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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL PADRE MARCEL ROONEY, ABATE PRIMATE
DELLA CONFEDERAZIONE BENEDETTINA

 

Al Reverendo Padre P. MARCEL ROONEY
Abate Primate della Confederazione Benedettina

1. Ho appreso con gioia che si sta celebrando in questi giorni il Congresso degli Abati della Confederazione Benedettina. Rivolgo il mio saluto cordiale innanzitutto a Lei, che la fiducia dei Confratelli ha chiamato al compito di Abate Primate della Confederazione, e Le porgo i miei auguri per il ministero che L’attende a servizio di quanti seguono la Regola del Santo Patriarca Benedetto.

Il mio saluto s’estende, poi, agli Abati e ai Priori conventuali presenti, come pure alle Abbadesse e alle Priore, che rappresentano le Benedettine, e agli illustri ospiti delle altre tradizioni monastiche. Uno speciale pensiero riservo infine ai monaci che, animati dalla carità di Cristo, sono venuti a rendere testimonianza della tradizione monastica delle Chiese che ancora non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

2. I lavori del Congresso vertono in particolare sul tema della formazione umana, filosofica, teologica e monastica, offerta nelle Comunità benedettine. È tema molto opportuno, dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo. Infatti, “particolare attenzione l’Assemblea sinodale ha riservato alla formazione di chi intende consacrarsi al Signore” (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 65), ribadendo che “la formazione permanente, sia per gli Istituti di vita apostolica come per quelli di vita contemplativa, è un’esigenza intrinseca alla consacrazione religiosa” (Ivi, 69).

La celebrazione del Sinodo, fornendo ai pastori della Chiesa l’occasione di una riflessione più approfondita sulla vita monastica, li ha portati a metterne in risalto, in vari interventi, i valori evangelici (Ivi, 6). Per attuare nella propria vita tali valori, il monaco si sforzerà, pertanto, di “conciliare armonicamente la vita interiore e il lavoro nell’impegno evangelico della conversione dei costumi, dell’obbedienza, della stabilità, e nell’assidua dedizione alla meditazione della Parola (lectio divina), alla celebrazione della liturgia, alla preghiera” (Ivi).

3. Nella tradizione spirituale del monachesimo, gli uomini e le donne rispondono alla vocazione di Dio che li chiama ad essere ascoltatori assidui della sua Parola, e si impegnano a correggere i vizi (cf. San Benedetto, Regula Benedicti, Prol., 47), adoperando gli strumenti delle buone opere (cf. Ivi, 4,75) per “giungere alle vette più alte di dottrina e di virtù” (cf. Ivi, 73, 9). Questa tradizione, che risale alle prime origini della vita monastica nell’Oriente e nell’Occidente, costituisce il patrimonio spirituale dei figli e delle figlie di san Benedetto, il quale invitava i suoi monaci all’assidua lettura delle Conferenze, delle Istituzioni e delle Vite dei Padri, nonché della Regola “del nostro santo Padre Basilio”, considerandoli come “strumenti di virtù per monaci buoni e obbedienti” (Ivi, 73, 5).

Nell’Esortazione Apostolica citata ho descritto la vita consacrata come “l’epifania dell’amore di Dio nel mondo” (cf. cap. III, tit.), perché tutti i consacrati sono “inviati nel mondo per imitare l’esempio di Gesù e continuarne la missione” (Ivi, 72). Infatti “la missione è essenziale per ogni Istituto, non solo in quelli di vita apostolica attiva, ma anche in quelli di vita contemplativa” (Ivi).

Che cosa aspetta la Chiesa dai monasteri benedettini? Essi devono presentarsi come luoghi privilegiati della vita cristiana: luoghi dove i valori autentici del Vangelo prevalgono. Sono “scuole per il servizio del Signore” (Regula Benedicti, Prol., 45), dedicate alla vita di preghiera. Tutti i cristiani sono la luce del mondo (Mt 5, 14), chiamati a mostrare con la testimonianza della loro vita i valori della fede; ma nel mondo la luce facilmente viene oscurata o ignorata. Il monastero, invece, comunità cristiana stabilmente dedicata alla vita evangelica, irradia una luce più intensa e costante. È luce che illumina la Chiesa intera e rafforza la sua testimonianza. Il monastero è scuola di preghiera per i cristiani che desiderano conoscere meglio il Signore; è testimonianza di fedeltà perenne, per confermare la fede del popolo di Dio; è proclamazione dei valori dello Spirito per gli uomini che ancora non conoscono il Signore.

4. La Chiesa è oggi particolarmente sensibile al compito ecumenico. Anche in questa prospettiva appare lo specifico ruolo che il monachesimo è chiamato a svolgere alle soglie del Terzo Millennio. È nota, infatti, la rilevanza che il monachesimo ha nelle Chiese Ortodosse, ma è da sottolineare anche una sua permanenza nelle Comunità nate dalla Riforma. Un contributo prezioso il monachesimo può altresì offrire al dialogo inter-religioso, giacché in alcune religioni non-cristiane sono conosciute e praticate significative forme di vita monastica.

Benefici influssi esso non mancherà di diffondere anche sulla società civile, nella quale le novità d’ogni genere introdotte dal rapido progresso tecnologico suscitano spesso confusione e sconcerto. È proprio in questo contesto che la stabilitas, tipica dei Benedettini, l’ordinato svolgimento degli impegni quotidiani, la pace interiore frutto della profonda comunione con Dio, offrono modelli di riferimento capaci di attrarre, di illuminare, di orientare uomini e donne immersi nel mondo. I monasteri benedettini continueranno così ad essere ciò che sono stati nei secoli: fari di autentico umanesimo cristiano.

5. Appare chiara, in questa prospettiva, la insostituibile funzione che una seria formazione spirituale e dottrinale svolge nella vita del monaco: essa investe i vari aspetti della vita del giovane che s’avvia verso la consacrazione di sé alla causa del Regno, e l’accompagna poi, pur con gli ovvi adattamenti, nelle successive fasi del cammino sulle orme di san Benedetto.

Opportunamente, pertanto, il Congresso ha concentrato la propria attenzione su questo aspetto dell’esperienza monastica, nell’intento di rendere gli aspiranti a tale vita e gli stessi monaci professi sempre più consapevoli della ricchezza della vocazione, ad essi rivolta dal Signore, e della conseguente missione loro affidata.

Nel ricordare a ciascuno dei partecipanti al Congresso l’invito di san Benedetto a correre, “con l’indicibile dolcezza dell’amore, per la via dei comandamenti di Dio” (San Benedetto, Regula Benedicti, Prol., 49), affido a Maria, “Regina monachorum”, la riflessione in atto e le risoluzioni che ne scaturiranno, mentre di cuore, quale pegno dei celesti favori, imparto a Lei ed a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 23 settembre 1996.

IOANNES PAULUS PP. II

 

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