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VIAGGIO APOSTOLICO IN TOGO, COSTA D'AVORIO II, CAMERUN I,
REPUBBLICA CENTRO-AFRICANA, ZAIRE II, KENYA II, MAROCCO

SANTA MESSA CON ORDINAZIONE DI 11 PRESBITERI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Kara (Togo) - Venerdì, 9 agosto 1985

 

1. “Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10, 2).

Cari fratelli e sorelle, oggi dobbiamo ringraziare il Padrone della messe, poiché sto per ordinare undici nuovi sacerdoti, undici nuovi operai apostolici che saranno inviati per la messe del Signore. Sono tutti figli della Chiesa del Togo, nati in questo Paese, al sud, al centro o al nord: essi provengono dalle diocesi di Lomé, d’Atakpamé, di Sokodé, e di diverse etnie. Essi riceveranno lo stesso sacerdozio di Gesù Cristo. Si sono preparati insieme, nel seminario maggiore di Saint-Gall a Ouidah, con i loro fratelli del Benin. Essi apportano al servizio di Cristo i frutti di questa preparazione, con i loro talenti personali e le qualità del loro Paese natale, delle loro famiglie umane.

2. Durante il primo periodo dell’evangelizzazione, sono dei sacerdoti missionari che hanno lavorato qui: missionari della Società del Verbo Divino, delle Missioni Africane di Lione, francescani, e altri religiosi. Nel loro ministero apostolico essi erano aiutati da numerose religiose. Venivano da altri Paesi, dove essi stessi erano stati nutriti del Vangelo che poi portarono qui gratuitamente, come gratuitamente l’avevano ricevuto. La Chiesa vive di questo invio in missione, di questo reciproco aiuto, di questi scambi, fin dal tempo degli apostoli. Oggi, un certo numero di questi sacerdoti espatriati lavorano ancora in questo Paese dove il loro servizio è molto apprezzato, necessario, e dove sono testimoni della Chiesa universale. Essi meritano viva riconoscenza. Senza di essi la Chiesa non sarebbe stata fondata qui. In questi giorni non avremmo lo spettacolo di queste belle comunità togolesi, felici della loro fede. Non dimentichiamo mai questi pionieri, apprezziamo questi servi odierni. Come non essere sensibile alla testimonianza di un gruppo di giovani di questo Paese che recentemente mi ha scritto: “La storia . . . ci ha lasciato l’immagine del missionario preoccupato di condurre il gregge verso pascoli verdeggianti e di rischiare la sua vita in nome di Cristo. L’opera cominciata dai missionari deve essere continuata dai figli del Paese e ciascuno al suo livello, cominciando dai vescovi e dai sacerdoti autoctoni”.

Oggi, la Chiesa del Togo ha, in effetti, per una larga parte, i suoi sacerdoti e i suoi vescovi. Essa conosce d’altronde una fioritura di vocazioni sacerdotali e religiose, e ha pure una congregazione religiosa locale, le Suore di Nostra Signora della Chiesa. Essa è composta da un grande numero di battezzati, con una percentuale impressionante in certe regioni, e di catecumeni. I suoi catechisti e maestri continuano la loro opera di formazione alla fede e, più largamente, il suo laicato cristiano si desta alle sue responsabilità e si struttura in movimenti. Saluto con gioia tutta questa Chiesa del Togo, e in particolare questa diocesi di Sokodé che ci accoglie. Ringrazio monsignor Chrétien Matawo Bakpessi per le sue parole di benvenuto. Non dimentico i diocesani di Aiakpamé e di Dapaong che non posso visitare sul posto e che proseguono una bella opera missionaria. Ringraziamo anche le case che formano oggi i candidati al sacerdozio, i seminari minori, i seminari di adulti e i seminari maggiori di Ouidah e, ora, di Lomé.

3. Cari fratelli e sorelle, che cosa è dunque un prete? Che è l’essenziale del suo sacerdozio?

Certo, il sacerdote compie molteplici attività. Esse derivano dal fatto che egli è, anzitutto, un uomo di Dio. Del resto, è quanto hanno presentito tutte le religioni che gli affidavano la cura di offrire a Dio dei sacrifici di ogni specie. Ma il sacerdote di cui noi parliamo è quello della nuova alleanza stabilita da Gesù Cristo, suggellata dal suo sacrificio. E l’apostolo Pietro ci dice l’essenziale di quello che è il sacerdote, nella sua lettera letta questa mattina, quando rivolge un’esortazione agli “anziani”, o “presbiteri”, ossia ai capi spirituali preposti dagli apostoli alla direzione delle prime comunità cristiane. Egli dice: “Quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo” (1 Pt 5, 1). Nella Chiesa odierna, come in quella di ieri, il sacerdote è il testimone della passione di Cristo, in un senso particolare. Infatti ogni giorno egli compie, celebrando il sacramento dell’Eucaristia, il sacrificio che Cristo stesso ha offerto sulla croce. Sì, ogni volta, nell’Eucaristia, è questo sacrificio che è reso presente, rinnovato, compiuto sotto il segno del pane e del vino, come Cristo lo ha istituito nell’ultima cena. Cristo stesso compie questo santo sacrificio ed è il sacerdote che ne è il ministro sacramentale, che agisce in nome di Cristo, “in persona Christi”.

4. L’apostolo Pietro aggiungeva: “Partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1 Pt 5, 1). Il sacerdote è pure partecipe della gloria di cui Dio Padre ha colmato suo Figlio crocifisso nella risurrezione. Offrendo il sacrificio che si è compiuto con la morte di Cristo, egli proclama nello stesso tempo la sua risurrezione e glorificazione “alla destra del Padre”. Egli annuncia finalmente la venuta definitiva di Cristo in questa gloria che “si rivelerà” alla fine del mondo. In un senso, il sacerdote testimonia con l’Eucaristia che il mondo non si salva da solo, ma con Cristo, e che questo mondo non si riduce a quello che esiste attualmente, ma che si concluderà con il Cristo glorificato.

5. Grande è dunque la vocazione del sacerdote, e sublime la sua missione. Grande è la sua dignità. Egli è unito in modo particolare alla missione di salvezza di Gesù Cristo. Ai futuri sacerdoti chiederò: “Volete voi, di giorno in giorno, unirvi sempre più al sommo sacerdote Gesù Cristo?”. Non soltanto i preti compiono il suo sacrificio, ma compiono i diversi aspetti del suo ministero: il ministero della parola e il ministero di santificazione tramite i sacramenti.

Altri, nella Chiesa - ed è una grazia - annunciano, trasmettono, spiegano la parola di Dio, come i catechisti, i maestri, i genitori cristiani, i religiosi e le religiose. Ma il sacerdote riceve la responsabilità di fare in modo che il Vangelo sia bene annunciato a tutti, che la fede cattolica sia correttamente esposta, commentandola lui stesso nella liturgia.

Il sacerdote è particolarmente consacrato per celebrare i misteri di Cristo, per trasmettere le sue grazie ai credenti mediante segni visibili ed efficaci quali sono i sacramenti: la vita divina al battezzato, la purificazione del peccato al penitente, il nutrimento del corpo di Cristo al comunicando, il conforto divino al malato. Egli conduce incessantemente il popolo cristiano alle sorgenti della vita.

6. In tutto questo, il sacerdote partecipa alla missione del Buon Pastore. Il nostro salvatore Gesù Cristo è il Buon Pastore che conosce le sue pecore, le riunisce, le protegge, le salva dal lupo che vuole rapirle, dà la sua vita per esse, le conduce alla vita abbondante (cf. Gv 10, 10-18), al punto che le pecore possono dire, come abbiamo appena cantato: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla . . . Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino . . . Davanti a me tu prepari una mensa” (Sal 23, 1-5).

Gli apostoli hanno partecipato a questa missione del Buon Pastore. L’apostolo Pietro ha sentito più volte, dopo la risurrezione, che il Signore Gesù gli diceva: “Pasci le mie pecorelle . . . pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 15-18). Credetelo, cari fratelli e sorelle, che personalmente io medito spesso queste parole!

Ma Pietro, a sua volta, dice agli “anziani” della Chiesa, ai sacerdoti: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato” (1 Pt 5, 2). E oggi, il Vescovo di Roma, che è il successore di Pietro, dice la stessa cosa a tutti i vescovi e a tutti i sacerdoti della vostra patria; lo dice specialmente a voi che ricevete il sacramento del sacerdozio e, con ciò, la missione pastorale. Sì, veramente voi partecipate ormai alla missione del Buon Pastore, in collaborazione con il vostro vescovo, il pastore della vostra diocesi, in unione con il Vescovo di Roma. Così potrete “fare Chiesa con Pietro”.

7. “Pastori del popolo di Dio che vi è affidato”: che cosa significa oggi? Il vero pastore riunisce il gregge. Il sacerdote ha la missione di riunire i cristiani, non soltanto per l’Eucaristia o le preghiere da lui presiedute, ma vegliando continuamente alla loro unità. Oltre alle molteplici piccole comunità di credenti che possono formarsi con uno scopo di preghiera, di catechesi o di carità, che hanno la loro utilità e i loro limiti, il sacerdote è colui cui spetta allargare questo orizzonte, far comunicare questi gruppi, collegarli nell’unica Chiesa, riunirli, per esempio, nell’ambito parrocchiale, per l’Eucaristia comune. Non è l’uomo di una famiglia, di un gruppo, di un’etnia: è l’uomo di tutti.

Il vero pastore è colui che cammina alla testa del gregge; ossia, il sacerdote deve indicare chiaramente la strada, testimoniare con la sua parola e con i suoi atti che cosa è la fede o la vita cristiana, senza timore, con coraggio e liberamente. Io chiederò agli ordinandi: “Volete diventare sacerdoti per servire e per guidare il popolo di Dio sotto la guida dello Spirito Santo?”. Voi dovrete condurre questo popolo verso la piena verità con una catechesi incessantemente approfondita; verso quello che nutre i cristiani, verso quello che li educa a un’autentica pietà, a una vita morale più matura.

Il vero pastore si preoccupa di ciascuna pecora, non dimenticando quelle che fanno fatica a seguirlo, che si smarriscono, che sono in pericolo, che sono lontane. Sacerdoti, voi portate la sollecitudine pastorale di tutti i vostri fedeli, senza trascurare coloro che sembrano meno fedeli, o coloro che non sono ancora dei fedeli, non essendo di questo ovile (cf. Gv 10, 16).

Certo, il sacerdote non ha il monopolio di tutta l’animazione cristiana. Il suo ruolo non è di fare tutto da solo, di ordinare tutto; al contrario, la sua qualità pastorale si misura dalla sua capacità di suscitare lo zelo, l’iniziativa, l’apostolato tra i religiosi e i laici che lo circondano. Ma in mezzo ad essi rimane il rappresentante del Buon Pastore che veglia, che discerne, che autentica quello che deve esserlo, che orienta nella direzione voluta dalla Chiesa, in nome di Cristo.

8. San Pietro ci indica ancora come il sacerdote deve essere il pastore delle anime.

Egli era stato il testimone di Cristo che, pur essendo in verità maestro e signore, si era presentato agli apostoli come “colui che serve” (Lc 22, 27), e che a più riprese aveva fatto loro comprendere che: “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28), rifiutando l’atteggiamento di dominazione proprio dei pagani o il potere tale quale è esercitato dai grandi (cf. Mt 20, 25). Pietro allora precisa agli “anziani”: vegliate sul gregge, “non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5, 2-4).

Certo, cari amici preti o futuri sacerdoti, quando esercitate la vostra carica in nome di Cristo, avete l’autorità di un inviato di Cristo, e dovete essere accolti e rispettati come tali dai credenti che comprendono il vostro sacerdozio. Ma questa autorità esclude ogni autoritarismo: “Senza spadroneggiare”; essa esclude la ricerca di ricchezze personali: “Non per interesse, ma di buon animo”; essa esclude ogni durezza: “Non per forza, ma volentieri”. Sì, siate sempre i pastori coraggiosi e fermi di cui vi parlavo, ma buoni, umili, accoglienti, devoti, disinteressati. Ecco ciò che aspetta il Signore, il Buon Pastore. Ecco ciò che attendono i fedeli del vostro gregge. E questo vi permetterà di essere particolarmente vicini e preoccupati dei poveri, dei malati, di coloro che soffrono. Voi condividerete il più possibile le loro preoccupazioni e la loro vita. In sostanza, la vostra autorità si manifesterà naturalmente in quanto sarete i modelli del gregge.

9. Voi sarete questi modelli se la santificazione del vostro sacerdozio raggiunge non solo gli atti del vostro ministero o il vostro comportamento pastorale, ma tutta la vostra vita, la vostra vita spirituale interiore: “Vivrete ciò che compite”.

Iniziando gli altri alla preghiera rimanete voi stessi uomini di preghiera, in pubblico, nell’intimità della vostra orazione, della vostra adorazione. La Vergine Maria avrà un posto tutto speciale nella vostra preghiera e nella vostra vita, ella che meditava nel suo cuore tutti i misteri di Gesù, e rimaneva incessantemente “la serva del Signore”.

Offrendo il sacrificio e invitando gli altri a offrire i sacrifici che chiede loro la vita cristiana, “conformatevi al mistero della croce di Cristo”, come dirò rimettendo il pane e il vino del sacrificio ai nuovi sacerdoti.

Voi formate i vostri fedeli alla fede: vi preoccuperete di continuare ad approfondire la teologia appresa in seminario con una formazione permanente, personale o comunitaria, con un saggio aggiornamento, proseguendo lo studio della Sacra Scrittura, dell’insieme del dogma e della spiritualità, la riflessione pastorale.

Voi esortate il popolo cristiano a vivere le beatitudini, specialmente lo spirito di povertà: voi stessi vi preoccuperete di vivere semplicemente, tra i poveri. Cristo diceva ai suoi discepoli: “Non portate borsa, né bisaccia, né sandali” (Lc 10, 4).

La vostra predicazione è centrata sulla carità: mostrerete l’esempio della vita fraterna tra i sacerdoti del nord e del sud, togolesi ed espatriati. Il Signore inviava i suoi discepoli due a due.

Voi aiutate gli sposi a vivere un amore coniugale esigente, fedele e puro: possano essi essere sempre stimolati dall’esempio del dono totale della vostra potenza di amare Cristo e i vostri fratelli, nella castità che è oblazione e disponibilità.

Voi chiedete ai fedeli di obbedire alla Chiesa: avrete a cuore di collaborare con i vostri vescovi in tutto quello che la Chiesa desidera.

La preghiera consacratoria per gli ordinandi chiede a Dio: “Che essi ricevano da te il compito di assecondare l’ordine episcopale; che essi incitino alla purezza dei costumi con l’esempio della loro condotta”.

Sì, siate i modelli del gregge.

10. Per tutto questo, perché gli ordinandi entrino e vivano nell’“ordine dei preti”, noi imponiamo loro le mani, pregando così il Signore: “Diffondi ancora una volta, nel più profondo di essi, lo Spirito di santità”.

Ai tempi di Mosè, Dio aveva messo a parte settanta anziani, colmi di sapienza, per aiutare Mosè, e aveva comunicato loro una parte dello Spirito che riposava su di lui.

Il Signore Gesù ha cominciato il suo ministero dichiarando: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4, 18). Risorto, ha inviato i suoi apostoli come il Padre aveva inviato lui dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 22). Questo Spirito Santo imprimerà nella vostra anima, cari ordinandi, un carattere indelebile di sacerdote; di servo del Signore; sarà una fonte permanente di luce, di forza, di santità.

11. E il Cristo vi manda in missione, come inviò settantadue discepoli oltre agli apostoli. Sì, Cristo stesso.

Perché, mentre noi celebriamo la santa Eucaristia, è Cristo che la compie in mezzo a noi, tramite il nostro sacerdozio ministeriale. E mentre noi celebriamo il sacramento dell’Ordine, Cristo stesso compie anche questo sacramento che è strettamente unito all’Eucaristia e prende la sua origine all’ultima cena: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19).

Cristo si trova dunque qui, tra noi. E ai nuovi sacerdoti ordinati dice: “Andate, vi mando . . .” (Lc 10, 3). “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 20, 19). Dite: “E vicino a voi il regno di Dio”. Confortate i malati e tutti quelli che sono nel bisogno, e annunciate la pace in tutte le case. Non temete l’accoglienza che vi sarà riservata (cf. Lc 10, 5-11).

Sì, andate a portare la buona novella ai figli e alle figlie del vostro popolo, della vostra patria, a tutti e a ciascuno, in tutte le città e in tutti i villaggi dove il Signore stesso vuole essere presente (cf. Lc 10, 1). Siate disponibili per tutti i compiti di evangelizzazione che il vostro vescovo vi affiderà: nel corpo della Chiesa le funzioni sono diverse, ciascuna ha la sua importanza, tutte devono essere compiute. È pure auspicabile che le diocesi di questo Paese si aiutino a vicenda, perché alcune hanno ancora pochi operai apostolici togolesi. I sacerdoti accettino di essere missionari altrove e i fedeli sappiano accogliere il prete di un’altra etnia. Gesù diceva ai discepoli: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10, 40).

Ma, cari amici, l’orizzonte missionario non si limita al vostro Paese. Occorre portare la buona novella ai figli e alle figlie dell’Africa intera, del mondo intero. Voi avete la vostra parte, ora che sacerdoti sempre più numerosi escono da voi. La vostra missione è profonda come il mistero di Cristo e nello stesso tempo vasta come l’umanità! Nella preghiera di ordinazione si dice che voi siete ordinati “per far pervenire a tutta l’umanità il messaggio del Vangelo e perché tutte le genti riunite in Cristo siano trasformate nell’unico popolo di Dio”.

I nostri fratelli e le nostre sorelle, che a partire da domenica prossima si riuniranno a Nairobi per il 43° Congresso eucaristico internazionale, il primo nell’Africa nera, conoscono bene questa dimensione universale della Chiesa, che forma un unico corpo, il corpo di Cristo.

12. Cari fratelli e sorelle, noi tutti desideriamo che Dio susciti un maggior numero di sacerdoti, di santi sacerdoti, con altri operai apostolici, religiosi e laici. Non cessate di prestare l’orecchio alla parola del nostro Maestro e Redentore: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10, 2).

Sì, pregate. Non cessate di pregare.

Amen!

 

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