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Dietro i crolli delle Borse e gli attacchi all'euro

Finanza e politica alla resa dei conti


di Luca M. Possati

Stessa la forma, non la sostanza. I nuovi crolli delle Borse mondiali sono fondamentalmente diversi da quelli del 2008. Per attutire il colpo della crisi i Governi hanno immesso nella "pancia" delle banche un'enorme quantità di denaro con il prevedibile rischio di un aumento dell'inflazione. Tuttavia la previsione non si è avverata:  a crescere non è stata l'inflazione bensì il debito sovrano degli Stati. Le responsabilità dei Governi e dell'Unione europea sono tante, così come quelle della speculazione che attraverso le agenzie di rating tiene in ostaggio un euro ai minimi storici. Ma - Atene docet - il braccio di ferro tra politica e finanza questa volta potrebbe costare molto caro. Più che l'ennesimo piano di salvataggio, sembra necessario un cambio di rotta, un passo indietro su entrambi i fronti. A vantaggio dell'economia reale.
Che cosa sta accadendo davvero? Agli annunci di piani governativi per rafforzare i controlli sulle banche e sui bilanci le agenzie di rating rispondono con report che hanno tutta l'apparenza, più che di un'analisi imparziale della situazione, di minacce o avvertimenti. Report, inoltre, presentati secondo una tempistica che pare accuratamente calcolata, cioè in momenti decisivi per gli equilibri dei mercati. Si tratta soltanto di casualità o è in atto una guerra? Di battaglia ha parlato esplicitamente il cancelliere tedesco, Angela Merkel, chiedendo al Bundestag una risposta compatta:  "I nostri avversari sono gli speculatori". E tuttavia nelle ultime settimane proprio Merkel è stata accusata da più parti di reticenza verso il salvataggio greco o di sentimenti antieuropei a causa delle lentezze per l'approvazione degli aiuti. La lettera congiunta scritta qualche giorno fa dal cancelliere insieme al presidente francese, Nicolas Sarkozy, suona in effetti come un piano di battaglia:  più disciplina, più supervisione sui bilanci statali, più regole per i mercati e la proposta di creare un'agenzia di rating europea. Stesso tono è stato usato dal presidente del Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, che ha parlato di guerra agli speculatori. Martedì scorso la Borsa di Madrid è crollata del 5,4 per cento dopo che sui mercati si erano sparse voci su richieste di aiuti per oltre 200 miliardi del Governo all'Fmi.
Il vertice dell'Eurogruppo - tenutosi nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 - ha denunciato una situazione eccezionale sottolineando la necessità di un rafforzamento dei meccanismi di controllo previsti dal Patto di stabilità. Nessuna mossa concreta, dunque. Solo un faccia a faccia tra i leader per ribadire l'impegno di tutti all'unità. Una necessità dettata - secondo quanto traspare dalle dichiarazioni dei partecipanti - da un sentimento di timore e ansia ormai diffuso. Le domande che la riunione dell'Ecofin convocata per domenica 9 dovrà affrontare sono tante:  come garantire l'indipendenza della Bce? Chi valuterà le valutazioni delle agenzie di rating? Quale futuro per le intese di Maastricht?
Anche negli Stati Uniti la resa dei conti tra politica e finanza è molto tesa. Nel pieno del processo per l'approvazione della riforma finanziaria il peso delle lobby si sente eccome, in particolare sulla spinosa questione della chiusura delle banche "too big to fail". I provvedimenti allo studio sono tanti e controversi:  dalle nuove norme in difesa dei consumatori di prodotti finanziari agli inediti controlli congressuali sulla Fed. Ma l'epicentro dello scontro è un altro:  il caso Goldman Sachs, la banca accusata di frode dalla Sec. L'illustre superstite al terremoto del 2007 avrebbe venduto prodotti pieni di debiti senza fornire informazioni essenziali.
Il lato ironico della vicenda è che a difendere Blankfein e i suoi uomini è sceso in campo anche Warren Buffet, numero uno della Berkshire Hathaway (la finanziaria che detiene quasi il venti per cento di Moody's), a sua volta nel mirino del Governo. La Sec ha infatti aperto un'inchiesta sulle informazioni diffuse dalla società di Buffet per l'acquisizione da ventisei miliardi di dollari del colosso ferroviario Burlington Northern Santa Fe. Ma non è finita:  a lanciare un appello contro il possibile effetto di una re-regulation - ossia di un eccesso di regole - in nome della lotta ai troppi rischi è stato in questi giorni Henry Paulson, ex segretario al Tesoro e, soprattutto, ex amministratore delegato di Goldman. Al cospetto della Financial Crisis Inquiry Commission, Paulson ha sostenuto la tesi che troppe regole rischiano di soffocare l'innovazione sui mercati.
Ora, l'avvocato del diavolo direbbe:  se la politica fa il suo gioco, perché la finanza dovrebbe comportarsi altrimenti? Fare soldi senza tener conto di calcoli elettorali o di bisogni nazionali non è forse il suo mestiere? Perché dovrebbe arretrare? Domande legittime. Come sottolineano gli analisti, il vero problema è la mancanza di trasparenza in molti meccanismi finanziari, tra cui soprattutto il mercato dei credit default swap (le polizze contro il rischio del fallimento di società e Stati). Altrettanto vero è che quando le cose andavano bene molti Governi hanno tratto grossi vantaggi dagli eccessi dei mercati. La speculazione usa la politica per guadagnare; la politica usa la speculazione per ottenere il consenso. Prima o poi il circolo vizioso dovrà fermarsi. Le crisi servono a questo.