Index   Back Top Print


logo

Rammendi contro la tratta

di Lucetta Scaraffia

In genere le istituzioni internazionali che si mobilitano contro la tratta (Chiesa cattolica compresa) si muovono a partire dai vertici, elaborano programmi, documenti, allacciano contatti con i governi e con i capi religiosi più importanti. Le suore che, organizzate dalla Unione internazionale superiore generali (Uisg), fanno parte della rete Talitha Kum — composta a sua volta da 22 reti in ben 76 paesi — lavorano in modo molto diverso, partendo dal basso.

Le reti che collegano le loro iniziative sono composte da piccoli gruppi di religiose che lavorano sul campo, hanno in comune l’obiettivo — porre fine alla schiavitù moderna — ma sui metodi di intervento si diversificano molto. Ogni gruppo inventa il modo di azione più efficace in quel determinato territorio, crea alleanze con le persone che contano, che stanno proprio lì accanto a loro, che conoscono personalmente. Ricostruiscono metodi e obiettivi della tratta ascoltando le vittime che si rivolgono a loro per chiedere aiuto e consiglio: non producono inchieste statistiche, non raccolgono dati, ma sanno spiegare perfettamente cosa accade e perché. Un lavoro che somiglia molto all’attività prettamente femminile del rammendo: pazienza, abilità, fiducia di poter rinnovare una situazione deteriorata.

È questo che è emerso da un incontro dedicato all’Africa tenutosi il 3 dicembre nella sede della Uisg sulle religiose protagoniste contro la schiavitù. La coordinatrice Gabriella Bottani ha illustrato con grande chiarezza la situazione: il 50 per cento delle persone sono vittime di tratta all’interno dei paesi stessi, le altre vengono destinate ai paesi vicini o all’Europa. Esiste anche una corrente di migrazione dall’Asia verso l’Africa che è destinata, come quella africana, alla servitù nei paesi del Medio oriente. I tipi di lavoro forzato sono vari, nelle miniere, nella pesca, nella servitù, nel sesso. I bambini sono le vittime più fragili e più richieste: vengono sfruttati per l’accattonaggio, per il sesso, per la guerra e per la vendita degli organi. I bambini costituiscono il 64 per cento delle vittime della tratta, e contribuiscono ad abbassare un’età media che si situa fra i 16 e i 28 anni.

Chi riesce a sfuggire ai trafficanti, spesso con il corpo e l’anima segnati da violenze e torture, rischia di ricadere nelle loro mani se non riceve aiuto, chi sopravvive ha bisogno di molto aiuto per reinserirsi nella vita normale. Le sorelle creano rifugi, cercano di attivare reti di aiuto per garantire fughe o cure, per diffondere nella popolazione la consapevolezza di quello che accade.

È difficile far conoscere questo lavoro, far capire al mondo cosa accade: suor Gabriella dice che le notizie sono troppo tragiche, nessuno nei media le vuole ascoltare. Ma per fortuna le hanno ascoltate gli ambasciatori presso la Santa Sede di Gran Bretagna, Sally Axworthy, e di Irlanda, Derek Hannon, impegnati con i loro paesi in un forte contrasto della tratta e che hanno cominciato ad aiutarle dando fiducia proprio a loro, a questo metodo semplice ma efficace, se realizzato con coraggio e determinazione.

Sally Axworthy ha ricordato come l’impegno britannico sia nato dalla scoperta di casi di sfruttamento di emigrati all’interno del paese, e come l’impegno nei luoghi di origine debba sempre essere unito a un’attenzione degli europei ai vari modi in cui essi usufruiscono dello sfruttamento di altri per ottenere di più pagando meno. E ha ricordato come la Chiesa anglicana abbia diffuso un libretto in cui si invita ogni persona a verificare, per esempio, se il luogo dove fa lavare l’automobile sfrutta manodopera immigrata illegalmente, con salari da fame. E questa attenzione a come sono stati prodotti beni commerciali e agricoli che poi compriamo a basso costo è stata invocata anche da una religiosa africana presente alla conferenza.

Questo incontro è stato un grido di allarme, un’indicazione a quanto possa fare ciascuno di noi per contrastare la tratta. Ed è ancora una volta la prova di quanto sa fare la creatività femminile quando si muove liberamente all’interno della Chiesa.

 

(©L'Osservatore Romano, 4 dicembre 2018)