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L’Ue dopo la trattativa

Attrice non protagonista

di Giuseppe Fiorentino

 

Una forte sensazione di debolezza dell’Unione europea emerge dal vertice straordinario tenutosi a Bruxelles con la Turchia. Un summit ampiamente preparato che, nelle intenzioni dell’Ue, avrebbe dovuto formalizzare un accordo già raggiunto. Ma le nuove richieste avanzate da Ankara hanno fatto, per così dire, saltare il banco, rimandando tutto a un nuovo vertice in programma tra una decina di giorni.

Non sorprende certo che il Governo turco abbia cercato di trarre il maggiore beneficio possibile dalla trattativa. E in fondo non sorprende nemmeno una certa arrendevolezza dimostrata dall’Ue nei confronti della controparte. Con ogni probabilità nel prossimo Consiglio europeo i Ventotto concederanno ad Ankara l’aumento dei fondi richiesti per la gestione dell’emergenza profughi, oltre allo snellimento dell’iter per la concessione dei visti di ingresso ai cittadini turchi. Perché, come rilevano molti analisti, un accordo con la Turchia sulla questione delle migrazioni appare irrinunciabile per questa Unione europea, incapace di individuare, al suo interno, soluzioni sostenibili alla crisi.

Quello che manca è soprattutto coesione e unità di intenti, una carenza certo non nuova, evidenziata anche ieri da alcuni leader europei. Così mentre il primo ministro Viktor Orbán — commentando la richiesta di Ankara di ricollocamento in Europa di un rifugiato per ogni migrante illegale riportato in territorio turco — negava con fermezza la disponibilità dell’Ungheria, il premier britannico David Cameron, via twitter, sottolineava che il Regno Unito non entrerà a far parte di un sistema europeo per le richieste di asilo. Sono dichiarazioni in parte dovute a considerazioni elettorali. La Gran Bretagna, ad esempio, il prossimo 23 giugno si recherà alle urne per decidere sulla permanenza nell’Ue, con un referendum al quale Cameron — favorevole alla scelta europea dopo un faticoso negoziato con Bruxelles — ha legato il suo futuro politico. Allo stesso modo l’atteggiamento della Germania, fortemente favorevole all’accordo con la Turchia, sembrerebbe legato all’attesa per le elezioni di domenica in tre Länder: un voto che alcuni leggono come un test per il Governo dopo le politiche di accoglienza dei mesi scorsi.

L’impressione è che sulla base di valutazioni del tutto individuali, l’Unione europea, nel suo complesso, abbia semplicemente scelto di non affrontare il problema, delegando — solo temporaneamente e a caro prezzo — la sua gestione al vicino turco. Così facendo l’Ue ha ancora una volta rinunciato ad assumere un ruolo da protagonista. Come invece avrebbe dovuto fare sin dallo scoppio della crisi siriana, per evitare il massacro e per sottrarre milioni di persone alla migrazione forzata.

 

(©L'Osservatore Romano 9 marzo 2016)