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SANTA MESSA PER I DIPENDENTI DELLE VILLE PONTIFICIE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Castel Gandolfo - Domenica, 22 luglio 1990

 

All’inizio della Messa:

Ci salutiamo come comunità di Castel Gandolfo, legata a queste Ville Pontificie. Qui essa lavora, vive. Salutiamo le persone, le famiglie, tutta la comunità. E ci salutiamo come una Chiesa. Per questo ci salutiamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

In questo nome veniamo invitati a prendere parte alla vita della santissima Trinità, all’amore di Dio Padre, alla grazia del suo Figlio e nostro Signore Gesù Cristo e alla comunione dello Spirito Santo. Il nostro reciproco saluto diventa, nello stesso tempo, un invito divino. Questo invito ci rivolge la Chiesa: questo invito facciamo tutti noi come Chiesa. E seguendo questo invito come Chiesa tutti ci prepariamo a partecipare all’Eucaristia, questo grande mistero divino, divino-umano, mistero che esprime la Chiesa, che dà vita alla Chiesa e nel quale la Chiesa si esprime. Si esprime la Chiesa nella sua dimensione universale, si esprime la Chiesa in ogni sua dimensione particolare. Qui, oggi, si esprime questa nostra Chiesa di Castel Gandolfo.

Così ci prepariamo prima all’ascolto della parola di Dio, alla riflessione basata su questa parola di Dio dell’odierna domenica, e poi ad una cosa che trascende le nostre possibilità umane, una cosa che è pure grazia e che nello stesso tempo viene offerta da noi, viene attuata da noi. È la nostra liturgia. Però questa nostra liturgia, liturgia eucaristica, liturgia del mistero pasquale di Cristo è tutta un dono, un dono divino, un dono assoluto. Non c’è un dono maggiore di questo. Non c’è, non esiste un dono nel quale noi uomini possiamo realizzarci di più.

Ci prepariamo all’ascolto della parola di Dio, a partecipare all’Eucaristia in questo dono soprannaturale; ci prepariamo anche alla Comunione perché l’invito divino dell’Eucaristia, l’invito di Cristo è sempre lo stesso dell’ultimo giorno prima della sua passione, sempre lo stesso dell’ultima cena a Gerusalemme. La prima Comunione e l’odierna Comunione. Facciamo un legame tra le due, tra i due eventi, tra i due misteri, tra quella Comunione dei Dodici e la Comunione della nostra comunità di Castel Gandolfo. Poi, alla fine, ritorniamo, riassumendo tutto, alla benedizione che la Comunione eucaristica porta con sé e offre a ciascuno di noi.  

Dopo la proclamazione del Vangelo, Giovanni Paolo II tiene l’omelia. Eccone il testo.

1. La liturgia di questa domenica - come abbiamo sentito - chiama tutti a una forte riflessione: infatti, la parabola del buon grano e della zizzania, che Gesù stesso ha voluto spiegare, esprime il vero e unico significato della storia umana.

Gesù afferma apertamente che, purtroppo, esistono gli “operatori di iniquità”, i “figli del maligno” che seminano la zizzania nel corso del tempo: questa semina drammatica e terribile è sotto i nostri occhi, come lo è stata nel passato. Indubbiamente, la libertà è un valore positivo, che dà alla persona umana la sua dignità, essendo creata a immagine e somiglianza di Dio, e perciò è data per conoscere, amare, servire Dio e il prossimo, meritando così la felicità eterna e infinita. Dall’uso negativo della libertà nasce la zizzania, che non può essere estirpata dal campo, perché non può essere eliminata la libertà. Qui sta veramente il dramma. Qui sta anche il mistero della storia umana! Dio ha creato l’uomo libero per renderlo degno della sua natura e della sua felicità eterna. Nel campo della storia dobbiamo essere il “buon grano”, usando la libertà in modo positivo e costruttivo, secondo i disegni di Dio creatore e le direttive salvifiche della legge morale.

2. La parabola stessa e le altre letture proposte dalla liturgia di oggi ci dicono che il bene e il male, il buon grano e la zizzania, convivono e crescono insieme nel campo della storia, fino al suo termine. Certamente la storia avrà la sua conclusione e allora avverrà la definitiva separazione tra coloro che hanno voluto essere buon grano e coloro che hanno scelto invece di essere e di seminare zizzania. Dice Gesù: “La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’Uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 25). Non possiamo non vedere che sono parole molto forti; sono parole severe, ma sono anche molto consolanti, consolanti se fanno riflettere: ecco tutti, ciascuno siamo creature di Dio e dobbiamo sottostare alla sua volontà, sottostare umilmente, ma soprattutto sottostare amorevolmente. I due umilmente e amorevolmente vanno sempre insieme.

3. Durante lo svolgersi della storia, e quindi praticamente durante il tempo della nostra esistenza terrena, dobbiamo sforzarci sempre di essere il buon grano! Certamente la zizzania, con la sua diffusione, impressiona e spaventa. E tuttavia Gesù afferma, ancora, che il regno dei cieli, all’inizio piccolo come un granellino di senape, si è dilatato ed è diventato un grande albero: l’albero della Chiesa, albero della grazia, che tutti invita alla Verità e tutti accoglie; il regno dei cieli è come il lievito, nascosto nella pasta, che mantiene vivo il bene e lo fa fermentare nelle nostre anime.

Per quanto possa essere vasta e violenta l’opera della zizzania, non dobbiamo mai perderci d’animo, perché il regno dei cieli è fra di noi, è nelle nostre anime mediante la grazia santificante, mediante la grazia sacramentale, anche mediante il magistero della Chiesa autentico e perenne, magistero che ci guida e ci illumina mediante l’esempio dei santi e le buone ispirazioni che il Signore stesso ci elargisce. Essere “buon grano” e “seminare buon grano” nel campo della storia è una grande dignità e un ideale supremo che rende la vita cristiana, umana, bella e la rende impegnata; dona serenità ed entusiasmo, dà consolazione e conforto, specialmente nei momenti più difficili come anche nelle decisioni più importanti.

4. Ecco la parabola del buon grano e della zizzania; questa parabola mette in evidenza il dramma e il mistero della storia, in cui agisce l’uomo, agisce la libera volontà creatrice di Dio e redentrice di Dio e agisce la libera volontà dell’uomo.

Nelle difficoltà e nelle complicazioni della vita, scriveva san Paolo ai Romani: “Lo spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26-27). Così lo Spirito Santo viene in aiuto alla nostra debolezza.

Dopo questa riflessione sulla parola di Dio dell’odierna liturgia domenicale ci prepariamo a confessare la nostra fede recitando il Credo.  

Prima di impartire la benedizione conclusiva, il Santo Padre si rivolge nuovamente all’assemblea dei fedeli. Queste le sue parole.

Fratelli e sorelle, siamo pervenuti alla conclusione della nostra celebrazione eucaristica. È molto giusto quanto avete espresso nel canto “Resta con noi”. L’Eucaristia non è solamente per celebrare, per far passare, ma per rimanere. Rimane attraverso la Comunione. Ringraziamo per la Comunione che ci ha resi uno nello Spirito Santo con Cristo, nostro Redentore, Cristo crocifisso e risorto, e ci ha resi in Cristo uno con suo Padre, con nostro Padre che è nei cieli. Ringraziamo per questa Comunione come conferma che lui, nostro Signore, Redentore, Cristo vuole rimanere con noi.

L’ultima parola della liturgia eucaristica è la benedizione. All’inizio ci siamo salutati tra noi, abbiamo accettato l’invito della santissima Trinità. Adesso, terminando, accettiamo la benedizione, la parola conclusiva, parola forte, parola creatrice. Questa benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ci conferma nella comunione con lui. Lo fa presente nella nostra vita e ci porta avanti verso la strada sulla quale Cristo ci introduce sempre, ogni giorno della nostra vita e specialmente in questo giorno che si chiama “Dies dominica”, il Giorno del Signore.

 

© Copyright 1990 - Libreria Editrice Vaticana

 



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