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Monoteismo e violenza


di Alain Besançon

Ecco un libro sincero e onesto. L'autore è un uomo che pensa con la propria testa, lontano dalle istituzioni, che ha lavorato molto su un tema che da tempo gli sta a cuore; conosce bene il greco e l'ebraico, ha accumulato in proposito un sapere impressionante. Ha già scritto due libri interessanti sulle origini del cristianesimo e della religione biblica e in quest'ultimo (Jean Soler, La violence monothéiste, Paris, Editions de Fallois, 2008, pagine 469, euro 24) espone tutto il suo pensiero con una sincerità e un'onestà che fanno piacere e che, oggi come in ogni tempo, sono estremamente rispettabili. Offre materia di discussione.
La tesi è semplice e chiara. La Cina e la Grecia hanno prodotto civiltà equilibrate e di un'immensa fecondità. La Bibbia ha dato un modello di estremismo e d'intolleranza. "La visione del mondo che emerge dalla Bibbia ebraica si organizza in coppie di contrari:  "il nostro dio/gli altri dei", "il nostro popolo/gli altri popoli", per terminare con "ai nostri tempi/alla fine dei tempi". Fra i due termini di ogni popolo una separazione radicale è stata voluta dal Creatore. Separazione che deve essere mantenuta, se necessario con la violenza". Il paradigma di questa violenza è lo sterminio totale dei cananei da parte del popolo eletto quando prende possesso della terra promessa.
Il monoteismo, ecco dunque il nemico. La violenza monoteista è passata ai cristiani, che hanno smesso di essere perseguitati per diventare persecutori. Appena preso il potere, hanno emanato leggi contro gli eretici, gli ebrei, i pagani, hanno distrutto templi, chiuso le scuole filosofiche, lanciato le crociate, acceso i roghi dell'Inquisizione, e così via. Con l'islam la dimostrazione è ancora più facile.
Si vede che l'autore ha di nuovo in mano il dossier iniziato da Voltaire, ripreso da Hume e Gibbon, arricchendolo però con tutti gli elementi che sono stati aggiunti da due secoli di grande erudizione storica. I fatti sono innegabili e i riferimenti onestamente presentati.
Soler è ateo e predica l'ateismo. Su questo non c'è nulla da dire. Di tutte le forme possibili di religione, ritiene che il monoteismo sia la peggiore e fa un lungo elenco dei crimini e delle sofferenze che gli si possono imputare. La tesi è molto generale e i fatti sono correttamente riportati. Desidero tuttavia sollevare due obiezioni.
La prima riguarda il parallelismo fra Atene e Gerusalemme. È un vecchio tema, un luogo comune classico dal giovane Hegel fino a Chestov o Leo Strauss. Soler è innamorato della civiltà greca di cui offre un quadro bello e originale. La sua tesi diviene difficile da mandare giù quando egli sostiene che il declino della Grecia inizia da Platone e da Aristotele, perché questi infelici hanno intrapreso la via del monoteismo. Questo lungo capitolo tuttavia si legge con piacere e profitto. Accanto agli splendori ellenici, Israele fa evidentemente una figura modesta. In ciò vi è un equivoco che voglio denunciare.
Lo stereotipo è ammesso in generale nella seguente forma. Atene e Roma ci hanno dato la scienza, la matematica, la logica, la filosofia, la storia, il diritto, l'arte, la letteratura, la tragedia, la retorica, e così via. Israele ci ha dato la sua religione.
Israele era un piccolo popolo la cui civiltà dipendeva interamente dai grandi popoli vicini. Si è interessato poco, se non alla fine, a quello che il mondo greco poteva dargli. Ha prodotto la Bibbia, che giudicata con occhi greci, cioè profani, contiene belle pagine in una massa disordinata.
Ma la Bibbia non può essere considerata come una produzione del popolo ebraico, pena la perdita del suo interesse. Essa deve essere considerata come la Parola di Dio, come la sua Rivelazione, altrimenti non vale più granché. Quando Soler fa osservare la ricchezza e la flessibilità del greco e la povertà e la rigidità dell'ebraico (più di centomila parole da una parte, ottomila dall'altra), questo porta solo a supporre che le parole dell'ebraico erano sufficienti a contenere la rivelazione divina.
Alla luce della fede, e solo alla luce della fede, la Bibbia offre l'infinità del suo contenuto e la ricchezza, attraverso le epoche, delle diverse, e persino opposte, interpretazioni che ne sono state fatte. Senza la luce della fede, la Bibbia è un testo arcaico come tanti altri, paragonabile a quelli che ci hanno lasciato i popoli della Mesopotamia e gli antichi germani. Si dà il caso che i popoli eredi della Grecia e di Roma non hanno creduto a Israele, e neppure accolto la sua cultura, ma hanno creduto al Dio d'Israele, così come Israele lo aveva presentato. Per questo il parallelismo fra Atene e Gerusalemme non ha senso, poiché si possono paragonare solo le cose che appartengono allo stesso genere. Fra la civiltà da un lato, e Dio stesso dall'altro, non esiste paragone possibile.
Se si smetterà di credere a questo Dio, la Bibbia diverrà un oggetto di curiosità per gli esperti, e l'antico Israele ricadrà nella propria oscurità. Israele non ha "inventato Dio", come si sente dire a volte, altrimenti Dio non è più Dio, Israele è un popolo come un altro, e la sua Bibbia un documento ordinario.
La seconda obiezione è molto semplice. È certo che il monoteismo in quanto tale sia pericoloso. Esso presuppone che la verità assoluta esista e divide il mondo fra quanti la possiedono e quanti l'ignorano o la rifiutano. Da qui, indiscutibilmente, tutti gli orrori che Soler si compiace di enumerare. Andiamo però a vedere cosa è accaduto nell'India delle miriadi di dei, nella Cina di Tao o di Confucio, nel Messico precolombiano, nell'Africa degli spiriti della foresta. Si scopre una storia il cui abominio non è affatto inferiore al nostro. Quanto all'ateismo comunista o nazista, Soler se la cava assimilandolo a forme moderne di monoteismo. E questo è abbastanza specioso.
L'uomo è cattivo, la sua struttura è distorta. Rende cattivi tutti coloro che gli capitano a tiro, gli dei pagani, il Dio biblico, i Vangeli, i Lumi. Una volta divenuto ateo, come Soler spera che diverrà, l'uomo perpetrerà i suoi crimini per ateismo. Ha veramente bisogno di un Salvatore.

 

(© L'Osservatore Romano 14 febbraio 2009)