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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN FRUMENZIO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 10 febbraio 1990

 

Ai bambini  

Saluto cordialmente tutti i presenti, tutti i parrocchiani di questa parrocchia che non ho potuto visitare domenica scorsa. Oggi arrivo con tanto amore ed entusiasmo per incontrare la vostra comunità cristiana. Vi saluto di cuore. Il primo incontro del Papa è sempre con i bambini, con i parrocchiani più giovani. Questi sono i primi a incontrare il Papa, a salutare il Papa, a raccontare tante cose interessanti al Papa, come abbiamo appena sentito. Ma insieme con i bambini sono i loro genitori come anche i loro insegnanti, catechisti, catechiste, maestre. Possiamo dire che attraverso i bambini si manifesta tutta la parrocchia.

La parrocchia è una comunità della Chiesa di Roma, una comunità del popolo di Dio, una comunità in cui è presente e vive Cristo. Attraverso la sua parola, il suo Vangelo, soprattutto attraverso i sacramenti, l’Eucaristia, Cristo vive e fa vivere noi. E sono i bambini i primi a sperimentare questa vita che viene da Cristo, prima il battesimo, quando sono ancora piccoli e non si rendono conto del mistero che opera in loro, poi consapevolmente si preparano alla Comunione per ricevere Cristo, per nutrirsi con il suo corpo e il suo sangue nel sacramento dell’altare. E sono appunto questi bambini i primi qui presenti. Poi, dopo la prima Comunione si preparano alla Cresima, a questa confermazione dello Spirito Santo per maturare come cristiani. Così cresce la comunità, così cresce la persona, la personalità cristiana di ciascuno di noi, cresce la comunità cristiana, la parrocchia, la Chiesa di Roma.

Ma allo stesso tempo vi sono tante altre Chiese. Io porto ancora nei miei occhi le Chiese in Africa che ho visitato dieci giorni fa, queste Chiese povere materialmente, perché vivono nel deserto o nel semideserto, dove non crescono le cose necessarie ad alimentare le persone e le famiglie. Questa zona si chiama Sahel. Dobbiamo sempre ricordare questa parola perché essa ci ricorda dei nostri fratelli più bisognosi e noi dobbiamo pensare a loro così come tutta la comunità internazionale deve cercare di aiutare questi nostri fratelli e sorelle africani dei paesi della zona desertica. Ecco con questo ricordo voglio entrare nella chiesa ringraziandovi per la vostra presenza, per la vostra pazienza, perché avete dovuto aspettare una settimana, ma lo avete fatto con grande virtù. Anch’io gioisco di questo incontro, un po’ ritardato, ma che avviene nel pieno senso della visita pastorale.  

Al Consiglio pastorale  

Conclusa la celebrazione della Messa il Santo Padre inizia l’incontro con le diverse componenti della comunità parrocchiale. Il primo gruppo è il Consiglio Pastorale il cui rappresentante pronuncia un indirizzo di saluto al quale il Papa così risponde.  

Grazie di cuore per questa presentazione così concisa ma allo stesso tempo così ricca. Mi trovo davanti al Consiglio pastorale della parrocchia di San Frumenzio e non posso fare a meno di ringraziare tutti i presenti e i membri del Consiglio per il loro apostolato. Questo è il modo di esercitare l’apostolato dei laici accanto e insieme ai sacerdoti, ai vescovi, nella Chiesa e, in questo caso, nella Chiesa di Roma. Va sempre mantenuta questa prospettiva della parrocchia inserita nella Chiesa di Roma, nella Chiesa particolare, diocesana, ma inserita, attraverso questa Chiesa, nella Chiesa universale. Vi auguro, carissimi fratelli e sorelle, ciò che si deve augurare ai membri di un Consiglio pastorale. Vi auguro il dono divino, il dono dello Spirito Santo che viene chiamato “dono del consiglio”. Questa è una grazia specifica per tutti i consiglieri, consultori, membri dei consigli. Vi auguro questo nella vostra assemblea, qui riunita, ma ve lo auguro allo stesso tempo nella vostra famiglia, nel vostro ambiente di lavoro, ambiente di vita, in ogni ambiente in cui vi trovate. Così si costruisce la Chiesa, perché la Chiesa si costruisce non solamente nella Chiesa ma da per tutto. Apostolato vuol dire andare in tutto il mondo, in tutte le dimensioni del mondo, in tutti gli ambienti del mondo, e per questo ci vuole anche il “dono del consiglio” dappertutto presente e dappertutto operante.  

Il commovente incontro con la comunità degli handicappati  

Particolarmente commovente è l’incontro con il gruppo che riunisce gli handicappati che vivono nell’ambiente della parrocchia. Un gruppo il cui nome è emblematico e significativo insieme di tutta la vita della parrocchia:“CIAO”, cioè:“Contenti Insieme Andremo Ovunque”. All’inizio uno dei responsabili dell’assistenza rivolge al Papa un indirizzo di omaggio al quale il Santo Padre così risponde.  

Molte grazie per questa spiegazione della realtà in cui ci troviamo. È una realtà particolare, una realtà da una parte difficile, anche dolorosa, ma d’altra parte molto preziosa, molto promettente, perché tutti questi fratelli e sorelle stanno così vicino alla croce di Cristo, forse più vicino di qualsiasi altra persona. Nella croce di Cristo c’è la salvezza, loro sono quindi operatori della salvezza, collaboratori di Cristo. Forse non lo sanno, non se ne rendono conto, ma lo sa Cristo, e questa è la cosa principale. Ringrazio tutti coloro che si occupano dei fratelli handicappati, sono le mamme, i padri, i fratelli, le sorelle e i volontari. Vi ringrazio di cuore per la vostra opera che fa parte della missione della Chiesa, anzi ne è una parte essenziale, perché missione della Chiesa è soprattutto promuovere la carità, predicare la fede, promovendo la carità. La promozione della carità è la più grande, la più efficace predicazione della fede. Vorrei ringraziare questo gruppo che si chiama “ciao”, dicendo “ciao” a tutti “contenti, insieme, andremo ovunque”.  

Agli anziani  

Numeroso anche il gruppo degli anziani della parrocchia all’interno del quale si vive una qualificante esperienza non solo di condivisione ma anche di amore e di carità portata verso l’esterno. Nell’incontro con il Papa questo gruppo trova la conferma di un impegno e di uno stile di vita degna di essere vissuta sino all’ultimo istante. Una delle rappresentanti del gruppo rivolge al Papa parole di omaggio alle quali Giovanni Paolo II così risponde.  

Grazie per le bellissime parole, ma grazie soprattutto per il vostro essere insieme. È per me una grande consolazione vedere che non vivete isolati, solitari, ma che avete trovato un ambiente e che avete chiamato questo ambiente “amicizia”. Non basta che le persone stiano insieme, ci vuole amicizia per fare comunione e questo è mistero di Dio. Dio è uno, ma misteriosamente trino, perché è comunione. Noi attraverso le nostre diverse comunioni ci avviciniamo a questo mistero di Dio, grande, impensabile, superiore ai nostri pensieri, ai nostri cuori, ma nel nostro cuore si trova un indirizzo verso questo mistero. Io penso che voi avete trovato appunto questo indirizzo nella vostra amicizia, in questo ambiente che si chiama amicizia. Mi raccomando a voi e alle vostre preghiere, mi affido a queste preghiere. Sono convinto che potete molto davanti al Signore.  

Ai giovani  

L’incontro con i giovani della parrocchia è il momento del nuovo, forte appello del Santo Padre per le popolazioni del Sahel. 

Il vostro assistente mi ha spiegato all’inizio che qui mi trovo con alcuni giovani, ma soprattutto con quelli che sono gli animatori degli altri giovani, i catechisti. Voglio esprimere la mia gioia per questo, perché noi sappiamo bene che come il corpo senza anima non vive, così anche le comunità umana e cristiana non vivono senza animatori, senza coloro che portano l’anima. Vi auguro di essere animatori, di avere quest’anima sempre più ricca, più piena per poi dare agli altri. È questa la migliore realizzazione della vostra umanità, della vostra personalità, della vostra giovinezza.

Vorrei ringraziare ancora i membri del coro per il loro canto che è anche un’animazione. Il canto è sempre un po’ un’anima per l’assemblea liturgica. Lo sapeva molto bene sant’Agostino, ma non solamente lui. Già san Paolo parla della stessa cosa. Vi ringrazio anche per la vostra solidarietà con il Papa così come è trapelato dalle parole del vostro collega che ha parlato della mia ultima visita apostolica nei Paesi africani del Sahel. Vorrei dare una breve risposta alla domanda, perché il vostro accompagnamento nel mio viaggio attraverso Capo Verde, la Guinea-Bissau, il Mali, il Burkina Faso e fino al Ciad è stato per me molto prezioso così come l’accompagnamento di tanti altri fratelli e sorelle di tutto il mondo. La Chiesa è una comunità e anche se uno solo fa qualcosa, specialmente se questi è il Papa, il vescovo di Roma, lo facciamo tutti. Questa comunità è solidarietà.

Cosa ci vuole ora per dare una risposta al secondo appello di Ouagadougou, che è stato un po’ più forte del primo? Io penso che si deve intensificare la nostra consapevolezza dell’ineguaglianza, dell’ingiustizia che esiste in noi. Si deve intensificare, perché è molto facile semplicemente “passare” come nella parabola del buon samaritano: uno ha visto ed è passato oltre, l’altro ha visto ed è passato oltre, ma il terzo si è fermato. Il problema è fermarsi davanti a questa realtà, e questo è il primo frutto. Io mi rendo conto che questi appelli si ripetono. Specialmente il mondo ricco è abituato: “il Papa parla, il Papa parla, lasciamo passare, lasciamo passare”. Bisogna fermarsi! Bisogna cominciare a riflettere personalmente, poi nei gruppi, per cercare le soluzioni forse piccole, parziali, ma, finalmente, dalle soluzioni piccole, parziali, arriveremo forse a una soluzione globale. I mali del mondo sono tanti, questo è un male specifico, in un certo senso esemplare. Ma i mali del mondo sono molti, noi non possiamo lasciar passare, dobbiamo fermarci e riflettere, cercare, trovare, anche pregare. Penso che noi in questo mondo ricco dobbiamo pregare con tanta insistenza il Signore Gesù, suo Padre, lo Spirito Santo, affinché ci faccia capire, affinché ci faccia soffrire per queste situazioni per questa ingiustizia che è il mondo. Non basta ripetere le parole, bisogna formare un altro uomo, un’altra consapevolezza umana in questi ambienti. La ricchezza in se stessa non è una cosa cattiva, è un bene. Vi sono tanti ricchi che hanno dato tutto, come quell’industriale italiano, Candia, che dopo aver venduto tutto è andato a servire i lebbrosi in Brasile e tutto il ricavato della sua industria, della sua fabbrica, della sua impresa è stato investito in questo lebbrosario. Naturalmente questo è un esempio radicale, sono necessari questi esempi, ma si deve fare almeno un qualcosa, anche minimo, e forse un giorno questo può dimostrarsi troppo poco. Bisogna allora alzare sempre più le esigenze che ci facciamo.

Questa è la risposta alla vostra domanda. Vi ringrazio per quello che siete in questa parrocchia. La parrocchia ha bisogno di voi, della vostra animazione. Vi auguro di continuare sempre su questa strada.

 

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