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I rifugiati e l’Europa

Un’occasione irripetibile per passare dalle parole ai fatti

 

 

Giorgio La Pira ripeteva spesso che «i veri materialisti siamo noi che crediamo nella risurrezione di Cristo». Per il sindaco di Firenze, che aveva riscoperto la fede proprio nella notte di Pasqua del 1924 — quando, dopo la comunione, sentì «nelle vene circolare una innocenza così piena, da non poter trattenere il canto e la felicità smisurata» — questa provocazione, con cui si faceva beffe degli ideologi marxisti di ogni grado e latitudine, assumeva un duplice significato.

Da un lato, ribadiva con forza il cuore della fede cristiana — la risurrezione della carne — come evento incontrovertibile, al tempo stesso, storico e futuro. E, dall’altro lato, apriva immediatamente una riflessione sulla dimensione sociale del cristianesimo. Ovvero, su una fede che, coerentemente, inclina a prendersi cura di quello che Cristo stesso ha amato. «Cristo è anche uomo? Ma allora le cose dell’uomo sono cose di Cristo: i valori dell’uomo sono valori di Cristo: le pene e le gioie dell’uomo sono pene e gioie di Cristo».

Le «pene e le gioie» a cui faceva riferimento La Pira sono oggi simbolicamente racchiuse in questo giorno di Pasqua. Gioia immensa per il Risorto e dolore inesprimibile per uno dei fenomeni più drammatici e complessi della modernità: quello dei rifugiati, degli sfollati e dei richiedenti asilo. Drammatico per le durissime condizioni di vita di quei circa 60 milioni di uomini e donne in fuga dalla propria casa; complesso perché si scontra con un sentimento profondo dell’animo umano: la paura. La paura del diverso, dello straniero, del migrante. «La croce di Cristo — ha detto ieri Francesco durante la Via crucis — la vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate».

Oggi, in molte regioni del mondo, i campi profughi sono ormai diventate delle città invisibili. O meglio: delle città tragicamente visibili per chiunque vi entri in contatto, ma totalmente assenti dalle cartine geografiche. Eppure in molti casi, questi rifugi provvisori si sono ormai trasformati in luoghi di abitazione permanente. Si pensi, per esempio, ai campi dei rifugiati Saharawi nel deserto algerino che esistono addirittura dal 1976.

I campi dei rifugiati sembrano rappresentare, dunque, l’emblema doloroso di una Pasqua incompiuta. La strada del calvario sembra non essere ancora finita. Le condizioni in cui si trovano a vivere questi esuli assomigliano molto di più a un «inferno», come ha scritto proprio ieri questo giornale, che a un lembo di Paradiso. Le notizie che arrivano dai campi dei rifugiati in Grecia, da Lesbo o da Idomeni, sono spaventose. Una distesa di fango e disperazione ai margini dell’Europa. Una distesa di miseria e dolore in bilico tra l’indifferenza e molte parole al vento.

Tuttavia Papa Francesco, prima di lavare i piedi ai profughi del Cara di Castelnuovo di Porto, ha detto che «i gesti parlano più delle immagini e delle parole». Ecco, la Pasqua ci invita a «passare» dalle parole ai fatti. Ci esorta a prendere cura degli ultimi. Ci invita ad agire. Soprattutto per un’Europa che sembra sempre più in difficoltà, stretta tra una crisi economica infinita e una profonda crisi di valori. Paolo VI, in tempi non sospetti, ci invitava a riscoprirne l’anima. San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ci esortavano a riconoscerne le radici.

E allora quale miglior momento di questo per costruire concretamente un’Europa diversa, solidale e più umana? Quale migliore momento per dare un significato forte al volontariato internazionale? Quale migliore momento per le popolazioni europee — ma non solo per loro — di andare in soccorso verso chi è sofferente nei campi dei rifugiati e riscoprire, in questo modo, anche l’anima profonda e l’identità dell’Europa?

Moltissimi, oggi, evocano la ricerca di un’identità europea. Le identità, forse, si studiano sui libri ma, di sicuro, si costruiscono sul campo concreto della storia. Questa è un’occasione irripetibile.

di Gualtiero Bassetti

(© L'Osservatore Romano, 27 marzo 2016)