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Nella sedazione palliativa profonda e continua 

Il rischio dei secondi fini

di Ferdinando Cancelli

Il 28 novembre scorso è stato pubblicato dal Centre national de la fin de vie et des soins palliatifs (Cnspfv) un rapporto sull’applicazione della sedazione palliativa profonda e continua in Francia a due anni di distanza dall’entrata in vigore della legge Claeys-Leonetti. Le conclusioni alle quali giunge il gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Véronique Fournier, presidente del Cnspfv, lasciano molto perplessi. Alla fine del documento di 64 pagine sono espressi alcuni “paradossi” che ostacolerebbero la reale messa in atto di un “nuovo diritto”, quello alla sedazione profonda e continua fino alla morte in caso di “malattia grave e incurabile” come previsto dalla legge francese vigente. L’intero testo sottolinea come sull’argomento vi siano molti punti oscuri: definizioni non sempre univoche, incapacità di molti medici a mettere in pratica correttamente la procedura, confusione etica tra sedazione ed eutanasia solo per citarne alcuni. L’impressione però è che dietro l’ostinazione a cercare sempre dubbi e interrogativi siano sfuggiti al Cnspfv alcuni punti fermi evidenti e assodati.

Come riferito anche dal quotidiano «Le Monde», il 28 novembre stesso la Société Française d’Accompagnement et Soins Palliatifs (Sfap) pubblicava un comunicato stampa decisamente eloquente. La definizione di sedazione palliativa profonda e continua è ormai chiara: si tratta di indurre nel malato giunto agli ultimi giorni o ore di vita e afflitto da sintomi fisici o psichici non altrimenti alleviabili un sonno profondo in grado di fargli perdere la coscienza della propria sofferenza. Molti studi hanno messo in luce che la sedazione profonda e continua è cosa ben diversa dall’eutanasia a patto di rispettare contemporaneamente tre condizioni essenziali: malattia cronica evolutiva a prognosi infausta, morte attesa entro poche ore o giorni, presenza di sintomi refrattari. La sedazione palliativa è e deve restare una pratica eccezionale in cure palliative: nella nostra esperienza i malati sedati non sono più del 5-6 per cento tra tutti quelli seguiti. Il problema centrale del documento del Cnspfv è stato colto dalla vicepresidente della Sfap, Claire Fourcade, responsabile del polo di cure palliative del policlinico della Linguadoca a Narbonne: «nel suo rapporto — afferma la dottoressa Fourcade — il Centro nazionale considera la sedazione profonda come se fosse un obiettivo in sé. Ma nei nostri servizi l’obiettivo è quello di alleviare la sofferenza delle persone con tutti i mezzi che sono a nostra disposizione, non quello di raggiungere una certa “quota” di sedazioni».

Il fatto che la società scientifica francese che rappresenta diecimila curanti impegnati quotidianamente nei vari servizi di medicina palliativa non sia stata nemmeno consultata per la stesura del documento in questione lascia intravedere scenari inquietanti. Dietro un polverone di dubbi e domande gli intenti sembrano infatti chiari: qualcuno vorrebbe trovare il modo di utilizzare la sedazione profonda e continua, evidentemente anche applicata non nell’imminenza del decesso, come pratica eutanasica. Qualcuno vorrebbe addormentare le coscienze manipolando le evidenze scientifiche e lentamente distorcendo i principi stessi delle cure palliative. «Oggi — aggiunge la dottoressa Claire Fourcade — la confusione è alimentata solamente da coloro i quali hanno dei secondi fini o che non conoscono bene il soggetto».

(©L'Osservatore Romano, 5 dicembre 2018)