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Obama a Cuba

Il concreto valore del dialogo

di Giuseppe Fiorentino

“Storica” è l’aggettivo più utilizzato in queste ore per definire la visita del presidente statunitense Barack Obama a Cuba. Una visita storica, viene detto, perché l’arrivo dell’inquilino della Casa Bianca all’Avana segna la caduta dell’ultimo pezzo di quel muro che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha diviso per decenni il mondo. Ma oltre a chiudere un’epoca di contrapposizioni, il viaggio di Obama nell’isola caraibica acquisisce una dimensione particolare, soprattutto perché indica una via raramente percorsa nella risoluzione delle controversie internazionali.

Quale sia questa strada lo ha fatto capire alcuni giorni fa il consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale, Ben Rhodes. «Abbiamo tentato per cinquantaquattro anni — ha detto — di fare cadere con l’embargo il regime comunista del partito unico per trasformare Cuba in una democrazia. Purtroppo non ha funzionato e, dunque, questa visita ufficiale dimostra solo che è giunta l’ora di provare un’altra via».

Al di là delle sue valutazioni sul modello cubano, Rhodes ha lasciato intendere che oltre mezzo secolo di muro contro muro non ha portato a nulla, se non a ulteriori irrigidimenti e a sofferenze sempre maggiori per la popolazione sottoposta all’embargo, letteralmente tagliata fuori dalla possibilità di sviluppo.

L’embargo resta ancora in vigore e non sarà facile per Obama ottenerne la revoca, proprio nell’anno delle elezioni presidenziali, da un Congresso controllato dai repubblicani. Ma la sua visita all’Avana e, nell’ottica cubana, l’accoglienza di un presidente statunitense fanno comprendere come il dialogo sia il cammino più efficace da percorrere nelle relazioni internazionali, anche in quelle più complicate.

Non è questa una valutazione improntata al buonismo o a una visione ristretta degli equilibri geopolitici. Distorte sono invece le considerazioni di chi si oppone al riavvicinamento in nome di vecchie appartenenze ideologiche, o peggio, per calcoli elettorali.

Parlarsi conviene — ed è un dato concreto — perché parlandosi ci si conosce e si possono davvero superare le divergenze. Divergenze che tra Stati Uniti e Cuba ancora esistono: sulla questione dei diritti umani come sulla chiusura definitiva di Guantánamo. Ma la possibilità di confrontarsi direttamente, attraverso normali canali diplomatici, costituisce il primo, necessario passo per cercare di raggiungere un accordo, come del resto è accaduto per l’intesa sul nucleare iraniano. E come, sempre a Cuba, sta avvenendo, dopo decenni di guerra, per il negoziato tra Governo colombiano e guerriglieri delle Farc, al quale in questi giorni dovrebbe partecipare il segretario di Stato John Kerry.

Ecco allora che la presenza di Obama all’Avana acquista una valenza anche simbolica, per ricordare a un mondo che sperimenta pericolose tentazione di chiusura — si pensi ai nuovi muri europei eretti contro i migranti — il valore concreto del confronto aperto.

(© L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2016)