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CELEBRAZIONE DEL MATTUTINO DELL’ANNUNCIAZIONE
IN RITO BIZANTINO-SLAVO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Romana di Santa Maria sopra Minerva
Venerdì
, 25 marzo 1988

 

“Il condottiero delle potenze angeliche fu inviato da Dio onnipotente alla Vergine pura, per annunciare un mistero inaudito e ineffabile: senza seme, Dio si fa da lei bambino, riplasmando l’intera stirpe dei mortali. O popoli, annunciate il rinnovamento dell’universo”.

1. Con queste parole l’“exapostilarion” dell’odierna solennità canta lo stupore del cosmo di fronte al miracolo dell’amore divino: la natura pare sopraffatta nelle sue leggi fondamentali: una Vergine concepisce un Figlio e quel bambino è Dio infinito. Natura sopraffatta, o non piuttosto pienezza della natura, se essa altro non è che il giardino, al cui centro Dio ha voluto porre l’uomo, sua immagine e somiglianza, “microcosmo” e ad un tempo signore delle cose, perché partecipe della divina regalità?

L’Oriente cristiano ama pensare alla natura come al dispiegarsi del divino progetto d’amore. E poiché al centro della storia dell’uomo si compì l’evento dell’incarnazione, la tradizione orientale non si sofferma a cogliere in particolare le povertà, le debolezze, i limiti che rendono travagliato il destino della natura umana assunta dal Verbo; essa contempla l’altissima perfezione a cui la grazia ha chiamato l’umanità e con essa l’intero creato, spettatore e in qualche modo partecipe esso stesso di una salvezza sempre rinnovata.

Questa natura che oggi alza le sue “porte antiche” perché “entri il re della gloria” (Sal 24 [23], 7. 9) è davvero, come canta la liturgia, una nuova creazione: in Cristo formato nel grembo della Vergine, nasce un’umanità nuova, a cui sono destinati “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21, 1), perché, nel mistero della redenzione, il giardino proibito per l’orgoglio del peccato si dissigillerà e l’angelo con la spada di fuoco, che ne custodiva l’ingresso, lascerà il posto all’Arcangelo di luce che annuncia a Maria l’aprirsi della pienezza dei tempi.

L’“exapostilarion” si conclude con un vibrante invito, rivolto a tutti i popoli: l’annuncio di Gabriele si prolunga, come in una immensa eco, nell’annuncio di un’umanità che proclama una speranza inaudita. E non è un caso che l’originale greco impieghi qui la parola “evangelismos”, che noi traduciamo “annunciazione”, ma che si accomuna così strettamente al lieto annuncio che ci salva: il saluto dell’angelo è davvero il proemio del Vangelo!

Carissimi fratelli e sorelle, che siete oggi qui convenuti per celebrare le lodi della santissima Madre di Dio con la voce gloriosa e solenne delle Chiese bizantine, il medesimo annuncio di salvezza portato da Gabriele a Maria risuona oggi per noi: e mentre celebriamo la bellezza del frutto più luminoso che la storia umana abbia donato, ci sentiamo rinascere nel cuore la stessa speranza, fatta di stupore ma anche di fiduciosa, confidente disponibilità. Il “fiat” della Vergine sia la nostra offerta spirituale al Signore della vita, perché dal grembo dell’umanità continui a fiorire la speranza di un Dio che si fa carne.

2. L’odierna celebrazione del Mattutino nel rito bizantino inonda questa Chiesa di una luce intensissima. Incastonato in questa preghiera di santificazione del tempo, abbiamo ascoltato lo splendido inno “Akáthistos” alla Madre di Dio. Si è voluto che, nell’anno a lei dedicato, in tutte le cattedrali del mondo si innalzasse a Dio una lode ineguagliata con gli accenti inimitabili di questo stesso inno, nella varietà delle lingue, ma nell’unità della comunione cattolica.

Il tempio che oggi ci accoglie dilata dunque misticamente i suoi spazi, per abbracciare il mondo ed unirlo in un’unica voce, che offre a Dio Maria, vanto della storia umana. “O Cristo, che possiamo offrirti in dono - canta questa stessa Liturgia bizantina nel Lucernario del Natale - per essere apparso sulla terra, nella nostra umanità? Ciascuna delle tue creature, infatti, esprime la sua azione di grazie, e ti reca: gli angeli, il loro canto; il cielo, una stella; i Magi, i loro doni: i pastori, lo stupore; la terra, una grotta; il deserto, una greppia; e noi, una Vergine Madre”.

Vogliamo che questo canto universale, questo poderoso e dolcissimo inno sia la profezia di un’umanità nuova, quella dei redenti che nel canto della lode si riconoscono fratelli. E mentre la quotidiana esperienza ci pone di fronte alle molteplici forme di male che scaturiscono dalla povertà del nostro limite, la rinnovata contemplazione della comune salvezza nel Verbo incarnato nel seno della Vergine è costante annuncio di una nuova, fraternità in quell’unico Signore, fratello e maestro, carne della nostra carne, in cui il creato vince ogni opacità e si fa trasparenza dell’Invisibile.

Intimamente compresa della profondità di tale mistero, la Chiesa proclama agli uomini la loro immensa dignità ben sapendo di poterne già additare la perfetta realizzazione, per infinito dono di grazia, nella Madre di Dio: all’uomo travagliato e vinto, violato nei suoi diritti e conculcato nelle sue libertà, la Chiesa oggi annuncia, come l’angelo a Maria, che egli è icona del Dio vivente, tempio dello Spirito, e che ogni violenza contro di lui è violenza contro Dio che lo ha creato e che, per amore, ne ha assunto la storia fino a condividerne il destino di morte.

3. Gli accenti dell’inno “Akáthistos” richiamano a tutti noi quanto indissolubile sia la vicenda della Madre di Dio dall’intera economia della salvezza. E nulla come l’ardire talore temerario della poesia pare essere in grado di esprimere la sovrabbondante ricchezza del mistero di Dio.

Ciò che la mente non sa concepire, si compie in colei che “ad un senso conduce i contrari” (“Ikos” 8). “I retori roboanti vediamo muti come pesci dinanzi a te, Madre di Dio: non riescono a dire come resti Vergine, eppure sei giunta a partorire. Noi invece ammiriamo il mistero e cantiamo con fede: Rallegrati, vaso della divina sapienza; rallegrati, tesoro della sua provvidenza” (“Ikos” 9). Con tale stupore, carico di grata venerazione, questo inno sublime contempla lo svolgersi della vita di Maria: l’annunciazione, la nascita, il saluto dei pastori, la venuta dei Magi, la fuga in Egitto. E per ogni evento scopre nella Scrittura arcane prefigurazioni; come nel rivelarsi del senso teologico di ogni singolo episodio già scorge i simboli velati della redenzione: “Rallegrati, preludio dei prodigi di Cristo; rallegrati, compendio dei suoi insegnamenti” (“Ikos” 2). E così, in questo straordinario rincorrersi di eventi la storia della salvezza rivela impensate profondità ed audaci corrispondenze.

La nascita del Verbo di Dio nella carne convoca con l’uomo l’intero universo a far festa, anch’esso animato da una irresistibile esultanza: “Rallegrati, perché i cieli esultano con la terra; rallegrati, perché la terra danza con i cieli” (“Ikos” 4). Mai gioia fu più completa e totale; ad essa è invitata la Chiesa, la nuova Gerusalemme, ove è predisposto il banchetto di tutti i popoli; essa in Maria è significata e prefigurata, perché la storia della Vergine è storia dei redenti, storia di ogni creatura: si contempla così l’umanità, salvata dai sacramenti: “Rallegrati, tu che rappresenti il prefigurato lavacro; rallegrati tu che rimuovi la lordura del peccato; . . . rallegrati, fragranza del profumo di Cristo; rallegrati, vita del mistico banchetto” (“Ikos” 11). Dalle acque della salvezza, al sacro crisma, alla cena dell’Agnello, si staglia la vicenda dell’umanità in cammino nella quotidiana ricerca del volere divino; e Maria diviene allora “degli apostoli bocca che mai tace”, “dei martiri indomito coraggio” (“Ikos” 4); “colonna della verginità” (“Ikos” 10); “diadema prezioso di santi sovrani”; “di pii sacerdoti venerabile vanto”; “incrollabile torre della Chiesa” (“Ikos” 12).

Così, dalle eterne prefigurazioni del pensiero divino, fino alla appassionata partecipazione alla storia di una Chiesa pellegrina nel tempo, il mistero della Vergine Maria si snoda con una dolcezza che commuove ed un vigore che conquista. Mai separata dal suo Figlio, Maria è l’umanità aperta a ricevere lo Spirito “che dà la vita” ed è ad un tempo l’anticipo, l’emblema sfolgorante della comune, umana vocazione alla pienezza della vita in Dio.

4. E voi popoli slavi, che appartenete alla tradizione bizantina, ad una cultura tesa verso l’immensità, che mal sopporta il limite, che ama raffigurare il grande respiro delle stagioni, le distanze sconfinate nello spazio e nel tempo, come anche le infinite aspirazioni del cuore umano, voi avete accolto ed amato questo inno alla Madre di Dio, che oggi con voi abbiamo cantato. A voi dono il mio bacio di pace e il mio abbraccio fraterno.

Gli splendori della liturgia bizantina, calati nella vostra cultura, hanno acquistato accenti di particolare umanità dal palpito della grande anima slava. Sull’immagine ieratica del “Pantokrator” voi avete disegnato i tratti del crocifisso, dell’“uomo dei dolori, che ben conosce il patire” (Is 53, 3) e lo avete sentito vicino alla storia di dolore del vostro popolo, dalle grandi prove comuni fino all’agonia del più umile dei contadini, che muore - ha scritto qualcuno - “come se compisse un rito”.

Voi avete percepito con rara lucidità l’universalità dei destini umani, il limite del contingente e la radicalità dell’appello al Regno, pur in un legame affettuoso e profondo con la vostra terra, che sentite come madre calorosamente accogliente.

E noi, che oggi abbiamo pregato, unendo la nostra alla vostra voce, vi esprimiamo profonda gratitudine per i tesori preziosi, con cui avete arricchito la famiglia umana e la comunità dei credenti in Cristo.

Voi amate la Madre di Dio di un amore tenero e fiducioso; le vostre icone di lei, nelle loro infinite tipologie, la rendono una presenza di affettuosa protezione per le vostre città, le vostre famiglie, e per il cuore di ciascuno di noi. A colei che ci ha preceduto sulla strada del Regno e che non cessa di indicarci la via, coprendoci del suo manto di bontà, noi ci affidiamo; e, da lei incoraggiati, ci rivolgiamo a Dio dicendo:

O Padre, ascolta la nostra supplica, ascolta la preghiera che oggi sale a te da ogni terra e da ogni popolo, per intercessione della santa Madre di Dio. Siamo certi che tu la esaudirai perché in lei tu ci hai donato l’audacia dell’amore. Per questo a lei non cesseremo di cantare:
“Rallegrati, benevolenza di Dio verso i mortali;
Rallegrati, franca parola dei mortali verso Dio” (“Ikos” 3).

 

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