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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AL TERMINE DELLA LETTURA DEL DECRETO
DELLA SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI
SULLE « VIRTÙ ESERCITATE IN GRADO EROICO »
DALLA SERVA DI DIO TERESA DEL BAMBIN GESÙ

Aula Concistoriale del Palazzo Vaticano
Giovedì, 14 agosto 1921

 

Non è spenta l’eco della parola con cui, nel proclamare l’eroismo delle virtù del Venerabile Fournet, Noi dicevamo in quest’aula medesima — or fa poco più di un mese — che la Francia sembrava aspirare ad un nuovo nome, al titolo invidiabile di « madre di Santi! ». Ed ecco che possiamo oggi additare il profumo di un altro fiore sbocciato in suolo francese; ecco che abbiamo oggi dovuto dichiarare eroiche anche le virtù di Suor Teresa del Bambin Gesù, monaca professa nel Carmelo di Lisieux. Noi Ci rallegriamo della conferma che l’odierno decreto viene a dare alla Nostra parola testé rammentata. Ce ne rallegriamo per l’onore che ne deriva alla Francia cattolica, e per la legittima soddisfazione che ne ha la diocesi, in cui si ammira il giardino che quel vago fiore educò e crebbe sino al suo completo sviluppo.

Ma a queste ragioni di letizia a Noi suggerite dalla benevolenza che nutriamo verso la Nazione di Clodoveo e di San Luigi, si aggiunge un motivo di ulteriore compiacenza, suggerito dall’indole speciale della virtù informatrice di tutta la vita di Suor Teresa di Gesù Bambino. Imperocché non vi ha persona a cui sia giunta una qualche notizia della vita della piccola Teresa, e non unisca la sua voce al mirabile coro che proclama quella vita informata alle doti dell’infanzia spirituale. Ora egli è questo il « segreto della santità » non pur dei francesi, ma di tutti i fedeli sparsi nel mondo cattolico. Abbiamo dunque ragione di sperare che l’esempio della novella eroina francese possa accrescere il numero dei perfetti cristiani, non solamente tra i connazionali di essa, ma altresì fra quanti son figli della Cattolica Chiesa. All’uopo si richiede un giusto concetto dell’infanzia spirituale. Ma l’odierno decreto, che addita una pia alunna del Carmelo giunta all’eroismo della perfezione mercé la pratica delle virtù che formano l’infanzia spirituale, non è desso ordinato a propagare di questa infanzia spirituale il giusto concetto? Vede ognuno quanto sia plausibile il motivo che Noi abbiamo di estendere la Nostra letizia oltre alle ragioni che Ci fanno gioire coi figliuoli di Francia: vede ognuno 153 come tutti i fedeli di qualunque nazione, età, sesso e condizione debbono mettersi animosi in quella via, per la quale Suor Teresa di Gesù Bambino raggiunse l’eroismo della virtù.

L’armonia, che corre fra l’ordine dei sensi e quello degli spiriti, ci permette di argomentare dal primo le doti di quell’infanzia spirituale che apre l’adito al secondo dei due ordini indicati. Osserviamo perciò un fanciullo, che muove ancora incerto il passo, e non ha del tutto spedito l’uso della favella. Se un coetaneo lo insegue, se un bimbo più forte lo minaccia, o se l’improvviso apparire di una bestiola gli mette paura, dove corre affannoso? dove cerca riparo? fra le braccia della madre! Accolto dalla madre, e stretto al seno di lei depone ogni timore e lascia uscire liberamente quel respiro di cui i suoi piccoli polmoni non sembravano omai più capaci; guarda anzi coraggioso chi gli è stato cagione di affanno e di spavento, e sembra provocarlo a tenzone, quasi dicendo: « sono ormai affidato a sicuro usbergo; nelle braccia della madre mia mi abbandono con piena fiducia non pur di essere tutelato contro ogni assalto nemico, ma anche di essere condotto dove meglio convenga al mio sviluppo fisico ». Analogamente l’infanzia spirituale è formata da confidenza di Dio e da cieco abbandono nelle mani di Lui.

Non è malagevole rilevare i pregi di questa infanzia spirituale, sia per ciò che esclude, e sia per ciò che suppone. Esclude infatti il superbo sentire di sé; esclude la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale; esclude la fallacia di bastare a sé, nell’ora del pericolo e della tentazione. E, d’altra parte, suppone fede viva nella esistenza di Dio; suppone pratico omaggio alla Potenza e alla Misericordia di Lui; suppone fiducioso ricorso alla provvidenza di Colui, dal quale possiamo ottenere la grazia e di evitare ogni male e di conseguire ogni bene. Sono così mirabili i pregi di questa infanzia spirituale, tanto se si considera nel lato negativo quanto se si mira nel positivo, che non reca meraviglia averla il Divino Maestro additata come condizione necessaria per conseguire la vita eterna.

Un giorno trasse Egli fuori dalla folla un fanciullo, e, mostrandolo ai discepoli, disse: « In verità vi dico, se non vi cambierete e non diventerete come pargoli, non entrerete nel regno dei cieli » (Matth., XVIII, 3). Oh! la eloquente lezione che distruggeva i falsi concetti e le ambizioni di coloro che, figurandosi il regno dei cieli come un impero terreno, ambivano di avervi i primi posti, epperò chiedevano: « Chi sarà il primo nel regno dei cieli? E per precisare anche meglio che l’infanzia spirituale sarebbe stata cagione di preminenza nel regno dei cieli », il Divino Maestro proseguiva dicendo: « Chiunque pertanto si farà piccolo come questo pargolo, quegli sarà il più grande nel regno dei cieli ». Un altro giorno alcune mamme presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, e i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano; ma Gesù se ne sdegnò e disse loro: « Lasciate venire a me i piccoli, e non glielo impedite, ché di questi è il regno di Dio ». Anche allora conchiuse: « In verità vi dico, chi non accoglie il regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà » (Marc., X, 15). È notevole la forza di questo divino linguaggio; perché, non pago di affermare con accento positivo che « il regno dei cieli è dei pargoli » o che quegli sarà il più grande nel regno dei cieli il quale si sarà fatto piccolo come un pargolo, insegna ancora con forma di esplicita esclusione che non entreranno nel regno dei cieli coloro i quali non saranno diventati come pargoli. Ora quando un maestro porge una lezione in varie forme, non significa egli, con quella moltiplicità e varietà di forme di insegnamento, che quella lezione gli sta particolarmente a cuore? tanto si adopera ad inculcarla ai discepoli perché desidera che, in virtù dell’una o dell’altra forma, sia da essi appresa. Dobbiamo dunque dire che al Divino Maestro premeva che i suoi discepoli sapessero essere l’infanzia spirituale condizione necessaria per conseguire la vita eterna.

Di fronte a questa fermezza e costanza di insegnamento, non parrebbe possibile trovare dei negligenti nel seguire la via della confidenza e dell’abbandono nelle mani di Dio, tanto più che il divino linguaggio, non solo per la generalità della forma, ma anche perché ne contiene la specifica indicazione, dice obbligatoria questa via anche a coloro che hanno perduto l’ingenuità infantile. Poteva alcuno credere che la via della confidenza e dell’abbandono in Dio fosse suggerita solo a quei pochi fortunati ai quali la malizia non ha tolto le grazie del fanciullo, quasi che l’infanzia spirituale non potesse aversi dove più non si trova semplicità infantile. Ma le parole del Divino Maestro: « Se non vi cambierete e non diventerete come pargoli » non indicano la necessità di un mutamento e di un lavoro? « Se non vi cambierete »: ecco indicato un mutamento che devono fare i discepoli di Gesù Cristo per ritornare fanciulli, e si comprende che deve « tornare » fanciullo chi più fanciullo non è! « Se non diventerete come pargoli », ecco indicato un lavoro che devono compiere i discepoli di Gesù Cristo per apparire fanciulli, e si comprende che un uomo può lavorare per essere ed apparire ciò che non è mai stato o ciò che più non é; ma poiché l’uomo non può non essere stato fanciullo, le parole « Se non diventerete come fanciulli » importano l’obbligo di lavorare per riprendere le doti del fanciullo. Sarebbe ridicolo il pensare alla possibilità di riprendere l’aspetto e la debolezza dell’età infantile; ma non è fuor di ragione scorgere nelle divine parole un ammonimento, rivolto anche agli uomini di età matura, per farli tornare alla pratica di quelle virtù che costituiscono l’infanzia spirituale.

Al divino ammonimento, nel decorso dei secoli, doveva crescere forza l’esempio di coloro che, appunto per la pratica di tali virtù, raggiunsero l’eroismo della cristiana perfezione. La Chiesa additò sempre un tale esempio, allo scopo di rendere meglio inteso e più universalmente seguito quel divino ammonimento. Ed oggi ancora non mira a diverso fine, quando proclama le virtù eroiche di Suor Teresa di Gesù Bambino.

Imperocché questa avventurata serva di Dio al divino servizio non consacrò lunghi anni né ardue imprese; eppure in meno di cinque lustri apparve piena di meriti: sebbene alunna di un Ordine religioso in cui il serto dei dottori è vanto anche del sesso debole, non fu nutrita di forti studii; eppure ebbe tanta scienza che conobbe per sé, e seppe additare anche ad altri la vera via della salute. Ma donde quella copiosa messe di meriti? dai frutti maturati nel giardino dell’infanzia spirituale; donde questo ampio corredo di dottrina? dai segreti che Dio rivela ai pargoli.

Forse la figliuola di Stanislao Martin, che vide la luce ad Alençon il 2 gennaio 1873, parve ad alcuno inclinata a spensieratezza, perché una sorella di essa depose che avea sortito indole vivace ed allegra; ma convengono tutti i testimonii nell’affermare che la sventura, toccatale a cinque anni colla perdita della madre, impresse nell’anima della piccola Teresa una grande serietà ed assennatezza. E perché non dire che il Signore voleva mostrare anche in lei un rapido cambiamento ed un lavoro sollecito nell’adornarsi dei pregi dell’infanzia spirituale, affinché col suo esempio potesse riprodurre tutto intiero il divino insegnamento: « Se non vi cambierete… se non diventerete come pargoli »?

Il certo si è che Teresa, varcato appena il suo primo lustro, apparve così giudiziosa nelle parole e negli atti da mostrar senno superiore all’età: specialmente mirabile fu in lei la prontezza con cui riferiva a Dio ogni beltà ammirata nelle creature, e con cui solo da Dio attendeva il rimedio ai mali lamentati, vuoi in sé, vuoi nel prossimo. Oh! quella prontezza di andare a Dio, specialmente nell’ora dell’affanno e della contrarietà, come riproduceva bene la prontezza del fanciullo nel correre a nascondersi fra le braccia della madre, quando ha il presentimento di non poter bastare a se stesso. Il ricorso di Teresa alla preghiera era così frequente, e così completo era l’abbandono di lei nelle mani di Dio, che la vita sulla terra non le sembrava nemmeno meritevole di essere paragonata a quella del cielo. Amava essa di purissimo affetto i parenti, eppure, quando li sapeva infermi, era angustiata dal timore che, pregando per la loro guarigione, avrebbe potuto contribuire a ritardare ad essi ciò che diceva valere assai più, la vita del cielo!

Di qui è facile arguire che col crescere degli anni le virtù dell’infanzia spirituale dovettero radicarsi sempre meglio nell’anima della piccola Teresa. Ma la facile supposizione fu superata dalla realtà. Ce lo persuade il contegno tenuto dalla fanciulla nell’ora più decisiva del suo avvenire. Il padre, vero modello di genitori cristiani, si era rassegnato a vedersi privato dell’assistenza anche dell’ultima figlia; non aveva anzi celato il nobile orgoglio di consacrare al divino servizio tutti i suoi discendenti. Ma così non la pensava il fratello della madre presso cui Teresa dimorava; così non la pensavano, almeno quanto al tempo di appagare il voto di lei, né il Vescovo della diocesi, né il Superiore del monastero di Lisieux, dove, appena quattordicenne, essa anelava rinchiudersi. Invano però avremmo aspettato che un lamento uscisse dal labbro di Teresa, contro la dichiarazione dello zio che non avrebbe consentito a farla entrare al Carmelo prima che avesse diciassette anni, né contro quella del Superiore, il quale avrebbe voluto farle attendere l’anno vigesimo primo. Oh! come doveva gemere la colomba, ansiosa di correre a nascondersi fra i sacri recessi del Carmelo! Ma i suoi gemiti esponeva solo a Dio: temendo anzi che da Dio potesse venire l’opposizione dei parenti e dei superiori, non contraddiceva ad essi né con gesti né con parole, sicché essi poterono credere indizio di acquiescenza quel silenzio, che era solo espressione di confidenza e abbandono in Dio.

Né si mutò il contegno di Teresa, quando le riuscì vano il coraggioso appello fatto direttamente al Papa. Oh! la inutilità del lungo viaggio, i sensi di disapprovazione e forse di disprezzo così largamente suscitati, avrebbero potuto farle preferire il consiglio dell’uomo, opposto a quello che essa avea creduto giudizio di Dio. Ma l’eroismo della virtù suppone costanza e assiduità di atti, e la giovanetta Teresa, che doveva toccare la cima della cristiana perfezione mercé l’esercizio delle virtù che formano l’infanzia spirituale, non poteva non moltiplicare affetti di confidenza e proteste di abbandono nelle mani di Dio, quando negli uomini trovava più aperta la contraddizione e più insistente il rifiuto. Ah! il Signore le moltiplicava le prove, ed essa le abbracciava come occasioni di distaccarsi ognora più dall’affetto alle creature, e di stringersi sempre più fortemente allo Sposo dell’anima sua.

Nemmeno quando il suo Vescovo aveva finalmente aderito alle reiterate sue istanze, ne poté avere il sollecito appagamento, perché la Priora di Lisieux le ritardò ancora oltre quattro mesi l’ingresso al Carmelo. Teresa avrebbe allora potuto farsi forte della parola del Pontefice Leone XIII, che le avea intimato di fare « ciò che avrebbero detto i Superiori » perché tra i Superiori essa venerava anzitutto il suo Vescovo. Ma le sue insistenze, se motivate da quel fatto, avrebbero potuto far credere che Teresa, per raggiungere la méta si valeva di argomenti umani, la sua confidenza in Dio sarebbe apparsa come diminuita: evidentemente non sarebbe stato più completo il suo abbandono nelle mani di Lui. Preferì dunque non rammaricarsi innanzi alla contrarietà del nuovo indugio, e continuò a mantenersi tranquilla nella persuasione che Iddio dà, a tempo opportuno, il premio a coloro che in Lui confidano.

E il premio infatti venne per Teresa il 9 aprile 1888. Non senza disposizione divina fu posta sotto la protezione del Fanciullo di Betlemme e poté intitolarsi da Gesù Bambino. Non andrebbe errato chi dicesse che, col darle il suo nome, il Santo Bambino volle premiare la cura, che essa aveva già avuta, di onorare le virtù della sua Infanzia. Ma perché non dire altresì che in quel nuovo nome la pia donna del Carmelo ravvisò un novello stimolo ad abbandonarsi sempre meglio nelle mani di Dio? Il Fanciullo di Betlemme appariva ai suoi occhi nelle braccia della Santissima Madre, docile e pronto a farsi portare da Betlemme in Egitto e dall’Egitto a Nazareth: essa perciò si metteva nelle braccia della santa Regola Carmelitana, e si lasciava portare dove l’obbedienza la voleva. Il divino operaio di Nazareth le appariva sempre intento ai lavori che gli erano commessi dal Padre putativo, sempre obbediente ai cenni di chi rappresentava l’autorità del Padre Celeste: ad imitazione di Lui, Suor Teresa si affrettava a compiere quanto le era comandato dalla Priora e dalla maestra delle Novizie, e tutto compieva così perfettamente, senza muover lamento o fare osservazione di sorta, come se non avesse avuto volontà sua propria. Fu così mirabile in Teresa cotesta imitazione delle virtù di Gesù Bambino, che, se già non le fosse toccato in sorte il nome del Fanciullo di Betlemme, le consorelle avrebbero dovuto chiamarla con quel nome benedetto. Alla santa sua Madre era apparso un giorno il Divino Maestro, e, avendole chiesto come si chiamava, la pia Fondatrice del Carmelo aveva risposto: «Teresa di Gesù », meritando che l’apparso Signore le dicesse: « ed io sono Gesù di Teresa ! ». Non altrimenti la carmelitana di Lisieux poteva dire che si chiamava Teresa di Gesù Bambino, perché il Bambino Gesù era il maestro e il modello di Teresa.

A questo pubblico plauso fu dovuta l’elezione di Suor Teresa a coadiutrice della Maestra delle Novizie, malgrado la giovane età e nonostante la recentissima data della professione. Oh! era il Signore che, sapendola destinata a vita breve, voleva farle compiere grandi cose in corto spazio. Essa infatti si valse del nuovo ufficio per crescere nella virtù; ma questa non la distolse, la perfezionò anzi nei pregi dell’infanzia spirituale. Imperocché la differenza dei caratteri nelle persone colle quali doveva trattare, non alterò mai la sua tranquilla soavità, né la molteplicità delle domande colle quali veniva assalita le pose mai sul labbro un accento di impazienza. A Gesù Bambino faceva appello nei suoi dubbi; e da quel Fanciullo, che nell’officina di Nazareth « si era visto crescere in età ed in sapienza » (Luc., II, 3), non tardava a ricevere la soluzione delle sue difficoltà.

In questo tenore di vita Suor Teresa di Gesù Bambino perseverò costante negli otto anni della sua professione religiosa. Non crediamo perciò di dover insistere più oltre nell’additare la virtù caratteristica di lei, o nel dimostrare come mercé l’esercizio di tale virtù poté Teresa raggiungere l’eroismo della cristiana perfezione.

Vi faremmo poi torto, o dilettissimi figli, se Ci indugiassimo nell’avvertire che la santità della Serva di Dio non fu offuscata né da parole pronunziate sul letto di morte, né da consigli o esortazioni di far conoscere e diffondere ampiamente quella « Storia di un’anima » in cui la piccola Teresa avea descritto se stessa. D’altronde chi in tutta la sua vita aveva dato prove costanti di umiltà, non potea pronunziare parole apparentemente contrarie a questa virtù, se non sotto l’impero, o sotto il diretto influsso, di un ordine divino. È troppo limitato l’intelletto dell’uomo perché possa comprendere le ragioni di Dio nel dettare alle sue creature le parole da dire, o i consigli da dare. Non sarebbe forse soverchio l’ardire di chi presumesse scorgervi l’opportuno consiglio di estendere oltre gli ordinarii confini l’efficacia del buon esempio. Ma, nel caso concreto di Suor Teresa, non sembrerebbe andar lungi dal vero chi dicesse avere Iddio voluto esaltare ancora una volta i pregi dell’infanzia spirituale. Nelle sacre carte leggiamo che « per bocca di fanciulli è spesso data gloria a Dio », e talora si aggiunge « per distruggere le arti del nemico e del vendicatore » (Ps. VIII, 3). Oh! chi non dirà avere Iddio voluto che Suor Teresa di Gesù Bambino fosse appunto di coloro, che son chiamati a dar gloria a Dio malgrado la tenera età, anzi coll’esercizio delle virtù proprie dell’infanzia? Uno sguardo volto all’epoca in cui visse, permetterebbe quasi di aggiungere, che la sua fu una missione « per distruggere le arti del nemico e del vendicatore ». Ma non sarebbe stato possibile raggiungere il fine di quella missione, se la « Storia dell’anima » di Teresa non fosse stata universalmente conosciuta.

E pertanto, lungi dal raccogliere obiezioni, facilmente confutabili, contro la santità di Teresa di Gesù Bambino, riconosciamo che questa fu formata di virtù eroiche pel pratico e costante amore alla infanzia spirituale. Al riconoscimento teorico di questa verità sia però compagno anche il proposito della imitazione della novella Eroina. Ah! l’epoca nostra si manifesta troppo inclinata agli infingimenti e alle arti subdole. Non è perciò a meravigliare che sia tanto raffreddata la pietà verso Dio, e sia tanto diminuita la carità verso il prossimo. Si cambi dunque tenore di vita: agli inganni, alle frodi, alle ipocrisie dei mondani tenga dietro la sincerità del fanciullo, e colla sincerità del bimbo alla luce degli esempi della Carmelitana di Lisieux, si propaghi la santa abitudine di camminar sempre alla presenza di Dio, e di essere sempre pronti a lasciarci portare dalla mano della Divina Provvidenza.

Suor Teresa di Gesù Bambino, poco prima di morire promise che avrebbe passato il suo Paradiso « nel far del bene agli uomini ». Noi sappiamo che ha mantenuto la sua promessa, perché sono innumerevoli le grazie attribuite alla intercessione di lei. Specialmente nei tristi giorni del recente conflitto mondiale, Noi stessi ricevemmo gran numero di lettere di soldati e di ufficiali francesi, che attribuivano alla protezione di Suor Teresa di Gesù Bambino la grazia di essere scampati ad imminente pericolo di morte. Erano lettere che portavano il sigillo della sincerità, perché spesso accompagnate dall’annunzio di aver « cambiato vita » in attestato di gratitudine alla benigna interceditrice di grazie. Ma chi non comprende che la novella Eroina, di cui la carità è ora perfezionata, sarà più larga di favori verso coloro che procureranno di imitarla più da vicino?

Auguriamo pertanto che il segreto della santità di Suor Teresa di Gesù Bambino non resti occulto a nessuno dei Nostri figli. Ed affinché in tutti produca i mirabili effetti che produsse in Teresa, Noi invochiamo la benedizione di Dio, non solo sui presenti, ma anche su tutti i membri della famiglia cristiana.

Abbia però le primizie della benedizione di Dio la Francia cattolica, che oggi si allieta di vedere uscito dal suo seno un nuovo eroe di virtù. E sia benedetta in particolar modo la fortunata diocesi di Lisieux. Il nome di Teresa le ha accresciuto celebrità nel mondo; oh! la intercessione di Teresa le conservi a lungo il degno Vescovo, metta una santa emulazione nei membri del suo clero, e faccia che anche nel laicato fiorisca la cristiana virtù. Ma le rose promesse da Teresa dove debbono cadere più abbondanti che in quel benedetto Carmelo in cui essa trovò l’appagamento delle accese sue brame? Scendano dunque copiose anche su di esso le benedizioni celesti, e continui ad essere giardino in cui si educhino eletti fiori di santità. E finalmente non manchi il conforto della divina benedizione a chi, in Roma e fuori, si adopera a promuovere la causa di beatificazione della Carmelitana di Lisieux, perché quanto più sarà conosciuta la novella Eroina di virtù, tanto maggiore sarà il numero dei suoi imitatori, che daranno gloria a Dio, rendendo pratico omaggio ai pregi della infanzia spirituale.

 

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