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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 gennaio 1974

 

Ascoltare Cristo con intensa vita interiore

Il Natale è passato. Ma il Natale, per il fatto che in esso è commemorata la nascita di Gesù Salvatore; per il mistero che nel fatto è rivelato, cioè l’Incarnazione del Verbo di Dio; per la novità, che nel Natale s’introduce nel rapporto religioso fra l’uomo e Cristo, cioè la sua vicinanza al mondo, la sua convivenza fra gli uomini (da ricordare: «si è fatto carne, e abitò fra noi») (Io. 1 14); per la ripercussione spirituale che la celebrazione d’una tale festività vuole intenzionalmente produrre negli animi di coloro che vi hanno partecipato, il Natale, diciamo, non può passare del tutto; esso tende a prolungarsi, e non solo liturgicamente, ma spiritualmente, moralmente ed anche socialmente (tutti i gesti di bontà e di carità sgorgati dal Natale non miravano forse ad esprimere e a generare un sentimento umano, un atteggiamento pratico nella convivenza familiare, amichevole e civile, che ci circonda, di carattere permanente?); il Natale vuole rimanere; esige un «dopo-Natale». Ma quale? ma come?

Ritorniamo un istante al racconto evangelico, e raccogliamo un frammento, che vale un programma. Ecco il frammento, che ci istruisce circa il «dopo-Natale»; e dice così, bellissimo: «Maria conservava in Cuor suo tutte queste cose e le meditava» (Luc. 2,19). Sì, quanta umana bellezza in questa personale notizia, quanta spirituale ricchezza in questa candida confidenza. Molto probabilmente essa è la fonte genuina e diretta dell’evangelista che scrive; è Luca, il quale registra un particolare naturalissimo: come una madre, e una tale madre, non poteva rivivere nel pensiero il grande, personale avvenimento ch’ella aveva vissuto nella realtà della vitale esperienza?
Gesù era nato così, nelle circostanze che tutti ben conosciamo; come non doveva rinascere nella riflessione della madre felice e sola a conoscere il prodigio molteplice di quella nascita umano-divina? La memoria dapprima, la coscienza poi, la comprensione in seguito, la meraviglia, la contemplazione, infine, non sono forse le fasi della vita spirituale della Madonna, assurta, anche sotto questo aspetto, ad esempio, a tipo del processo interiore, che dovrebbe compiersi in ogni seguace di Cristo?

La conoscenza di Cristo, qualunque essa sia, immediata, sensibile, sperimentale, come fu negli apostoli e nella generazione coeva e convivente con Gesù (Cfr. 1 Io. 1, 1-2): «. . . quello che noi abbiamo veduto con gli occhi nostri, quello che noi abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato . . . noi lo attestiamo . . .», ovvero indiretta, per via di annuncio e di testimonianza (Cfr. Act. 2: Discorso di Pietro), prende un grande posto, una posizione dominante nella vita di chi ha avuto la sorte d’incontrarsi con Lui. Gesù fu, è e sarà presente; destinato ad esserlo sempre, in tutti; ma per quale via? in quale forma?
Di semplice conoscenza storica, o scientifica? di pura memoria, quale è riservata ai personaggi che hanno compiuto grandi imprese, o che hanno scritto opere, o influito con le loro azioni sul corso degli eventi umani? No, non soltanto così. La questione della presenza di Cristo nel mondo esteriore dei fatti e delle istituzioni, e in quello interiore dei cuori degli uomini è al centro della nostra religione; e il mistero del Natale, testé celebrato, concorre a presentarla nella sua. importanza capitale, e a suggerire alcuni principii relativi alla sua positiva soluzione.

Ancora noi ci chiediamo: come Cristo Gesù, di cui abbiamo commemorato la nascita, avvenuta al tempo di Cesare Augusto, a Bethleem, è presente ancora fra noi? Limitiamoci a cercare la sua presenza interiore, negli animi nostri, e, ripensando a Maria, rispondiamo: Gesù è presente, anzitutto, per via di fede, dentro di noi. Una parola di San Paolo dice tutto a questo riguardo: «Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede» (Eph. 3 , 17). Deriva da questa affermazione (che sarà poi integrata da un altro elemento essenziale, la grazia, e da un altro coefficiente strumentale, la Chiesa), tutta la vita spirituale della nostra religione. Possiamo dire, semplificando: il Natale dura in noi se Cristo nasce e vive in noi per via di fede, la quale non è una semplice nozione di Cristo, un’immagine, quasi una fotografia di lui, che supplisca la sua figura sensibile, ma è una forma misteriosa e vitale, che lo porta a vivere in noi. Ancora S. Paolo ce lo dice: il cristiano, cioè l’uomo giusto nel senso biblico, vive di fede (Cfr. Rom. 1, 17; 3, 26); e qui la fede non è attribuita alla pura testimonianza umana, ma alla parola di Dio.

Sappiamo queste cose, certamente; ma ci accorgiamo quanto siano estranee alla mentalità moderna, così estroflessa, così restia alla conoscenza per via di fede, così inetta alla meditazione nel santuario religioso della coscienza, e così inesperta al linguaggio dell’orazione mentale.
Ebbene noi a riapprendere questo linguaggio invece vi esortiamo. Senza di esso non possiamo colloquiare con Dio, non possiamo nemmeno ascoltare la sua voce, se a questo silenzioso dialogo Egli si degnasse intervenire. Ma esso fa parte di quel rinnovamento spirituale al quale l’Anno Santo ci deve condurre: saper pregare, e per pregare davvero, saper meditare. Grandi e innumerevoli sono i maestri (Cfr. CARD. G. LERCARO, L’orazione mentale, 1947; P. POURRAT, La spiritualité chrétienne, III, 1927; e fra i classici: S. TERESA, Cammino di perfezione e Castello interiore; S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo, libro VI; ecc.). Accogliete il loro invito; con la nostra Apostolica Benedizione.

Nel 775° della Regola dei Religiosi Trinitari

Ci sentiamo ora debitori di un particolare, affettuoso saluto al folto gruppo di Superiori e Religiosi dell’Ordine della SS.ma Trinità, convenuti a Roma per celebrare il 775° anniversario della approvazione della loro Regola.
Figli carissimi! Ci è sempre motivo di paterno compiacimento l’incontro con degni e benemeriti religiosi; e sempre siamo grati a coloro i quali, come voi, vogliono esprimere con la loro visita la conferma della consacrazione della loro vita a Cristo e alla Chiesa. Grazie vivissime per questa testimonianza di filiale pietà. Trovandoci innanzi a voi, che in questa solenne circostanza avete inteso definire meglio il compito del vostro Ordine nella Chiesa e nella società di oggi, noi vi diremo: siate fedeli alla vostra vocazione.
Questa fedeltà vi impone di ricollegarvi allo spirito primitivo e al carisma del vostro Istituto. Sorto per il riscatto degli schiavi cristiani e per le opere di misericordia, specialmente a favore dei poveri e dei pellegrini, esso trova nel mondo moderno altre forme di schiavitù per le quali è tuttora attuale il messaggio di carità redentivi che animò l’opera del vostro santo Fondatore.
Lode a voi che volete rendervi ognora più atti agli impegni di questo ideale apostolico, e volete viverlo in intimità di amore con la SS.ma Trinità, che è la nota caratteristica e la sorgente viva della vostra spiritualità.
Vi auguriamo di tornare ai vostri posti di lavoro di apostolato con rinnovato zelo e spirito di dedizione; e mentre vi assicuriamo la nostra preghiera, sia pegno delle abbondanti grazie divine per voi e per quanti sono oggetto delle vostre sollecitudini, la Benedizione che attendete, e che di gran cuore vi impartiamo «in nomine Domini».

                      



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