelle - i fedeli laici - desiderano trovare in noi dei «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1). In questa dimensione va cercata la piena autenticità della nostra vocazione, del nostro posto nella Chiesa. Durante il Sinodo dei Vescovi, sul tema dell'apostolato dei laici, fu spesso ricordato che i laici hanno a cuore una tale autenticità della vocazione e della vita sacerdotale. Questa, anzi, è la prima condizione per la vitalità del laicato e per l'apostolato proprio dei laici. In nessun modo si tratta di «laicizzazione» del clero, come non si tratta neppure di «clericalizzazione» dei laici. La Chiesa si sviluppa organicamente secondo il principio della molteplicità e diversità dei «doni», cioè dei carismi (cfr. «Christifideles Laici», 21-23). Ciascuno, infatti, «ha il proprio dono» (1Cor 7,7) «per l'utilità comune» (1Cor 12,7). «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori della grazia di Dio» (1Pt 4,10).

Queste indicazioni degli apostoli sono pienamente attuali anche nella nostra epoca.

Parimenti a tutti - sia agli ordinati che ai laici - si riferisce la raccomandazione di «comportarsi in maniera degna della vocazione» (cfr. Ef 4,1), di cui ciascuno è stato fatto partecipe.

5. Bisogna dunque che oggi, in un giorno così santo e pieno di profondi contenuti spirituali per noi, meditiamo ancora una volta, ed a fondo, il carattere particolare della nostra vocazione e del nostro servizio sacerdotale. I presbìteri - insegna il Concilio - «per il loro stesso ministero sono tenuti ...a non conformarsi a questo secolo: al tempo stesso, tuttavia, sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini» («Presbyterorum Ordinis», 3). Nella vocazione sacerdotale di un pastore ci deve essere uno spazio speciale per queste persone, per i laici e per la loro «laicità», la quale è anch'essa un grande bene della Chiesa. Un tale spazio interiore è degno della vocazione del sacerdote come pastore.

Il Concilio ha dimostrato con acuta chiarezza che la «laicità» radicata nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione, la laicità come dimensione della comune partecipazione al sacerdozio di Cristo costituisce l'essenziale vocazione di tutti i fedeli laici. E i sacerdoti «non potrebbero essere ministri di Cristo, se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena», ma al tempo stesso «non potrebbero nemmeno servire gli uomini, se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente» («Presbyterorum Ordinis», 3). Ciò indica proprio quello spazio interiore per la «laicità», che è profondamente iscritta nella vocazione sacerdotale di ogni pastore: lo spazio per tutto ciò in cui questa «laicità» si esprime. In tutto ciò il sacerdote deve cercare di riconoscere la «vera dignità cristiana» («Lumen Gentium», 18) di ciascuno dei suoi fratelli e sorelle laici; anzi, si deve adoperare per farla presente ad essi stessi, per educarli a questa dignità mediante il suo servizio sacerdotale.

Riconoscendo la dignità dei laici e «il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della Chiesa», «i presbìteri sono fratelli tra i fratelli, come membra dell'unico e medesimo corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti» («Presbyterorum Ordinis», 9).

6. Sviluppando in sé un tale atteggiamento verso tutti i fedeli laici, verso i laici e la loro «laicità», segnati anch'essi dal dono della vocazione ricevuta da Cristo, il sacerdote può attuare questo compito sociale, che è legato alla sua vocazione di pastore. Egli, cioè, può «radunare» le comunità cristiane, alle quali viene inviato. Il Concilio in più punti mette in rilievo questo compito. Ecco, i sacerdoti, «esercitando... l'ufficio di Cristo..., radunano la famiglia di Dio, quale fraternità animata da un solo intento, e per mezzo di Cristo nello Spirito la conducono a Dio Padre» («Lumen Gentium», 28).

Questo «radunare» è servizio. Ognuno di noi deve essere consapevole di radunare la comunità non intorno a sé, ma intorno a Cristo, e non per sé, ma per Cristo, affinché egli stesso possa agire in questa comunità, ed insieme in ognuno, con la potenza del suo Spirito paraclito, e a misura del «dono» ricevuto da ciascuno in questo Spirito «per l'utilità comune».

Pertanto, questo «radunare» è servizio, e tanto più è servizio, in quanto il sacerdote «presiede» alla comunità. A questo proposito il Concilio sottolinea che «occorre che i presbìteri presiedano in modo tale che, non cercando le cose proprie, ma quelle di Gesù Cristo, uniscano la loro opera a quella dei fedeli laici» («Presbyterorum Ordinis», 9).

Questo «radunare» va inteso non come qualcosa di occasionale, ma come una continua e coerente «edificazione» della comunità. Proprio qui è indispensabile la collaborazione, di cui si parla nel testo conciliare. Qui anche devono essi «scoprire con senso di fede i multiformi carismi, sia umili che più elevati, concessi ai laici; devono ammetterli con gioia e favorirli con diligenza», leggiamo nel decreto conciliare («Presbyterorum Ordinis», 9). «Parimenti, devono assegnare con fiducia ai laici degli incarichi per il servizio della Chiesa, lasciando loro libertà e margine di azione» («Presbyterorum Ordinis», 9).

Rifacendosi alle parole di san Paolo, il Concilio ricorda ai presbìteri che essi «si trovano in mezzo ai laici per condurre tutti all'unità della carità, "amandosi gli uni gli altri con carità fraterna, prevenendosi gli uni gli altri nella deferenza (Rm 12,10)» («Presbyterorum Ordinis», 9).

7. Al presente, dopo al pubblicazione dell'esortazione post-sinodale «Christifideles Laici», molti ambienti nella Chiesa stanno studiando il suo contenuto, in cui ha trovato espressione la sollecitudine collegiale dei Vescovi, riuniti nel Sinodo. Il Sinodo, del resto, è stato un'eco del Concilio, nel tentativo di indicare - alla luce di molteplici esperienze - la direzione in cui dovrebbe procedere l'attuazione del Magistero conciliare circa il laicato. E' noto che esso si è dimostrato particolarmente ricco e stimolante, il che certamente corrisponde anche alle necessità della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Noi avvertiamo queste necessità in tutta la loro importanza e complessità. Perciò, la conoscenza del documento post-sinodale ci permetterà di far fronte ad esse e, in molti casi, di aiutarci, altresì, nel nostro servizio sacerdotale. «l sacri Pastori, infatti - leggiamo nella costituzione «Lumen Gentium» - sanno esattamente quanto contribuiscono i laici al bene di tutta la Chiesa. Essi sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta quanta la missione salvifica della Chiesa verso il mondo» (30).

Sostenendo la dignità e la responsabilità dei laici, «si servano volentieri del loro prudente consiglio» («Lumen Gentium», 37). Tutti i Pastori - Vescovi e sacerdoti - «mostrano al mondo il volto della Chiesa, in base al quale gli uomini giudicano della forza e della verità del messaggio cristiano» («Gaudium et Spes», 43). In tal maniera «è rafforzato nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all'opera dei Pastori» («Lumen Gentium», 37).

Anche ciò - tra l'altro - sarà oggetto di studio nell'assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema della formazione sacerdotale, annunciato per l'anno 1990. Una tale sequenza di temi già di per sé permette di comprendere che, nella Chiesa, esiste un profondo collegamento tra la vocazione dei laici e quella dei sacerdoti.

8. Nel ricordare tutto ciò nella lettera per il giovedì santo di quest'anno, ho desiderato toccare un argomento collegato in modo essenziale al sacramento del'Ordine. Oggi ci raccogliamo intorno ai nostri Vescovi, come presbiterio delle singole Chiese locali e particolari, in tanti luoghi della terra. Concelebriamo l'Eucaristia, rinnoviamo le promesse sacerdotali connesse alla nostra vocazione ed al nostro servizio nella Chiesa di Cristo. E' la grande giornata sacerdotale di tutte le Chiese del mondo nell'unica Chiesa universale! Ci offriamo reciprocamente il bacio della pace e con questo segno cerchiamo di raggiungere tutti i fratelli nel sacerdozio, persino coloro che sono i più distanti nello spazio del mondo visibile.

Offriamo proprio questo mondo insieme con Cristo al Padre nello Spirito Santo: questo mondo di oggi, «ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà, in mezzo alle quali essa vive» («Gaudium et Spes», 2). Agendo «in persona Christi», come «amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1), siamo consapevoli della dimensione universale del sacrificio eucaristico.

I fedeli laici - nostri fratelli e sorelle - in forza della loro propria vocazione sono uniti a questo «mondo» in modo diverso dal nostro. Il mondo è dato loro in compito da Dio in Cristo redentore. Il loro apostolato deve condurre direttamente alla trasformazione del mondo nello spirito del Vangelo (cfr. «Christifideles Laici», 36). Essi vengono per trovare nell'Eucaristia, di cui noi siamo ministri per grazia di Cristo, la luce e la forza per attuare questo compito.

Rinnoviamo presso tutti gli altari della Chiesa nel mondo di oggi il servizio redentore di Cristo, pensando a loro! Rinnoviamolo come servitori «bravi e fedeli», «che il padrone al suo ritorno troverà vigilanti» (cfr. Lc 19,17; 12,37).

A tutti i cari fratelli nel sacerdozio di Cristo invio il mio cordiale saluto e la benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 12 marzo, domenica quinta di Quaresima, dell'anno 1989, undicesimo di Pontificato.



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