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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DEI SUPERIORI
E DELLE SUPERIORE MAGGIORI D’EUROPA

Sabato, 9 ottobre 1976

 

Diletti figli e figlie in Cristo Signore,

La visita, che avete voluto farci stamane, al termine delle intense giornate di studio, che vi hanno visti impegnati su di un tema particolarmente attuale e stimolante, come è quello de «La vita religiosa nella Chiesa locale», apre il nostro animo a sentimenti di cordiale e beneaugurante saluto. Abbiamo scorso attentamente lo schema degli argomenti, sui quali si è orientata la vostra riflessione in questi giorni ed abbiamo tratto l’impressione che da essi si possa raccogliere larga messe di utili considerazioni, da tradurre poi in fruttuose decisioni operative.

Desideriamo ora offrirvi una parola di incoraggiamento per incitarvi a generoso impegno nell’attuazione delle linee d’azione maturate nel franco dialogo intervenuto tra voi e con i rappresentanti della S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari. Vi sarà in ciò d’aiuto l’approfondita meditazione, che certamente proseguirete sul ruolo ecclesiale della vostra consacrazione religiosa.

Voi siete religiosi nella Chiesa e per la Chiesa. Lo rileva con chiarezza il Concilio Vaticano II, osservando: «Siccome . . . i consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono, congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero, la loro vita spirituale deve pure essere consacrata al bene di tutta la Chiesa» (Lumen Gentium, 44). Naturalmente vale anche l’affermazione reciproca, che cioè «la Chiesa difende e sostiene l’indole propria dei vari Istituti religiosi» (Ibid.), additando nello stato religioso un «segno», che preannuncia l’escatologico compimento del Regno di Cristo e ne anticipa in qualche modo le spirituali caratteristiche (Ibid.). Voi vi siete sforzati di calare queste affermazioni di principio nella concretezza della vostra vita nelle Chiese locali, nelle quali la «Chiesa di Cristo è veramente presente» (Ibid. 26), giacché esse «sono, nella loro sede, il Popolo nuovo chiamato da Dio con la virtù dello Spirito Santo e con grande abbondanza di doni» (Ibid.). Avete, di conseguenza, preso atto della funzione centrale, che nella Chiesa locale ha il Vescovo (Cfr. Christus Dominus, 15), «economo della grazia del supremo sacerdozio» (Cfr. Oratio consecrationis episcopalis in ritu byzantino citata in Lumen Gentium, 26) e chiamato a presiedere in luogo di Dio al gregge, di cui egli è pastore, quale maestro di dottrina, sacerdote del sacro culto, ministro del governo della Chiesa (Cfr. Lumen Gentium, 20).

Alla luce di questa riflessione, avete coerentemente concluso che l’impegno di vivere la vocazione religiosa nella Chiesa e per la Chiesa si traduce in quello di aprirvi, pur nel rispetto dell’indole e delle Costituzioni dei vostri Istituti, ad una generosa comunione di intenti e di opere col Vescovo diocesano. Il Concilio vi conforta in questa applicazione, sottolineando con particolare vigore il rapporto di collaborazione, che deve esistere tra religiosi e Vescovo (Cfr. Christus Dominus, 34),’ in ordine ad un efficace apostolato nell’ambito della Chiesa locale (Ibid. 35).

Come dovrà realizzarsi in concreto tale collaborazione? Alla domanda avete cercato di dare una articolata risposta nelle discussioni di questi giorni. Noi Ci limiteremo a richiamare la vostra attenzione su due momenti particolarmente importanti di questa collaborazione.

Innanzitutto il momento del reclutamento e della formazione delle vocazioni. Il problema della scarsità delle vocazioni sacerdotali e religiose è, oggi, tra i più preoccupanti nella Chiesa pur con i sintomi di consolante ripresa che si notano. Urge un’azione in profondità, che disponga il popolo cristiano dapprima a meglio apprezzare il dono della chiamata di Dio, poi a validamente sostenere lungo le asprezze del cammino coloro, che hanno aperto il cuore alla voce di Cristo. Questa azione guadagnerà certamente in efficacia, se tutte le energie esistenti nella Chiesa locale accetteranno di essere opportunamente coordinate dalla guida sapiente del Vescovo, come già disponeva il Concilio Vaticano II (Cfr. Optatam Totius, 2), stabilendo in concreto che le diverse iniziative fossero dirette «in maniera metodica e armonica» dall’organismo diocesano, che va sotto il nome di Opera delle vocazioni (Ibid.). Ciò si risolverà anche in vantaggio delle vostre rispettive Famiglie religiose.

Tale collaborazione, aliena da particolarismi non ammissibili in persone mosse dalla medesima fede, dovrà continuare anche negli anni successivi, destinati alla formazione morale e intellettuale dei candidati.

Il secondo momento della collaborazione che ci preme sottolineare per un efficace incremento della vita cristiana nella Chiesa locale è quello dell’attività apostolica a servizio delle anime. L’accennato problema delle vocazioni incide ormai molto nei diversi settori dell’azione pastorale. Si impone perciò anche a questo riguardo una giudiziosa amministrazione di tutte le forze reperibili nell’ambito della Chiesa locale. Ciò richiede innanzitutto una intelligente e lungimirante programmazione del lavoro, nel predisporre la quale il Vescovo non mancherà di valersi del consiglio di tutti i suoi collaboratori, tra i quali sono da annoverarsi anche i Religiosi sacerdoti (Cfr. Christus Dominus, 34), come pure in certa misura tutti gli altri religiosi e religiose (Ibid.). E non è chi non veda quale apporto stimolante le diverse Famiglie religiose, con la dimensione e il respiro universalistico loro propri, possono recare all’impostazione dell’azione pastorale diocesana. I Religiosi, però, a loro volta, vorranno disporre il loro animo a docile prontezza nell’aderire alle linee d’azione pastorale della Chiesa locale; che anzi, nel rispetto dello spirito originario del proprio Istituto, si mostreranno disposti ad accettare quei servizi ecclesiali che, non meno consentanei al carisma istituzionale, siano più utili alle esigenze del popolo di Dio. Una giudiziosa partecipazione alla così detta «pastorale d’insieme» sarà scuola e sarà merito anche per i Religiosi viventi nell’area della Chiesa locale.

Queste, carissimi figli e figlie, le considerazioni che la «sollecitudine per tutte le Chiese» (2 Cor. 11, 28) unitamente all’alta considerazione per il prezioso apporto vostro al comune spirituale progresso, ci hanno suggerito. Sorretti da Cristo, dal quale tutta la Chiesa, come si esprime l’Apostolo Paolo, «riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio» (Col. 2, 19) e fortemente convinti che ormai «non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal. 3, 28), voi ora tornate ai vostri rispettivi Paesi col generoso proposito di dedicare con rinnovato slancio tutte le vostre energie alla causa del Regno. Che lo Spirito di Cristo, nel quale tutti siamo stati battezzati per formare un solo corpo e al quale tutti ci siamo abbeverati (Cfr. 1 Cor. 12, 13), alimenti e fecondi questo impegno di comunione per la gloria di Dio e il maggiore bene della Chiesa. Ne è auspicio la Nostra Apostolica Benedizione.

                               



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