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VISITA PASTORALE IN SARDEGNA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MALATI E ALLE CLAUSTRALI
NELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA

Oristano - Venerdì, 18 ottobre 1985

 

Carissimi ammalati.

1. Sono lieto di incontrarmi in questo grandioso e glorioso tempio di Oristano con voi e con coloro che vi amano e vi soccorrono.

Anch’io amo con tutta la forza e la tenerezza del mio affetto, anche se non mi è possibile prestare concretamente il mio aiuto! Vedo in voi persone che soffrono con l’ineliminabile ansia e nostalgia della salute e del benessere fisico e che giustamente si aggrappano all’opera dei medici e ai ritrovati della scienza; vi amo, perché in voi c’è la presenza misteriosa ma vera di Cristo che disse: “Ero malato e mi avete visitato”; e perché sono convinto - come afferma San Paolo - che la vostra sofferenza, accettata con fiducia e rassegnazione, completa la Passione del Divin Redentore per la salvezza dell’umanità. Non si può non essere sensibili dinanzi alla sofferenza. Accogliete pertanto il mio saluto fraterno, che vi porgo con grande calore, e siate certi che fra i vari incontri programmati per questa Visita pastorale alla Sardegna, tutti da me molto attesi, il vivo contatto con voi, malati, non è certamente tra i meno significativi.

È per me motivo di gioia sapere che molti volontari offrono il loro aiuto ai malati. In Diocesi operano da tempo l’UNITALSI, l’OFTAL, i Volontari della Sofferenza, l’Associazione Diocesana Assistenza Sofferenti. Altre persone, uomini e donne, pur senza impegnarsi in organizzazioni, dedicano il loro tempo agli infermi. Recentemente per gli handicappati, in particolare, sono sorte due Comunità: “Il Seme”, ispirata e guidata dagli stessi handicappati, e “Il Gabbiano”, curata dai religiosi Concezionisti.

Lodo queste iniziative benefiche, che trasformano la fede cristiana in carità vissuta e incoraggio tutti ad essere sempre e in ogni necessità come il Buon Samaritano del Vangelo, perché questa testimonianza di amore è quella di cui oggi ha maggiore bisogno il mondo.

2. Dopo aver ascoltato le parole del vostro Arcivescovo, mi piace lasciarvi come ricordo alcuni pensieri, che sgorgano dalla considerazione della caratteristica di questo mese di ottobre dedicato alla Vergine Santissima del Rosario. Esorto vivamente voi, malati, e voi tutti, amici, parenti, sacerdoti e religiosi, a pregare ogni giorno la Madonna con il Santo Rosario.

Poiché la salute è un bene che fa parte del progetto primitivo della creazione, recitare il Rosario per i malati e con i malati, affinché possano guarire o almeno ottenere sollievo ai loro mali, è opera squisitamente umana e cristiana, sempre consolante ed efficace, poiché infonde serenità e forza d’animo. E quando la malattia perdura e la sofferenza permane, il Rosario ci ricorda anche che la Redenzione dell’umanità avviene per mezzo della Croce. La meditazione sui “misteri” della salvezza, che ci è stata ottenuta dalla Croce del Redentore, incarnato per amore nostro, ci fa comprendere a fondo il valore della sofferenza per la Chiesa, per il ritorno in grazia di chi vive nell’errore e nel peccato, per la conversione dei lontani da Dio, da Cristo o dalla Chiesa. Vale più la sofferenza silenziosa e nascosta di un malato che il rumore di tante discussioni e contestazioni. “Una scintilla di puro amore - scriveva San Giovanni della Croce - è più preziosa agli occhi di Dio e a quelli dell’anima di qualunque cosa; l’amore è lo scopo per cui fummo creati. Senza orazione e senza unione con Dio, tutto si ridurrà a un vano martellare e a far poco più che niente, e alle volte proprio niente, anzi non di rado anche danno”. Si legge nella biografia di Santa Bernardetta che recitando il Rosario sottolineava particolarmente le parole: “prega per noi peccatori”. A chi glielo faceva notare, rispondeva: “Oh, sì! Bisogna pregare per i peccatori. È una raccomandazione della santa Vergine. Non si farà mai abbastanza per la conversione dei peccatori”. Poiché la malattia non la lasciava quasi mai, Bernardetta diceva: “Il mio mestiere è di essere ammalata: soffrire è il mio dovere. La preghiera è la mia unica arma: non posso fare altro che pregare e soffrire!”. Ed è questo anche il messaggio lasciato a Fatima dalla Madonna ai tre fanciulli: la sofferenza e il Rosario per la Chiesa e per i peccatori.

Le persone poi che assistono i malati, possono attingere dal Rosario la forza di essere sempre cordiali, amorevoli, pazienti verso chi soffre, rispettando il loro dolore.

3. Vorrei poi rivolgere una parola alle Suore Claustrali, che sono qui vicino a voi, cari ammalati. La loro presenza richiama, accanto al valore della sofferenza, quello della preghiera e della contemplazione.

Care sorelle claustrali, è per me fonte di gioia rivolgere la mia parola anche a voi, che vivete la vostra totale consacrazione a Dio in un servizio a Lui dedicato, diligente e attento, e rispondete così, quotidianamente, all’infinito atto di amore del Redentore, donando a Lui la vostra vita in sacrificio di lode.

E il gradimento di questo incontro è tanto più profondo e consolante perché a voi viene offerta l’occasione di esprimere in modo diretto l’impegno di fedele adesione a Cristo e alla Chiesa.

Tale è il compito di chi ha ricevuto il grande dono della chiamata dell’amore incondizionato a Cristo nell’esigente vita del monastero: staccarsi totalmente dal mondo per avere solamente Dio da abbracciare e contemplare.

La vita, a cui generosamente e con dedizione vi siete consacrate, è una forma privilegiata di amore a Dio e all’uomo, perché, in un mondo il quale tiene in considerazione soprattutto quanto uno sa fare o quanto possiede, essa è la testimonianza che il valore della persona e della sua esistenza non sta in ciò che essa compie e ottiene materialmente, ma in quello che essa è, nel rapporto che ha con l’infinita, eterna Bontà: con il Signore stesso.

La vostra, quindi, è una testimonianza di carità, di quell’amore di figli che ha le sue radici e il suo fiore più bello in quello di Cristo.

Il mio augurio è che diventiate come la Vergine Maria, la quale, amando suo Figlio, accoglie quelli che egli salva e chiama alla vita senza fine.

4. Ed è col ricordo della Beata Maria Gabriella che desidero concludere questo duplice incontro.

Voi conoscete la vicenda spirituale della vostra illustre consorella e compatriota: essa si offrì vittima per l’unità delle Chiese, e quanto dovette soffrire nella sua ultima malattia! La lontananza dal monastero e dalle consorelle, la mancanza di solitudine che la urtava tremendamente, le cure dolorose del pneumotorace, la difficoltà della convivenza e altre dolorose contrarietà così la facevano scrivere: “Ho il cuore straziato, e senza un soccorso speciale del cielo la mia croce è diventata tanto pesante che non posso più reggere . . . Questa vita è per me un tormento . . . Certe volte mi domando se il Signore non mi ha abbandonata; altre volte penso che egli prova quelli che ama; altre ancora mi sembra impossibile che Dio possa essere glorificato da questa vita”. Sono parole penosamente umane, che ci fanno comprendere come i Santi hanno avuto le stesse nostre difficoltà e oscurità. Ma poi Suor Maria Gabriella concludeva: “Finisco sempre con l’abbandonarmi alla divina volontà” (Lettera, 24 aprile 1938); “Mi sono rassegnata pienamente alla volontà di Dio, accettando di soffrire per la sua gloria . . . Adesso ho capito davvero che la gloria di Dio e l’essere vittima non consiste nel fare grandi cose, ma nel sacrificio totale del proprio io . . . Sento a poco a poco entrare in me una grande pace!” (Lettera, 3 maggio 1938).

Il Signore illumini anche voi, cari malati, consacrati alla sofferenza, e voi, care Sorelle claustrali, consacrate totalmente all’Amore, a comprendere sempre maggiormente il valore della Croce e a gustare la pace che proviene dalle consolazioni divine.

Con questi voti imparto a tutti voi, di gran cuore, la mia Apostolica Benedizione, pegno di copiosi favori celesti, che volentieri estendo alle vostre famiglie e a tutte le persone care.



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