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«TE DEUM» DI RINGRAZIAMENTO AL SIGNORE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola - Venerdì, 31 dicembre 1993

 

“Questa è l’ultima ora” (1 Gv 2, 18).

1. Questa “ultima ora” ci viene ricordata dalla Prima Lettera di san Giovanni. L’ultima ora di ogni anno porta con sé una grazia particolare: lo si comprende bene quando, alla sera del 31 dicembre, ci si raduna nelle chiese. Questo tempo ultimo viene dato ai credenti come momento di espiazione e di rendimento di grazie.

Carissimi fratelli e sorelle romani! Siamo qui riuniti per il “Te Deum” e portiamo nel cuore il desiderio di preparare, mentre termina l’anno vecchio, la prima ora del nuovo. Vogliamo farlo in unione con Gesù Cristo. Proprio Lui, l’Unigenito che è nel seno del Padre, ci ha insegnato quale sia il valore del tempo umano: di ogni anno e di ogni ora.

Veniamo a Lui in questa chiesa romana che è legata all’eredità di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, un santo che ci ha insegnato come attingere alla pienezza di Cristo; come formare la nostra vita sulla via che Dio stesso mostra ad ogni uomo. E salutiamo qui il Preposito Generale della Compagnia di Gesù; salutiamo, assieme a tutta la Chiesa di Roma, tutti i Gesuiti che qui pregano, studiano, lavorano e si santificano. Soprattutto salutiamo i santi che sono passati attraverso questo collegio e questa chiesa. E Gesù Cristo che ci rivela la vita umana come via. Attingendo da Lui “grazia su grazia” (Gv 1, 16), ci avviciniamo giorno dopo giorno, anno dopo anno, a quella “ultima ora” che è nota solo al Padre celeste.

2. Oggi si raduna qui la Chiesa che è in Roma. Questa comunità di fede costruita da Cristo in modo mirabile sul fondamento degli Apostoli, dei quali avvertiamo, in un certo senso, sempre più feconda la presenza. L’anno che si conclude ha recato alla nostra Chiesa la singolare esperienza del Sinodo diocesano, inaugurato sette anni fa e concluso quest’anno; nella notte del 29 maggio, vigilia di Pentecoste. Le sue deliberazioni sono state raccolte nel “Libro del Sinodo”. Abbiamo, quindi, motivi particolari per esprimere a Dio la nostra riconoscenza. Tutti noi abbiamo questi motivi: il Cardinale Vicario, i Vescovi ausiliari di Roma e tutta la comunità, il presbiterio di Roma con le comunità religiose e tutti i fedeli di questa grande città. Ringraziamo il Signore per la comunione delle strade, comunione rinnovata e consolidata lungo l’intero cammino sinodale, che è stato una manifestazione concreta di comunione apostolica, perdurante attraverso i secoli e le generazioni. Il sinodo si riallaccia alla lunga storia della comunità di Roma, contemporaneamente città dalle grandi tradizioni civili e sede del Successore degli Apostoli.

Questa comunità è oggi in gran parte nuova. La vecchia Roma è diventata, in un certo senso, più piccola a motivo di tutto ciò che è cresciuto attorno ad essa. Sono sorti quartieri nuovi e nuove parrocchie. Le periferie della città chiedono con insistenza nuove chiese, e con gioia constato che esse vengono progressivamente costruite. Nel corso dell’anno che volge ormai al termine, mi è stato dato di visitare diverse comunità parrocchiali della Roma vecchia e nuova, avvalendomi della collaborazione del Cardinale Vicario, che saluto cordialmente insieme al Vicegerente e ai Vescovi Ausiliari dei diversi settori romani. Ringrazio di cuore questi miei diretti cooperatori per il loro aiuto. Saluto pure e ringrazio i parroci delle singole comunità, quanti li coadiuvano nel faticoso e diuturno lavoro pastorale, e i sacerdoti che svolgono il loro servizio nelle molteplici mansioni in cui si articola la vita della diocesi.

Nei mesi trascorsi ho potuto visitare le seguenti parrocchie: sant’Elena, sant’Antonio a Settebagni, san Pio X, Santa Famiglia al Portuense, san Giuseppe Moscati, sant’Eusebio all’Esquilino, Trasfigurazione al Gianicolense, Santissimo Sacramento a Tor de’ Schiavi, san Crispino da Viterbo, Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, santi Ottavio e Compagni martiri, San Vigilio. Ciascuna di queste visite si è sviluppata come un vero incontro, preparato con cura e serietà.

È difficile poi non esprimere la gioia e la riconoscenza per il crescente numero dei candidati al sacerdozio, sia nel seminario romano, che degli altri seminari che si trovano in Roma. Tutto ciò, insieme alla celebrazione del Sinodo, ci parla di quella imponente eredità della fede qui innestata dagli Apostoli. Il ministero del Vescovo di Roma, tuttavia, ha un’estensione universale: ecco la ragione per cui, anche quest’anno, ho visitato altri centri in Italia e fuori d’Italia mettendo in evidenza quell’unità della fede, quella “communio ecclesiarum” che congiunge Roma alle Chiese del mondo intero.

Vorrei qui rivolgere un cordiale pensiero al nuovo Sindaco della città di Roma e alla Giunta comunale che con lui strettamente collabora, al Consiglio Comunale e ai Consigli circoscrizionali. Auspico che queste strutture politiche ed amministrative, democraticamente elette nel corso della recente consultazione elettorale, siano sempre al servizio sincero e sereno dell’intera popolazione romana.

Salutando in questa chiesa la comunità della Compagnia di Gesù, voglio indirizzare un pensiero affettuosissimo al caro Cardinale Paolo Dezza, titolare della Basilica, come pure al rettore di essa e ai religiosi che vi prestano servizio, nel ricordo dei santi che qui hanno vissuto ed operato, in special modo di giovani, come san Luigi Gonzaga e san Giovanni Berchmans, che tanto possono ancora insegnare alle giovani generazioni del nostro tempo.

3. Carissimi fratelli e sorelle, l’Apostolo, mentre afferma che “questa è l’ultima ora”, aggiunge subito: “deve venire l’anticristo; di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora” (1 Gv 2, 18). Suonano forse un po’ strane queste parole nel contesto del solenne “Te Deum”. Esse, però, non sono lontane dalla realtà dell’esperienza umana. L’Apostolo ricorda che il mondo “giace sotto il potere del maligno” (1 Gv 5, 19). È bene che sia chiamato per nome questo maligno presente nel mondo. Cristo, che ha acconsentito ad essere tentato dallo spirito delle tenebre, ha insegnato a dire “libera nos a malo”. E noi lo ripetiamo in ogni santa Messa. Tuttavia, il pensare a tutto ciò non sminuisce la gioia del santo Natale; anzi ci incoraggia ad aggiungere al ringraziamento la volontà di espiazione.

Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi su ciò che ci circonda. Non possiamo non vedere che Cristo e il suo Vangelo sono e rimangono “segno di contraddizione” (Lc 2, 34). Non possiamo non avvertire che, insieme con la civiltà dell’amore, civiltà di verità e di vita, un’altra civiltà si va diffondendo: proprio di essa parla san Giovanni nel contesto dell’“ultima ora”. Scrive l’Apostolo: “Molti anticristi sono apparsi”. Ed aggiunge: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri” (1 Gv 2, 19). È come se egli riprendesse, in altri termini, la parabola del grano e della zizzania (cf. Mt 13, 24-30), raccontando la quale Cristo invitava a saper attendere fino al tempo della mietitura.

4. “Questa è l’ultima ora”.

Nell’annunciare tale verità, Giovanni rassicura i destinatari della sua Lettera: “Voi avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza... conoscete la verità” (1 Gv 2, 20-21).

Raccolti qui per essere in unione con Gesù Cristo, al concludersi del 1993, ancora pervasi dallo splendore del Natale, volgiamo lo sguardo verso il futuro. Sappiamo che “l’unzione ricevuta dal Santo” si riferisce ad una potenza interiore: la potenza che Cristo ci dona. Da duemila anni contempliamo il Signore nella sua gloria, “quella gloria che riceve l’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (cf. Gv 1, 14). Ecco il fondamento della nostra speranza; ecco perché crediamo fermamente che “il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno” (cf. Mt 24, 35).

Carissimi, andiamo dietro a Cristo! Noi vogliamo varcare insieme con Lui i confini del calendario che divide l’anno che se ne va da quello che comincerà a mezzanotte. “Te aeternum Patrem omnis terra veneratur”. Tutte le nazioni della terra, che hanno visto la salvezza del nostro Dio, si uniscono nell’inno di lode e di riconoscenza. Siamo pieni di gratitudine per il tempo che Dio ci ha dato; per il tempo passato che tramonta e ormai si allontana. Siamo però certi che la Sua parola non passa, non tramonta. Così dunque al ringraziamento e all’espiazione di questa liturgia aggiungiamo l’affidamento. Andiamo incontro al tempo nuovo, consapevoli del vigore donatoci da Cristo nello Spirito Santo.

Andiamo con lo sguardo fisso alla Madre del Redentore, la Porta del Cielo, dalla quale è stato concepito ed è nato il Figlio di Dio. A Lei guardiamo con la stessa fiducia con cui le si rivolgeva, quasi cinquant’anni or sono, proprio in questa Basilica, il Papa Pio XII, sciogliendo insieme con il popolo romano il voto pronunciato durante l’occupazione bellica. Domani la Chiesa festeggerà la sua divina maternità, intimamente legata al mistero del Santo Natale: Maria ci precede nel pellegrinaggio della fede e dell’unione con Gesù Cristo.

In Lui, con Lui e per Lui sia gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo – Dio che è, che era e che sempre viene. In Lui è riposta la pienezza di ogni tempo umano. In Lui si trova il futuro di ogni uomo. In Lui si avvera il compimento delle speranze della Chiesa e del mondo. “Te aeternum Patrem omnis terra veneratur”.

Amen.

 

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