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L’assemblea dell’Unione internazionale delle superiore generali

Ottocento suore

di Lucetta Scaraffia

Hanno invaso a Roma un grande albergo, dove si tengono abitualmente convention di partiti politici e di grandi multinazionali, ma non si sentono fuori posto. Sono ottocento suore che provengono da tutto il mondo — la traduzione simultanea è assicurata per undici lingue, fra cui il coreano, il vietnamita, il cinese — di età molto diverse, tutte superiore generali di congregazioni di vita attiva che si riuniscono per confrontare la loro visione del mondo di oggi, la loro idea della missione e della donna, ispirata alla tradizione cristiana ma inculturata in contesti molto diversi. Se, come ha detto di recente il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, la Chiesa gerarchica deve imparare ad ascoltare le donne, questa è un’occasione da non perdere.

Basta guardare il programma e la disposizione delle delegate in tanti tavoli per capire che questa riunione sarà molto diversa da quelle analoghe di religiosi e sacerdoti: un tratto più schietto e aperto, qualche ingenuità nel porre le questioni, nessuno spazio alla “politica” interna, ma molto all’autocritica e all’apertura al nuovo. Nuovo che è identificato soprattutto nell’enciclica Laudato si’, alla quale hanno in programma di dedicare non solo riflessioni e dibattiti ma, con un atteggiamento immediatamente concreto, l’intenzione di trasformarla in progetti e interventi.

Sono pronte anche a fare autocritica, ricordando la tentazione ricorrente in ambito religioso di mettere in concorrenza i carismi, di tenere per sé risorse economiche, edifici, novizie, creando ostacoli al lavoro comune. Un lavoro comune che è sentito come sempre più necessario, come contrappunto alla globalizzazione del pianeta, alla necessità di affrontare sfide sempre più grandi. E, sin dalla fondazione dell’organizzazione, cinquant’anni fa, sanno che il primo mezzo per conseguire questo risultato è la formazione, la cultura, che da mezzo secolo costituisce l’obiettivo fondamentale del loro impegno.

Il modello di religiosa che viene proposto per il futuro è ben diverso dal luogo comune della suora sottomessa: si parla di diventare sempre più «libere, coraggiose, audaci e volenterose», e naturalmente più istruite, capaci di misurarsi alla pari con gli uomini anche su tematiche fondamentali per la vita della Chiesa come la teologia e il diritto canonico. La nuova religiosa deve essere in grado anche di collaborare sempre meglio con gli organismi internazionali, per intensificare la forza degli interventi.

Interventi che da sempre, anche prima delle parole di Papa Francesco, erano rivolti alle periferie del mondo, ai più poveri, alle vittime della tratta di esseri umani. Ragion per cui oggi le parole del Pontefice le sorprendono già in prima linea, contente di trovarsi in perfetta sintonia con il suo messaggio e desiderose di realizzarlo in modo sempre migliore.

Speriamo che le ottocento delegate trovino il tempo e il modo per riflettere anche sulla condizione della religiosa, sul suo posto nella Chiesa e nelle società in cui vive, per sfuggire alla tentazione — che in questi ultimi decenni si è in parte verificata — di chiudersi in una comunità autoreferenziale. Speriamo che l’Unione internazionale delle superiore generali trovi le parole per uscire dall’isolamento, per farsi ascoltare dalle gerarchie ecclesiastiche con l’attenzione e il rispetto che meritano le migliaia di religiose rappresentate da questa associazione.

(© L'Osservatore Romano 11 maggio 2016)