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Rousseff destituita

Quale Brasile

dopo Dilma 

di Giuseppe Fiorentino

Il segno positivo, dopo tanti mesi di contrazione, ha accompagnato in questi giorni i dati relativi alle esportazioni brasiliane. Nel darne notizia, certa stampa internazionale considera il dato come di buon auspicio per Michel Temer, che ieri ha giurato come trentasettesimo presidente del Brasile. E alcuni media si spingono a sostenere che i seppur flebili segni di ripresa siano legati all’allontanamento di Dilma Rousseff, la quale, poco prima del giuramento di Temer, con un voto al senato (61 a favore e 20 contrari) era stata destituita dalla carica di capo dello stato.

Al di là delle difficili letture di indicatori economici, si può sottolineare come il voto conclusivo del procedimento di impeachment a carico di Rousseff ponga fine a un periodo molto travagliato della storia brasiliana. Un periodo segnato da inedite tensioni sociali, politiche e istituzionali che hanno condotto a una pericolosa polarizzazione, percepibile anche sui social network, dove in questi mesi si sono moltiplicati i confronti tra i sostenitori e gli oppositori di Dilma. I primi affermano che la ormai ex presidente sia stata vittima di un golpe istituzionale, come lei stessa ha ribadito di fronte al Senato riunito per decidere la sua sorte politica. I secondi l’accusano di essere parte integrante di quel sistema corruttivo che ha travolto il colosso statale dell’energia Petrobras.
A dire il vero lo scandalo Petrobras ha solo sfiorato Rousseff, mentre ha letteralmente azzerato le carriere di molti altri esponenti del Partito dei lavoratori (Pt). Dilma (in Brasile vige l’usanza di chiamare tutti per nome di battesimo) è stata invece messa in stato di accusa per avere taroccato i conti pubblici, dipingendo una situazione del paese molto più rosea di quella reale, davvero difficile. Rousseff ha negato ogni addebito, ma il mimino storico toccato dal suo indice di popolarità ben prima dell’impeachment è dovuto alla disastrosa situazione economica che lei, secondo le accuse, avrebbe in qualche modo cercato di nascondere.
Nel volgere di pochi anni il Brasile è passato da una condizione di brillante paese emergente, con una crescita galoppante, a una fortissima crisi. E crisi significa meno occupazione e più malcontento. Secondo certa stampa — la stessa che mette in diretta relazione il miglioramento delle esportazioni alla destituzione di Rousseff — la difficile congiuntura economica sarebbe essenzialmente dovuta alle scelte dei governi a guida Pt, vale a dire quelli di Dilma e, ancora prima, quelli di Lula. Esecutivi “colpevoli” di spese folli a favore delle classi più povere, destinatarie di costosissimi programmi di sviluppo sociale. Questo, oltre ad amplificare la presenza dello stato nell’economia, ha condotto a un vertiginoso aumento del debito pubblico, sottraendo risorse agli investimenti e allontanando gli investitori già scoraggiati dalla corruzione.

(© L'Osservatore Romano 2 settembre 2016)