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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 19 maggio 1965

 

La gioia dell'unione con Dio e con i fratelli

Diletti Figli e Figlie!

Nostro desiderio sarebbe che ognuno di voi, per il fatto d’aver assistito, anzi - Noi speriamo - d’avere, col cuore e con la preghiera, partecipato a questa udienza generale, riportasse un vivo senso di gaudio spirituale. Vorremmo che ciascuno di voi, qui e dopo, si sentisse felice. Avesse cioè la fortuna di gustare uno di quei momenti di gioia interiore, che, come un lampo di luce, dànno chiarezza e senso alla vita; di quei momenti, che poi si ricordano non soltanto con nostalgia, come unici e belli, ma con rinascente conforto, per rimanere buoni, per restare fedeli.

Che la gioia sia nota caratteristica e indispensabile della vita cristiana, dello stato di grazia, voi ben sapete. Un cristiano può mancare di tutto; ma se è il cristiano unito a Dio nella fede e nella carità, non può mancare di gioia. È uno degli insegnamenti ricorrenti di San Paolo; egli ce ne fa obbligo ripetutamente: «Gaudete in Domino semper; iterum dico: gaudete», rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto: rallegratevi (Phil. 4, 4); e ce ne lascia intuire la ragione, scoprire la sorgente: la gioia dell’anima è il primo effetto, dopo la carità, di quella stupenda serie dei dodici frutti, che l’azione dello Spirito Santo produce nell’anima elevata alla vita soprannaturale (Gal. 5, 22); «All’amore di carità, osserva con la consueta acutezza logica e psicologica S. Tommaso, segue necessariamente il gaudio» (I, II, 70, 3). E il discorso sul gaudio cristiano porterebbe a lunghe e belle considerazioni: e come e perché differisca dalla felicità profana; e come e perché sia compossibile con le tribolazioni della vita presente, non certo risparmiate al cristiano: «Sovrabbondo di gaudio, diceva ancora San Paolo, in mezzo a tutte le mie tribolazioni» (2 Cor. 7, 4); e come e perché sarà successivo, in superlativa pienezza, alle sofferenze, tollerate quaggiù per la sequela di Cristo: «Tristitia vestra vertetur in gaudium, la vostra tristezza si trasformerà in gioia», come ha promesso Gesù (Io. 16, 20); e così via.

Ma la Nostra pretesa sarebbe ora di notare come questo incontro abbia una sua letizia particolare. Ricordiamo intanto che ogni incontro umano, motivato dalla carità del Signore, dovrebbe essere fonte di letizia. Ogni incontro cristiano chiama una misteriosa presenza di Lui, del Signore (cfr. Matth. 18,. 20); la quale, se appena avvertita, fa risalire alle labbra l’esclamazione del salmo: «Oh! quanto è bello e giocondo che i fratelli si trovino insieme!» (Ps. 132, 1). È il fascino delle nostre assemblee liturgiche, quando sono bene celebrate; esse rinnovano l’originale esperienza spirituale dei primissimi cristiani di Gerusalemme, quando essi si riunivano nelle case per le nascenti celebrazioni sacre dello «spezzare il pane» fraternamente «cum exsultatione et simplicitate cordis», con esultanza e con semplicità di cuore (Act. 2, 46). E non solo le riunioni religiose, ma anche quelle comuni, dei familiari, dei colleghi, degli amici, hanno per i cristiani vivi una loro letizia, che si interiorizza, una loro singolare irradiazione di gioia vivace e serena, che passa facilmente nei cuori, e che gli spiriti puri e sensibili, quelli dei nostri giovani, ad esempio, trovano spesso magnifica e irriproducibile altrove.

E che tale letizia possa effondersi in un incontro come questo, e immergersi nelle anime aperte ad accoglierla, a Noi tocca sovente osservare, non senza qualche confusione per ciò che si riferisce alla Nostra Persona, incapace e immeritevole di tale risultato dell’incontro stesso, ma anche con tanto Nostro conforto e tanta edificazione nell’osservare la gioia trasparente dai volti commossi e felici, che a Noi si rivolgono e che non sono più quelli di persone ignote e forestiere, ma quelli di figli, di fratelli e di amici, che gustano una speciale vibrazione di contentezza.

E Ci pare si tratti della gioia di sapersi e di sentirsi cattolici; una gioia, che dovremmo sempre coltivare e che qui diventa più facile, più dolce e più forte all’insorgere d’una specifica emozione. Non è estraneo a codesto fenomeno di gaudio spirituale l’esercizio della vostra fede e della vostra bontà, che appunto intuisce, quasi per visione sensibile e personificata, essere qui, sulla tomba dell’apostolo Pietro, il centro e, Dio voglia, il più devoto servizio, di quei valori supremi di unità, di verità, di carità, di grazia, che soli possono dare al cuore umano la suprema felicità. Pensiamo, ad esempio, al «gaudium de veritate», di cui discorre S. Agostino (cfr. Conf. X, 22; P.L. 32, 793-794). Forse si ripercuote qui la parola di San Pietro stesso: «Se credete, potete esultare di letizia indescrivibile» (1 Petr. 1, 8).

Carissimi Figli e Figlie! che venite con tanto vostro fervore e vostro disagio, e molti di voi da tanto lontano; voi che avete preparato i vostri animi a questo incontro, e certamente con lo scopo di trarne consolazione spirituale, oh! possiate qui gustare la gioia d’essere cattolici; d’essere nell’unità con Dio e con i fratelli; d’essere nella verità della Parola di Dio, offerta e garantita alla vostra fede dal magistero sicuro e paterno a ciò stabilito da Cristo; d’essere nella carità da Lui ricevuta e a tutti dilatata; d’essere nella grazia, che nel ministero apostolico ha la sua inesausta fontana.

Siamo ancora nel tempo pasquale, e possiamo a voi presentare questo augurio di cristiana felicità, salutandovi tutti col grido che lo esprime: alleluia! E con la Benedizione Apostolica che lo offre e lo avvalora.

                                        



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