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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA 
DI SAN MAURO ABATE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 9 maggio 1982 

 

1. “A te la mia lode, Signore, nell’assemblea dei fratelli, alleluia”.

Ripetiamo oggi queste parole del Salmo, cari fratelli e sorelle, proprie della liturgia di questa Quinta Domenica di Pasqua. Specialmente in occasione di questa visita pastorale alla vostra parrocchia, sentiamo di essere una comunità, che rimane in unione con tutta la Chiesa, in unione, anzi, con tutta la grande assemblea del Popolo di Dio. La nostra comunità è collegata con questa grande assemblea del Popolo di Dio mediante molteplici legami. Tutti questi legami hanno inizio in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e a Dio conducono.

E così in questa grande assemblea ci sono tutti coloro che “cercano Dio” e “lo lodano”; e ci sono “poveri” che “saranno saziati” (cf. Sal 22 [21],27). L’assemblea del Popolo di Dio si estende a “tutti i confini della terra”. Da tutte le parti “ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli” (Sal 22 [21],28).

L’assemblea del Popolo di Dio non conosce i limiti della morte: al Signore “si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere” (Sal 22 [21],30).

La grande comunità terrena e celeste, temporale ed eterna, si unisce in Dio, il quale è il Principio e la Fine di tutto e di tutti. In mezzo a questa grande assemblea ogni anima umana, ogni uomo trova il suo posto davanti a Dio: da lui attinge la vita, lui serve, di lui parla ai nuovi uomini, alle nuove generazioni sulla terra.

“E io vivrò per lui, / lo servirà la mia discendenza. / Si parlerà del Signore alla generazione che viene; / annunzieranno la sua giustizia; / al popolo che nascerà...” (Sal 22 [21],30-32).

2. Tale immagine si delinea davanti a noi per mezzo delle parole del Salmo responsoriale dell’odierna liturgia. Troviamo affinità tra questo quadro biblico e l’insegnamento sul Popolo di Dio, contenuto nella costituzione conciliare sulla Chiesa Lumen Gentium.

Tuttavia, per capire pienamente la realtà della Chiesa come Popolo di Dio, come grande assemblea unita da identità di ispirazioni ed aspirazioni, bisogna che rileggiamo con attenzione e meditiamo nel profondo del cuore l’allegoria presente nell’odierno Vangelo, cioè l’immagine della vite e dei tralci, che Cristo espresse, secondo la relazione di Giovanni evangelista, il giorno prima della sua Passione e Morte, all’ultima Cena.

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

Questa grande assemblea, non solo di uomini, ma anche di popoli, che raggiunge i confini della terra, supera i limiti della temporalità e della morte degli individui e delle generazioni; questo grande Popolo di Dio costituisce un’unità, grazie a Cristo. Costituisce una unità per mezzo di lui con lui ed in lui, a somiglianza dell’unità della vite, cioè di un organismo vivente; ed è quindi una unità di vita.

Grazie al fatto che una stessa vita scorre nella vite e nei tralci, essi costituiscono un’unità. È dalla vite che i tralci attingono la vita, e per questo costituiscono con essa un organismo vivo.

Grazie al fatto che uomini così numerosi e così diversi sotto l’aspetto delle generazioni, delle lingue, delle razze, delle culture, della geografia, attingono la vita da Cristo, essi costituiscono un tutt’uno.

Sono “un Popolo”. Ma non solo: san Paolo dirà che sono “un Corpo”.

Ciò che Cristo, secondo il racconto di Giovanni evangelista, ha espresso con la metafora della vite, Paolo lo ha espresso con il paragone del corpo.

3. L’immagine della vite (come quella del corpo in Paolo) ci permette al tempo stesso di trovare in questa unità “sociale” il posto di ciascun uomo individualmente preso. Sì, Cristo, in un modo particolare, si sofferma accanto a ciascuno. Dicendo: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”, dice contemporaneamente: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1-2).

Cristo dice più innanzi: “Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato...” (Gv 15,3).

Dice “voi”, e per mezzo di questo “voi” vuole raggiungere ogni “tu” umano: pensa singolarmente ad “ogni tralcio”.

Anche in seguito è lo stesso. Dice: “Rimanete in me ed io in voi” (Gv 15,4). E subito dopo: “Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv 15,5).

Cristo dice “voi” e con questo vuol dire “ognuno di voi”. L’immagine che traccia riguarda lui stesso con Una vite: in lui solo ci sono tanti tralci, cioè molti uomini, infinitamente numerosi. Ma al tempo stesso “ogni tralcio” significa ogni uomo. La molteplicità non diventa massa. Ogni tralcio ha con la vite il suo proprio contatto. Similmente ogni uomo con Cristo.

Questo intimo rapporto con Cristo è contemporaneamente contatto, in Cristo, con il Padre. Il Padre coltiva il grande campo dell’umanità, che porta frutto per mezzo dell’unità costituita da tutti gli uomini nell’opera della Redenzione compiuta dal Figlio. È’ nel Figlio, in Cristo, che si compie quel vivificante processo di potatura dei tralci, perché ciascuno di essi “porti più frutto” (Gv 15,2).

E anche in lui – in riferimento alla Redenzione che ha operato – si svolge il processo di eliminazione dei tralci che non portano frutto.

L’immagine dell’odierno testo evangelico ci fa pensare in modo particolare alla Chiesa: la vite come Popolo di Dio e come Corpo Mistico. La Chiesa come “noi” e come “io”. La Chiesa come “tutti” e come “ognuno”.

4. La vitalità della Chiesa è determinata dalla forza del legame tra Cristo e “ciascuno” dei suoi membri. Il “rimanete in me” si forma per mezzo del reiterato e molteplice “rimani in me”. A volte, questo potente invito “Rimani in me” possiede la capacità di estendersi a molte altre chiamate. A tradursi in tanti, tanti altri inviti a “rimanere” in unione con Cristo, come in una vite.

La prova di questo può essere Paolo di Tarso. La prima lettura biblica odierna ricorda quanto potente sia stata la chiamata di Cristo a “rimanere” in lui nei riguardi di un uomo, che fino a quel momento era stato persecutore, tanto che, dopo la conversione, “venuto a Gerusalemme cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo” (At 9,26).

All’improvviso, in quel tralcio che finora cresceva quasi per dispetto alla vite, si è fatta sentire la vera Vita, quella che pulsa in Cristo come vite. Ed ecco che egli comincia a crescere diversamente, nella più stretta unione con lui. E comincia a portare frutto abbondante, sovrabbondante, sapendo di attingere da Cristo tutta la sua forza apostolica, poiché senza di lui niente avrebbe potuto fare (cf. Gv 15,5)

5. Giovanni evangelista ed apostolo – che ci parla oggi non solo col suo Vangelo, ma anche con le parole della sua prima lettera – spiega come in ognuno di noi, in “ogni tralcio”, dovrebbe svilupparsi questa vita, che prende il suo inizio dalla vite che è Cristo.

Scrive dunque: “Figliuoli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità; e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore...” (1Gv 3,18-19).

Infatti, questo legame vivificante, che ci unisce con Cristo, raggiunge l’interno dell’uomo, il suo cuore. Di questo scrive Giovanni: “Qualunque cosa esso ci rimproveri... Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa... se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio... perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui” (1Gv 3,20-22).

Conosciamo questo polso interiore del cuore – la coscienza –, che ci “rimprovera” o “non ci rimprovera” a seconda che operiamo male oppure bene. Con altre parole: a seconda che osserviamo i comandamenti di Dio.

Se li osserviamo – scrive l’apostolo – “abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui” (1Gv 3,21-22).

Per colui che comunemente viene chiamato “l’apostolo dell’amore”, si tratta prima di tutto del comandamento dell’amore: “Che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato” (1Gv 3,23).

Mediante la fede e l’amore rimaniamo in Cristo, come il tralcio nella vite – così proclamano le parole del Vangelo. Nella lettera dell’apostolo, invece, leggiamo: “Chi osserva i comandamenti di Dio dimora in Dio ed egli in lui” (1Gv 3,24).

Mediante la fede e l’amore rimaniamo in Cristo come il tralcio nella vite, lui invece rimane in noi – così il testo evangelico. Da parte sua, la lettera apostolica scrive: “E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato” (1Gv 3,24).

Cristo rimane in noi mediante lo Spirito Santo. E rimanendo in Cristo, rimaniamo nell’unione vivificante con il Padre.

6. La Parola di Dio dell’odierna Liturgia ci permette di rinnovare in noi la consapevolezza della Chiesa, come Popolo di Dio e come Corpo di Cristo. Della Chiesa che siamo noi: “tutti” e “ognuno”.

Che questa verità vi aiuti a vivere più profondamente la comunità costituita dalla vostra parrocchia, specialmente nel giorno della visita del vostro Pastore, il Vescovo di Roma.

Sono lieto, pertanto, di salutare il Cardinal Vicario, il Vescovo di Zona, Monsignor Clemente Riva, con il Parroco ed il Vice-Parroco, che si spendono generosamente per il bene di tutti. Ad essi unisco tutti voi, cari parrocchiani di san Mauro al Laurentino, che formate questa comunità da appena un anno e mezzo. La recente costituzione di questa Parrocchia vi rende tutti giovani! Avete davanti a voi un cammino ecclesiale e cristiano ancora tutto da compiere: e vi auguro, e prego il Signore, affinché lo sviluppo della vostra parrocchia abbracci tutto il Quartiere nel segno di una efficace testimonianza di Cristo e del suo Vangelo, e soprattutto affinché ciascuno di voi si senta parte viva di questo compito, pienamente responsabilizzato nella costruzione di una nuova e luminosa comunità cristiana in Roma.

Per questo, ringrazio ed insieme incoraggio caldamente tutti coloro che già si dedicano con fervore alle necessarie iniziative parrocchiali: le suore ed i religiosi, i catechisti, i membri dei Movimenti Cattolici. A tutti assicuro uno speciale ricordo nella preghiera: soprattutto ai sofferenti, perché sappiano offrire con fortezza le loro pene; ai lavoratori, perché non manchi mai la possibilità di una occupazione onesta e sicura; ai giovani, perché vedano la bellezza di convogliare in una autentica vita cristiana le loro energie ed i loro entusiasmi.

7. Al termine di questo meraviglioso incontro, ascoltiamo ancora le parole di Gesù lette nel Vangelo: “Rimanete in me ed io in voi: chi rimane in me... porta molto frutto (Gv 15,4.5). Ciascuno senta rivolto a sé questo invito. E ciascuno ne sappia scoprire tutta la profonda verità. Solo in Cristo la nostra vita fruttifica in pienezza. Rimaniamo, perciò, in lui: nella sua luce, nel suo amore, nella sua gioia. Amen.
 

 

 

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