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VIAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO II, COSTA RICA, NICARAGUA I,
PANAMA, EL SALVADOR I, GUATEMALA I, HONDURAS, BELIZE, HAITI

CHIUSURA DEL CONGRESSO EUCARISTICO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Port-au-Prince (Haiti), 9 marzo 1983

 

Cari fratelli e sorelle.

1. Eccomi qui con voi a Port-au-Prince, in questa terra di Haiti ove ho tanto desiderato venire; questa grazia mi è stata infine concessa, a me stesso come pure a voi, perché insieme possiamo lodare la Santissima Trinità e adorarla, celebrare il culto eucaristico per Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria, nel mistero della sua Eucaristia, e anche venerare la sua beata Madre e Madre nostra, Madre della Chiesa, che voi invocate sotto il nome di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso.

In realtà noi celebriamo la chiusura del grande Congresso Eucaristico, che ora proseguirete e applicherete nella vostra vita quotidiana, personale, familiare e sociale.

Insieme e con gioia, partecipiamo a questa festa, io, successore di san Pietro e pastore di tutti i fedeli, principio visibile dell’unità della Chiesa (cf. Lumen Gentium, 18), voi, i Vescovi, provenienti ora tutti dal vostro mondo, e voi stessi, uomini e donne, ragazzi e ragazze, bambini e anziani, figli e figlie di questo nobile popolo haitiano. Io ben conosco quanto vivo sia il vostro senso della celebrazione, della festa e della preghiera. E proprio qui lo constato, grazie ai vostri canti e alle vostre entusiastiche risposte. Sono felice di esserne l’occasione e ne rendo grazie a Dio.

Ma c’è di più. Per la prima volta, durante le mie visite in America Latina, mi capita di essere presente in un Paese la cui popolazione è costituita per la maggior parte da gente di colore, in particolare da neri. Colgo in questo un segno di grande importanza, perché mi è in tal modo concesso di entrare direttamente in rapporto con la terza componente della cultura e della civiltà di questi popoli dell’America Latina e Centrale: delle genti venute dall’Africa, profondamente integrate con le altre civiltà originarie dell’America stessa o venute dall’Europa per formare, sulla base di tutte queste ricchezze, una realtà tipica.

Questo Paese è stato il primo in America Latina a dichiararsi indipendente. Esso è perciò chiamato, in modo particolare, a sviluppare al suo interno, in un clima di libertà, e in rapporto ai suoi mezzi e agli sforzi di tutti, un’opera di vera promozione umana e sociale in modo che i suoi figli e le sue figlie vi possano lavorare a loro agio, senza essere costretti ad andare a cercare altrove, e spesso in condizioni penose, quello che dovrebbero trovare a casa loro.

Vorrei ricordare a questo punto un episodio piuttosto drammatico, che ha unito in qualche modo la storia di Haiti a quella del popolo polacco. Centosettant’anni fa, tremila soldati polacchi sbarcarono in quest’Isola, inviati dalle forze di occupazione al fine di reprimere la rivolta della popolazione che lottava per la sua indipendenza politica. Questi soldati, invece di combattere le legittime aspirazioni di libertà, simpatizzarono con il popolo di Haiti. Circa trecento di loro sopravvissero. I loro discendenti hanno certamente contribuito allo sviluppo di questo Paese. Hanno conservato e coltivato le tradizioni cattoliche. Tra l’altro, hanno costruito delle cappellette con immagini riproducenti la Madonna polacca di Czestochowa. La parola Haiti viene in tal modo ad associarsi ai polacchi ed evoca la via piena di spine verso la libertà e diviene anche una nuova fonte di riflessione storica.

Saluto dunque tutti voi e vi invito a pregare e a riflettere insieme sui due misteri che oggi celebriamo: l’Eucaristia e Maria.

2. Avete sentito le letture bibliche che sono state proclamate. Quella del libro dell’Esodo ci parla della “Pasqua”, della liberazione che i figli d’Israele hanno ricevuto allora e di cui la nostra festa di Pasqua garantisce la commemorazione. Era anche quella una festa di libertà, nella quale l’agnello offerto e mangiato ricordava la rinnovata comunione con il Signore e con i fratelli e così pure “il passaggio, per assistere, accompagnare e liberare il suo popolo, prigioniero dell’Egitto faraonico, per avviarlo poi verso la terra promessa.

Nel Vangelo di Giovanni, letto in questa Messa, è la stessa Pasqua che stiamo per celebrare. Ma “il passaggio” di cui si parla è quello di Gesù stesso, per il quale “l’ora era venuta di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13, 1). Non si tratta per lui, per i suoi discepoli e per noi stessi, di uscire dall’Egitto, di un esodo nel tempo e nello spazio. Si tratta invece, come dice mirabilmente l’evangelista Luca nella scena della Trasfigurazione (cf. Lc 9, 31), del suo esodo, della sua partenza per andare verso il Padre, che doveva succedere a Gerusalemme e che si compì nell’“ora della sua Passione, della sua morte e della sua Risurrezione.

Quest’esodo e questa partenza sono segnati dall’amore: “Egli [Gesù] avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino al segno supremo” (Gv 13, 1). È l’amore che ha spinto Gesù verso la morte in croce: “Mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me” (Gal 2, 20). Ed è sempre l’amore che gli ha ispirato di lasciarci l’Eucaristia.

3. L’Eucaristia, come ben sappiamo attraverso la nostra catechesi, è il sacramento del suo corpo e del suo sangue, che egli stesso ha offerto una volta per tutte (cf. Eb 9, 26-28), per liberarci dal peccato e dalla morte, e che ha affidato alla sua Chiesa perché ne faccia la sua stessa offerta, sotto le specie del pane e del vino e ne nutra per sempre i suoi fedeli, noi stessi, che stiamo attorno a questo altare.

L’Eucaristia è quindi il sacrificio per eccellenza, quello di Cristo sulla croce, offerto ogni volta dai Vescovi e dai sacerdoti a favore di tutti i cristiani, vivi e defunti.

L’Eucaristia è nello stesso tempo nutrimento spirituale, mediante il quale riceviamo Cristo stesso, tutto intero, Dio e uomo, che ci nutre con la sua stessa sostanza e ci rende così simili a lui, ciascuno di noi e tutti insieme. È l’Eucaristia, infatti, che fa l’unità della Chiesa, corpo mistico di Cristo: “E poiché non vi è che un solo pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo; tutti infatti partecipiamo del medesimo pane (1 Cor 10, 17).

Noi adoriamo e riconosciamo questa presenza di Cristo sotto le specie del pane e del vino, quando è conservata nel tabernacolo, per permettere ai cristiani di venire a pregare il Signore contemplandolo nel suo santissimo Sacramento, lungo il corso dei giorni, e anche perché si possa portare la comunione ai malati e ai morenti. Noi rendiamo un culto pubblico all’Eucaristia, quando essa viene celebrata, durante un Congresso Eucaristico o in occasione del Corpus Domini. Questa presenza reale fra noi, nella celebrazione dell’Eucaristia, e sempre in relazione con essa, è per noi cristiani uno dei segni dell’Emmanuele, Dio-con-noi, come Israele chiamava il Messia futuro (cf. Is 7; Mt 1, 23).

4. L’evangelista Giovanni, che ci ha trasmesso la promessa di questa Eucaristia (cf. Gv 6, 51-59), e ce ne ha mostrato l’importanza per la fede dei discepoli e per la nostra (Gv 6, 60-71), ci descrive anche, in occasione dell’ultima cena di Gesù, la lavanda dei piedi (cf. Gv 13, 1-16).

Perché egli ha voluto mettere al posto del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, che si trova presso gli altri evangelisti e anche in san Paolo (cf. 1 Cor 11, 17-34), il racconto della lavanda dei piedi? Ce ne dà egli stesso la spiegazione, inquadrando il racconto, come avete sentito, con il riferimento all’amore supremo di Gesù: “Egli li amò fino alla fine” (Gv 13, 1), e con l’esortazione a seguire l’esempio che il Maestro aveva appena dato: “Se dunque io vi ho lavato i piedi, io, il Signore e il Maestro, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro” (Gv 13, 14).

Sono certo che voi questo lo capite bene, cari fratelli e sorelle di Haiti. Chi partecipa all’Eucaristia è chiamato a seguire l’esempio di Gesù che ha ricevuto dentro di sé; è chiamato a imitare il suo amore e a servire il prossimo fino a lavargli i piedi. E come noi, così è la Chiesa, tutta la Chiesa, la Chiesa di Haiti, che deve impegnarsi a fondo per il bene dei fratelli e delle sorelle, di tutti, ma soprattutto dei più poveri, proprio perché ha appena celebrato un Congresso Eucaristico. In realtà essa celebra sempre l’Eucaristia. E l’Eucaristia è il Sacramento dell’amore e del servizio.

Voi avete scelto come slogan del vostro Congresso: “Bisogna che qui qualche cosa cambi”. Ebbene, voi trovate nell’Eucaristia l’ispirazione, la forza e la perseveranza per impegnarvi in questo processo di cambiamento.

È proprio necessario che le cose cambino. Nel preparare il Congresso la Chiesa ha avuto il coraggio di guardare in faccia le dure realtà attuali, e sono sicuro che lo stesso avviene per tutti gli uomini di buona volontà, per tutti coloro che amano profondamente la loro patria. Il vostro è un bel Paese, ricco di risorse umane. E si può parlare, presso di voi, di un sentimento religioso innato e generoso, della vitalità e del carattere popolare della Chiesa. Ma i cristiani hanno dovuto constatare anche la divisione, l’ingiustizia, l’eccessiva diseguaglianza, la degradazione della qualità della vita, la miseria, la fame, la paura di tanta gente. Essi hanno pensato ai contadini incapaci di vivere dei frutti della loro terra, alle folle che si accalcano, senza lavoro, nelle città, alle famiglie trasferite, alle vittime di frustrazioni diverse. E tuttavia essi sono convinti che vi sono delle soluzioni nella solidarietà. Occorre che i “poveri” di tutti i tipi riprendano a sperare. La Chiesa conserva in questo campo una missione profetica, inseparabile dalla sua missione religiosa, e chiede la libertà di adempierla, non per accusare e non soltanto per far prendere coscienza del male, ma per contribuire in modo positivo a correggere le situazioni, impegnando tutte le coscienze e in particolare la coscienza di coloro che hanno una responsabilità, nei villaggi, nelle città o a livello nazionale, ad agire secondo il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa.

C’è infatti certo un profondo bisogno di giustizia, di una migliore distribuzione dei beni, di una organizzazione più equa della società, con una maggiore partecipazione, una concezione più disinteressata del servizio da parte di tutti coloro che hanno delle responsabilità; c’è il desiderio legittimo, per i mass media e la politica, di una libera espressione che rispetti le opinioni degli altri e il bene comune; c’è bisogno di un più libero e facile accesso ai beni e ai servizi che non possono restare appannaggio di qualcuno: per esempio la possibilità di mangiare a sufficienza e di essere curati, l’abitazione, la secolarizzazione, la vittoria sull’analfabetismo, un lavoro onesto e dignitoso, la sicurezza sociale, il rispetto delle responsabilità familiari e dei diritti fondamentali dell’uomo. In breve, tutto ciò che fa sì che l’uomo e la donna, i bambini e gli anziani conducano una vita veramente umana. Non si tratta di sognare ricchezze o società dei consumi, ma si tratta, per tutti, di un livello di vita degna della persona umana, dei figli e delle figlie di Dio. E tutto questo non è impossibile se tutte le forze vive del Paese si uniscono in un medesimo sforzo, contando anche sulla solidarietà internazionale che è sempre auspicabile. I cristiani vogliono essere gente della speranza, dell’amore, dell’azione responsabile.

Il fatto di essere membra del corpo di Cristo e di partecipare al suo banchetto eucaristico vi impegna a promuovere questi cambiamenti. Sarà il vostro modo di lavarvi i piedi gli uni gli altri, secondo l’esempio di Cristo. Lo farete senza violenza, senza uccisioni, senza lotte intestine, che spesso non portano altro che nuove oppressioni. Lo farete nel rispetto e nell’amore della libertà.

Mi rallegro con tutti coloro che lavorano in questa linea, che difendono i diritti dei poveri, spesso con mezzi poveri, oserei dire “a mani nude”. Faccio appello a tutti coloro che detengono il potere, la ricchezza, la cultura, perché capiscano la loro grave ed urgente responsabilità di fronte a tutti i fratelli e le sorelle. È l’onore della loro carica; io dico anche ad essi che ho fiducia e prego per loro.

5. Lo stesso bisogno di conversione lo proviamo rivolgendoci verso la santissima Vergine, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, che è stata oggetto della vostra prima devozione e in seguito, lungo tutto il corso della vostra storia. Questa devozione è e deve essere liberatrice. Ricordiamo le parole della lettera ai Galati, che abbiamo appena ascoltato: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, fatto da donna, fatto sotto la Legge, affinché riscattasse quelli che erano soggetti alla Legge, affinché ricevessimo l’adozione di Figli” (Gal 4, 4-5).

Questa donna, benedetta fra tutte (cf. Lc 1, 42), voi la conoscete bene. È grazie alla sua accettazione libera, alla sua fede e alla sua obbedienza, che la “nostra liberazione è stata pagata con la morte di suo Figlio. È grazie alla sua collaborazione all’opera redentrice di lui, che ci “è stato concesso di essere figli adottivi”.

Ecco perché noi la amiamo e la veneriamo come nostra Madre. Ecco perché siamo tenuti a imitarla nella fede, nella sua obbedienza e nell’impegno a collaborare alla missione di suo Figlio, nella situazione concreta in cui noi ci troviamo, o voi vi trovate in Haiti.

Così dunque, quando voi pregate con il vostro Rosario, meditando i misteri della vita, della morte e Risurrezione di Cristo, unendovi di cuore alla presenza di Maria in ciascuno di essi, siate ben coscienti che questo vi impegna a vivere e ad operare come fedeli discepoli che partecipano agli stessi misteri e ne ricevono i frutti.

La vostra devozione sia intelligente e attiva, degna di uomini e donne che hanno ricevuto nel loro cuore “lo Spirito del Figlio di Dio che grida: Abbà, Padre! (Gal 4, 7). Non sia una nuova forma di sottomissione “agli elementi del mondo (Gal 4, 3), una nuova “schiavitù” (Gal 4, 3) come certe pratiche sincretiste, ispirate dalla paura e dall’angoscia di fronte a forze che non si comprendono!

No, voi siete figli e figlie di Dio, liberati da Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria. Siate degni della vostra filiazione divina e di quella che vi lega a Maria! Avendo accettato di rinunciare al peccato e di dare la vostra fede a Cristo, con Maria, rialzate il capo e riconoscete con lei la predilezione di Dio per gli umili, gli ammalati, per coloro che vivono nell’amore (cf. Lc 1, 46-55).

Io vi affido a lei, tutti insieme e ciascuno individualmente, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, originari del Paese o venuti qui come missionari, i seminaristi tanto numerosi, popolo fedele e così provato di questa bella terra di Haiti, che ha tanti giovani, e anche i vostri compatrioti emigrati o esiliati. Le domando di intercedere per voi presso suo Figlio perché vi sia concesso di condurre una vita tranquilla e veramente degna.

Invoco anche su di voi la protezione di san Pierre Claver, il grande santo nero, gloria della vostra razza, di cui la Chiesa intera vi è debitrice.

[In lingua locale:] Haitiani di ogni parte, io sono con voi. Io vi benedico di tutto cuore. Coraggio! State saldi! Dio è con voi. Gesù Cristo è vostro fratello. Lo Spirito Santo la vostra luce! Maria vostra madre!.

Supplico Dio di benedirvi, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.



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