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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI CAPPELLANI MILITARI D’ITALIA

Lunedì, 10 marzo 1986

 

Cari cappellani militari.

1. A distanza di poco più di sei anni, voi vi siete ritrovati a Roma e avete voluto riservare il primo momento del vostro Convegno a questo incontro, quasi per poter fare insieme la verifica del vostro impegno ecclesiale. Vi saluto con viva cordialità, rivolgendo uno speciale pensiero all’arcivescovo mons. Gaetano Bonicelli.

L’occasione, in verità, non potrebbe essere migliore. Voi ricordate oggi il 60° dell’istituzione da parte dello Stato del “servizio assistenza religiosa e spirituale per i militari d’Italia”. A tale determinazione, presa in un momento in cui i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia non erano ancora normalizzati, si era giunti in considerazione della preziosa testimonianza resa dai cappellani militari durante il primo terribile conflitto mondiale. Il mio predecessore Giovanni XXIII così definiva la vostra missione: “I ricordi e le esperienze della vita militare, dipingono con amabili tratti davanti al nostro sguardo la figura del cappellano militare, che rappresenta un aspetto nuovo e preziosissimo del moderno apostolato. I cappellani di ieri e quelli di oggi, nelle varie specialità di cui è loro affidata la cura spirituale, rappresentano infatti una possibilità nuova e immensa di bene, sulla quale la Chiesa fa grandissimo assegnamento. Essi vanno verso schiere innumerevoli di anime giovanili, robuste e gagliarde, ma talora esposte a gravi pericoli spirituali, per indirizzarle e formarle al bene”; e, in quella occasione, aveva definito come “un delicatissimo ministero di pace e di amore” quello dei cappellani militari (Giovanni XXIII, Discorsi, Messaggi, Colloqui, 11 giugno 1959, I, pp. 384, 383).

Basterebbe questo giudizio dato da uno che fu cappellano come voi e che la Provvidenza chiamò a reggere la sede di Pietro col nome di Papa Giovanni XXIII, per rendersi conto di quanto i primi cappellani militari abbiano ben meritato della Chiesa e della Patria.

È alla luce di questa prima dolorosa e gloriosa esperienza che si comprende l’importanza del cammino non facile di questi sessant’anni. Le difficoltà della vostra vita sacerdotale, spesa in condizioni particolari, non sono certo diminuite. C’è anzi da chiedersi se tutti, anche nel mondo cattolico, capiscono il vostro servizio poiché qualcuno chiama in causa il vostro stesso essere cappellani, prima ancora che il vostro fare.

Ora la fisionomia costitutiva di questo “essere cappellani” è ben definita nelle direttive e negli incoraggiamenti che non sono mai mancati da parte della Sede apostolica, la quale - come sapete - su richiesta dei vicari castrensi ha recentemente istituito in seno alla Congregazione per i vescovi un ufficio di coordinamento dei vicariati castrensi e ha in preparazione una costituzione apostolica sul vostro servizio pastorale, alla luce del Concilio Vaticano II e nel quadro della legislazione canonica, in aggiornamento della Istruzione “Sollemne semper” del 1951.

Un ministero sacerdotale su posizioni di frontiera

2. Il vostro ministero si svolge su posizioni di frontiera non solo per l’organico collegamento alla Chiesa e a una struttura dello Stato, ma per le implicazioni sempre più delicate dell’ambiente dove voi operate. Dove c’è un uomo, lì c’è lo spazio per il sacerdote. Molto più dunque dove gli uomini sono centinaia di migliaia. Ma non è possibile ignorare i condizionamenti e le esigenze di una situazione che evolve rapidamente e che oggi si presenta con aspetti drammatici.

Tutti vogliono la pace; ed è certamente un fatto meraviglioso nella crescita morale dell’umanità. Ma la pace, come insegna la Sacra Scrittura e la stessa esperienza degli uomini, è molto di più dell’assenza di guerra. “È l’uomo che uccide - dicevo nel Messaggio per la Giornata della pace nel 1984 (n. 2) - non la sua spada e nemmeno i suoi missili”. (Ioannis Pauli PP. II Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum, 1984, 2, die 8 dec. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 [1983] 1280) E due anni prima avevo ricordato che il cristiano sa che sulla terra una società umana totalmente e per sempre pacifica è purtroppo un’utopia, e che le ideologie, che la presentano come se potesse essere facilmente raggiunta, alimentano speranze irraggiungibili quali che siano le ragioni del loro atteggiamento. (Eiusdem Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum, 1982, 12, die 8 dec. 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 2 [1981] 1194 ss.) In un’epoca di sconvolgente trasformazione tecnologica, questo esige da noi tutti il dovere di guardare la complessa realtà “con mentalità completamente nuova” (Gaudium et Spes, 80).

Cari cappellani, siete chiamati anche voi a riflettere sempre più su questo terreno, nella preghiera e nello studio, al fine di dare ai vostri fedeli, responsabili ai vari livelli dell’istituzione militare o ai giovani in servizio di leva, orientamenti chiari e sicuri. È la sfida del nostro tempo ad esigere lucidità non meno che passione nel nostro impegno.

Il Concilio Vaticano II resta, anche in questo campo, il primo riferimento dottrinale e pastorale. Dai suoi documenti principali traspira l’anelito alla pace come tensione escatologica ed espressione storica del regno di Dio, ma anche il realismo legato alla condizione della volontà umana “labile e ferita dal peccato” (Gaudium et Spes, 78). Non si fa progredire la causa della pace negando la possibilità e il dovere di difenderla.

Alla Chiesa e alle comunità ecclesiali incombe il dovere di proporre i principi etici di convivenza umana e internazionale sui quali si fonda la concordia all’interno delle nazioni e tra i popoli. Tali principi devono penetrare nelle coscienze prima ancora che negli ordinamenti e hanno bisogno di animatori spirituali, come siete voi per missione, attenti e vigilanti, pazienti e forti. La causa della pace, e dunque della sopravvivenza dell’umanità, richiede oggi un’attenzione e un equilibrio particolari. Come sacerdoti siete chiamati a dare il vostro contributo a questa buona causa, educando gli uomini - i giovani soprattutto - alla maturità cristiana.

3. Per tutti questi motivi il compito del cappellano militare è diventato oggi più esigente, ma anche più prezioso, per la Chiesa e per l’intera società. Sappiamo tutti quanto la cultura del nostro tempo abbia perso il suo aggancio con Dio e, conseguentemente, con una precisa scala di valori che danno senso alla vita. Famiglia, scuola, parrocchia restano ancora capitali punti di ancoraggio, ma non riescono sempre a dare una formazione completa e adeguata ai giovani del nostro tempo. Essi vivono in un tempo incerto, molto spesso senza forza né ragione per condurre la vita con gioia e speranza. L’orizzonte per troppi di loro è oscuro e per alcuni è completamente chiuso. Non sarebbe saggio che la Chiesa trascurasse l’opportunità preziosa di incontro e di dialogo, legata al periodo del servizio militare. Esso è particolarmente delicato. I giovani per compiere un loro dovere morale affrontano disagi, sacrifici, difficoltà, nuovo ambiente, lontananza dalla famiglia, disciplina militare. Ma hanno anche l’opportunità di incontrare nuovi amici, di allargare i loro orizzonti, di acquistare una nuova esperienza, migliorando così la formazione della propria personalità. Di qui l’importanza dell’opera del sacerdote che si fa loro padre, fratello e amico, favorendo la loro formazione umana e il loro arricchimento spirituale. In questa prospettiva i cappellani aiuteranno a vedere il periodo di leva militare come un utile e spesso indispensabile servizio di pace e di libertà pur nel doveroso rispetto di legittime scelte alternative, che non possono però essere considerate esclusive o preferenziali.

Difensori della giustizia e costruttori di pace

In questo sforzo che orienta tutto il vostro ministero sul piano etico e su quello religioso, cari cappellani militari, non potete restare soli. Mi rallegro di sapere che, anche in vista del Sinodo dei vescovi 1987 che farà il punto sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, avete già avviato una seria riflessione sul corso di aggiornamento svolto nei mesi trascorsi. Proseguite con decisione e coraggio, coinvolgendo sempre di più i cristiani del quadro permanente e del servizio di leva, soprattutto quanti hanno esperienza e disponibilità di movimenti e gruppi ecclesiali.

4. Consentitemi un ultimo rilievo che si collega con gli inizi del vostro servizio, che ricordate proprio in questi giorni. La vostra presenza è stata talvolta interpretata e giustificata come mera conseguenza del principio di religione di Stato. Non è così negli altri Paesi e non è sicuramente più così in Italia. Per un significativo collegamento tra i principi della Carta costituzionale italiana e della dottrina della Chiesa, messa in luce dal Concilio Vaticano II, il vostro compito si iscrive come un servizio alla libertà e quindi anche alla promozione dell’uomo e al bene del Paese. E che cosa c’è di più importante dell’educazione delle coscienze? La libertà affonda le sue radici in una coscienza rettamente illuminata.

Servire la libertà non significa solo attendere quanti - e sono numerosi - bussano alla vostra porta. A tutti, con l’esempio della vostra fedeltà prima ancora che con il vostro insegnamento, dovete offrire dei modelli validi e delle proposte concrete di vita.

Bisogna avere rispetto per ogni persona; bisogna saper pazientare e amare quanti sono incerti nel cammino. Ma abbiate anche il coraggio e la gioia di proclamare e proporre la verità di Cristo. Non si può avere paura di Cristo quando si è portatori della forza e della mansuetudine che viene dal Vangelo di cui siamo ministri.

La consapevolezza della grandezza della vostra missione vi aiuti a superare ogni tentazione di sconforto e di disimpegno. Il regno di Dio esige determinazione (cf. Mt 11, 12) e costanza. Portate ai vostri reparti il mio saluto e la mia benedizione. Che i militari italiani, anche per la vostra azione instancabile, siano davvero, come li vuole il Concilio, difensori della giustizia e perciò costruttori di pace.

 

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