CAPPELLA PAPALE MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER Patriarcale Basilica di San Pietro
Is 61, 1 - 3a. 6a. 8b - 9 In questÂora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo. La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia  un ritratto che riceve tutto il suo significato dal momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice: ÂOggi si è adempiuta questa scrittura (Lc 4, 21). Al centro del testo profetico troviamo una parola che  almeno a prima vista  appare contraddittoria. Il Messia, parlando di sé, dice di essere mandato Âa promulgare lÂanno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio. (Is 61, 2). Ascoltiamo, con gioia, lÂannuncio dellÂanno di misericordia: la misericordia divina pone un limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso lÂunzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare  non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, ÂlÂanno di misericordia del SignoreÂ. Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il Âgiorno della vendetta per il nostro DioÂ? Gesù, a Nazareth, nella sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole  ha concluso annunciando lÂanno della misericordia. É stato forse questo il motivo dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di croce. ÂEgli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce Â, dice San Pietro (1 Pt 2, 24). E San Paolo scrive ai Galati: ÂCristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede (Gal 3, 13s). La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e lÂanno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza  diveniamo disponibili a completare nella nostra carne Âquello che manca ai patimenti di Cristo (Col 1, 24). Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi, della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come condizione e contenuto dellÂunità nel corpo di Cristo; ed, infine, della comune partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del mondo nella comunione col Signore. Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il cammino verso Âla maturità di CristoÂ; così dice, un po semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della Âmisura della pienezza di CristoÂ, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste lÂessere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere Âsballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina  (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale! Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo allÂaltro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo allÂindividualismo radicale; dallÂateismo ad un vago misticismo religioso; dallÂagnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sullÂinganno degli uomini, sullÂastuzia che tende a trarre nellÂerrore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare Âqua e là da qualsiasi vento di dottrinaÂ, appare come lÂunico atteggiamento allÂaltezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo unÂaltra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ÂAdulta non è una fede che segue le onde della moda e lÂultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nellÂamicizia con Cristo. É questÂamicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito  in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde  una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dellÂesistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come Âun cembalo che tintinna (1 Cor 13, 1). Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: ÂNon vi chiamo più servi ma vi ho chiamato amici (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce lÂamicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: Âquesto è il mio corpo...Â, Âio ti assolvo...Â. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità  il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che Âha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici  e noi come rispondiamo? Il secondo elemento, con cui Gesù definisce lÂamicizia, è la comunione delle volontà. ÂIdem velle  idem nolleÂ, era anche per i Romani la definizione di amicizia. ÂVoi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (Gv 15, 14). LÂamicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: ÂSia fatta la tua volontà come in cielo così in terraÂ. NellÂora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia  e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: ÂNon come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia! LÂaltro elemento del Vangelo - cui volevo accennare - è il discorso di Gesù sul portare frutto: ÂVi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dellÂesistenza del cristiano, dellÂapostolo: vi ho costituito perché andiate Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: lÂinquietudine di portare a tutti il dono della fede, dellÂamicizia con Cristo. In verità, lÂamore, lÂamicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri  siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. LÂunica cosa, che rimane in eterno, è lÂanima umana, lÂuomo creato da Dio per lÂeternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane  lÂamore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre lÂanima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio. Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera dice - con le parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in cielo, Âha distribuito doni agli uomini (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo  il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.
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