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MESSA IN SUFFRAGIO DEI DEFUNTI PONTEFICI PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO I

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 28 settembre 1986

 

Carissimi fratelli e sorelle, e carissimi pellegrini della Lombardia e del Veneto.

1. Le espressioni dei testi liturgici ora ascoltate, soprattutto le parole rivolte da san Paolo al discepolo Timoteo, risuonano a proposito nella presente ricorrenza anniversaria dei due cari pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo I, i quali 8 anni fa hanno lasciato la vita terrena dopo aver combattuto appunto, come dice l’Apostolo, la buona battaglia della fede.

Mentre i due pontificati - così diversi e pur tanto affini per vicinanza e continuità pastorale - vanno collocandosi sul quadrante della storia, il messaggio e l’esemplarità della vita dei due papi appaiono sempre più come un commento vivo alla densa pagina biblica poc’anzi ascoltata. Quali uomini di Dio, impegnati a “conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento” e a diffondere la dottrina salvifica del Signore Gesù, in attesa della sua definitiva manifestazione, essi vissero un’esistenza operosa, che fu una continua ascensione alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.

2. Sento riecheggiare ancora sotto le volte di questa Basilica la vigorosa proclamazione di Papa Paolo VI alla ripresa del Concilio Vaticano II: “Cristo! Cristo nostro principio, Cristo nostra vita e nostra guida! Cristo nostra speranza e nostro termine! . . . Nessun’altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; . . . nessun’altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’essere a Cristo assolutamente fedeli”. (Insegnamenti di Paolo VI, I [1963] 170)

È qui la radice degli atti e dei gesti di cui Paolo VI, infaticabile realizzatore delle direttive conciliari, ha riempito il suo lungo e appassionato servizio, che si è esteso ai più svariati problemi della Chiesa e del mondo, da lui affrontati con insonne attività. Da Cristo parte e a Cristo conduce quell’umanesimo plenario di cui l’indimenticabile Pontefice fu intrepido assertore: “Se nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo . . . e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste . . . il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico, tanto che possiamo enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo” (Ivi, III [1965] 731).

Nell’ampiezza di tale cornice egli delineava un nuovo ordine sociale, generatore di quella pace fondata sulla giustizia, che gli uomini non possono dare: “La civiltà dell’amore prevarrà sull’affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell’umanità finalmente cristiana” (Ivi, XIII [1975] 1568).

La fedeltà alla verità della fede, lo portava a quel riconoscimento della missione pontificale che ha tutto il valore di una confessione testamentaria: “Ci sentiamo, a questa soglia estrema, confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» . . . Ecco, fratelli e figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. «Fidem servavi» possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il «santo vero» . . . In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana . . . Abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa” (Insegnamenti di Paolo VI, XVI [1978], 322-523).

3. Di Giovanni Paolo I risuonano sempre nell’animo mio le enunciazioni programmatiche, che non esitai ad assumere integralmente come pietre miliari del mio servizio sulla Cattedra romana: “Vogliamo continuare nella prosecuzione dell’eredità del Concilio Vaticano II . . .; vogliamo conservare intatta la grande disciplina della Chiesa, nella vita dei sacerdoti e dei fedeli . . .; vogliamo ricordare alla Chiesa intera che il suo primo dovere resta quello della evangelizzazione . . .; vogliamo continuare lo sforzo ecumenico, che consideriamo l’estrema consegna dei nostri immediati predecessori . . .; vogliamo proseguire con pazienza e fermezza in quel dialogo sereno e costruttivo, che il mai abbastanza compianto Paolo VI ha posto a fondamento e programma della sua azione pastorale . . .; vogliamo infine favorire tutte le iniziative lodevoli e buone che possano tutelare e incrementare la pace nel mondo turbato” (Insegnamenti di Giovanni Paolo I, 15-16).

Nel ricordare in questo giorno le sue accalorate esortazioni al presbiterio romano si intravedono, come attraverso uno spiraglio, il fondamento e la ricchezza della sua vita interiore: “La grande disciplina esiste soltanto se l’osservanza esterna è frutto di convinzioni profonde e proiezione libera e gioiosa di una vita vissuta intimamente con Dio” (Ivi, p. 56).

La fase terrena del viaggio di Papa Giovanni Paolo I si è conclusa rapidamente, contro le fervide speranze e gli unanimi auspici con i quali Roma e il mondo accompagnarono le sue giornate di Pontefice.

E ora, col capo chino dinanzi alla imperscrutabile volontà della Provvidenza, noi ci rivolgiamo direttamente all’uno e all’altro, a Giovanni Paolo I e a Paolo VI, per implorare che vogliano intercedere presso Dio per ottenere alla Chiesa le grazie di cui essa ha bisogno nel difficile passaggio del momento presente.

4. Tu, uomo di Dio, che ricordiamo oggi nel giorno in cui il Signore ti ha chiamato a sé; tu, che sotto il nome di Giovanni Paolo I sei stato Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa come servo dei servi di Dio; tu, che, secondo le parole dell’Apostolo, hai teso alla giustizia, alla pietà, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (1 Tm 6, 11). O uomo di Dio! Riuniti presso la tomba di san Pietro, ringraziamo il Principe dei pastori di essersi degnato di chiamarti di averti permesso “di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tm 6, 14).

Il tempo del tuo ministero fu breve: appena 33 giorni, tuttavia questo fu un tempo salutare, un tempo utile, che la Chiesa non dimenticherà mai, raccomandando all’eterno Padre il frutto della tua vita.

5. O uomo di Dio, che ricordiamo oggi insieme col tuo successore immediato: a te, sotto il nome di Paolo VI è stato dato di combattere “la buona battaglia della fede”. Oggi diciamo: raggiungi “la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni” (cf. 1 Tm 6, 11-12). Davanti alla Chiesa e all’umanità.

Oggi dunque, chiediamo a Colui che è “il Re dei regnanti e Signore dei signori”, a Colui che solo “possiede l’immortalità”, a Colui che “abita una luce inaccessibile: che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (cf. 1 Tm 6, 15-16), a lui chiediamo di invitare te, servo fedele, all’eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

6. “Beati . . . i morti che muoiono nel Signore” (Ap 14, 13). Beati quelli che ci hanno lasciato, i papi Paolo VI e Giovanni Paolo I, perché ci hanno lasciato morendo nel Signore. “Sì, dice il Signore, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14, 13). Amen!

 

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