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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI
IN OCCASIONE DEL GIOVED
Ì SANTO 1991

 

Venerati e cari fratelli nel sacerdozio ministeriale di Cristo!

“Lo Spirito del Signore è sopra di me” (Lc 4, 18; cf. Is 61, 1).

1. “Mentre siamo raccolti nelle cattedrali delle nostre diocesi intorno al Vescovo per la liturgia della Messa crismale, ascoltiamo queste parole pronunciate da Cristo nella sinagoga di Nazaret. Presentandosi per la prima volta dinanzi alla comunità del suo paese di origine, Gesù legge dal Libro del profeta Isaia le parole dell’annuncio messianico: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato” (Lc 4, 18). Nel loro significato immediato queste parole indicano la missione profetica del Signore quale annunciatore del Vangelo. Ma possiamo applicarle alla multiforme grazia che Egli ci comunica.

Il rinnovamento delle promesse sacerdotali del Giovedì Santo è unito al rito della benedizione degli Oli santi, i quali, in alcuni sacramenti della Chiesa, esprimono quell’unzione dello Spirito Santo che deriva dalla pienezza che è in Cristo. L’unzione dello Spirito Santo attua prima il dono soprannaturale della grazia santificante, mediante il quale l’uomo diventa in Cristo partecipe della natura divina e della vita della Santissima Trinità. Tale donazione è in ciascuno di noi la fonte interiore della vocazione cristiana e di ogni vocazione nella comunità della Chiesa, quale Popolo di Dio della Nuova Alleanza.

In questo giorno, dunque, noi guardiamo il Cristo, che è la pienezza, la fonte e il modello di tutte le vocazioni e, in particolare, della vocazione al servizio sacerdotale quale partecipazione peculiare, mediante il carattere sacerdotale dell’Ordine, al suo sacerdozio.

In lui solo c’è la pienezza dell’unzione, la pienezza del dono, la quale è per tutti e per ciascuno: essa è inesauribile. All’inizio del “triduum sacrum”, mentre la Chiesa intera, mediante la liturgia, penetra in modo singolare nel mistero pasquale di Cristo, noi leggiamo la profondità della nostra vocazione, che è ministeriale, la quale deve essere vissuta sull’esempio del Maestro che prima dell’ultima Cena lava i piedi agli Apostoli.

Durante questa stessa Cena, dalla pienezza del dono del Padre che è in lui e che, per mezzo suo, viene elargito all’uomo, Cristo istituirà il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e lo affiderà - il sacramento dell’Eucaristia - nelle mani degli Apostoli e, per il loro tramite, nelle mani della Chiesa, per tutti i tempi fino alla sua definitiva venuta nella gloria.

Nella potenza dello Spirito Santo, operante nella Chiesa dal giorno di Pentecoste, questo sacramento, attraverso la lunga serie delle generazioni sacerdotali è stato affidato anche a noi nel presente momento della storia dell’uomo e del mondo, la quale in Cristo è diventata definitivamente storia della salvezza.

Ciascuno di noi, cari fratelli, ripercorre oggi con la mente e col cuore la propria via al sacerdozio e, in seguito, la propria via nel sacerdozio, che è via della vita e del servizio e che a noi è derivata dal Cenacolo. Tutti ricordiamo il giorno e l’ora allorché, dopo aver recitato insieme le Litanie dei Santi, prostrati sul pavimento del tempio, il Vescovo impose su ciascuno di noi le sue mani, in profondo silenzio. Sin dai tempi apostolici, l’imposizione delle mani è il segno della trasmissione dello Spirito Santo, che è, egli stesso, il supremo artefice della santa potestà sacerdotale: autorità sacramentale e ministeriale. Tutta la liturgia del “triduum sacrum” ci avvicina al Mistero pasquale, da cui tale autorità ha il suo inizio per essere servizio e missione: a questo possiamo applicare le parole del Libro di Isaia (cf. Is 61, 1), pronunciate da Gesù nella sinagoga di Nazaret: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato”.

2. Venerati e cari fratelli, scrivendovi per il Giovedì Santo dello scorso anno, cercai di orientare la vostra attenzione verso l’assemblea del Sinodo dei Vescovi che sarebbe stata dedicata al tema della formazione sacerdotale. L’assemblea si svolse nell’ottobre scorso, e al presente, insieme al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo, stiamo preparando la pubblicazione del relativo Documento. Ma prima che tale testo sia pubblicato, desidero dirvi già oggi che il Sinodo stesso è stato una grande grazia. Ogni Sinodo è sempre per la Chiesa una grazia di speciale attuazione della collegialità dell’episcopato di tutta la Chiesa. Questa volta l’esperienza è stata arricchita in modo singolare; infatti, nell’assemblea sinodale hanno preso la parola i Vescovi di Paesi in cui la Chiesa da poco tempo appena è uscita fuori, per così dire, dalle catacombe.

Altra grazia del Sinodo è stata una nuova maturità nella visione del servizio sacerdotale nella Chiesa: maturità a misura dei tempi in cui si esplica la nostra missione. Questa maturità si esprime come un’approfondita lettura dell’essenza stessa del sacerdozio sacramentale e, dunque, anche della vita personale di ogni sacerdote, cioè della sua partecipazione al mistero salvifico di Cristo: “Sacerdos alter Christus”. È un’espressione, questa, che indica quanto sia necessario partire da Cristo per leggere la realtà sacerdotale. Soltanto così possiamo corrispondere pienamente alla verità sul sacerdote, il quale “scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb 5, 1). La dimensione umana del servizio sacerdotale, per essere del tutto autentica, deve essere radicata in Dio. Infatti, attraverso tutto ciò che in esso è “per il bene degli uomini”, tale servizio “riguarda Dio”: serve la molteplice ricchezza di questo rapporto. Senza uno sforzo per corrispondere pienamente a quell’“unzione con lo Spirito del Signore”, che lo costituisce nel sacerdozio ministeriale, il sacerdote non può soddisfare a quelle attese che gli uomini - la Chiesa e il mondo - giustamente collegano ad esso.

Tutto ciò è strettamente connesso con la questione dell’identità sacerdotale. È difficile dire per quali ragioni nel periodo postconciliare la consapevolezza di questa identità in alcuni ambienti sia diventata incerta. Ciò poteva dipendere da una lettura impropria del Magistero conciliare della Chiesa nel contesto di certe premesse ideologiche estranee alla Chiesa e di certi “trends” che provengono dall’ambiente culturale. Sembra che negli ultimi tempi - anche se le stesse premesse e gli stessi “trends” continuano ad operare - stia avvenendo una significativa trasformazione nelle Comunità ecclesiali stesse. I laici vedono l’indispensabile necessità dei sacerdoti come condizione della loro autentica vita e del loro stesso apostolato. A sua volta, questa esigenza si fa notare, anzi diventa impellente in molte situazioni, in base alla mancanza o all’insufficiente numero di ministri dei misteri di Dio. Ciò riguarda anche, sotto un altro aspetto, le terre della prima evangelizzazione, come dimostra la recente Enciclica sulle missioni.

Questa necessità di sacerdoti - fenomeno variamente crescente - dovrà aiutare a superare la crisi dell’identità sacerdotale. L’esperienza degli ultimi decenni dimostra sempre più chiaramente quanto ci sia bisogno del sacerdote nella Chiesa e nel mondo -, e questo non in una qualche forma “laicizzata”, ma in quella che si attinge dal Vangelo e dalla ricca Tradizione della Chiesa. Il Magistero del Concilio Vaticano II è l’espressione e la conferma di questa Tradizione nel senso di un opportuno aggiornamento (“accommodata renovatio”); ed in questa stessa direzione si sono orientati gli interventi dei partecipanti all’ultimo Sinodo, nonché quelli dei rappresentanti dei sacerdoti, invitati da varie parti del mondo.

Il processo di rinascita delle vocazioni sacerdotali soddisfa solo parzialmente la carenza di sacerdoti. Anche se tale processo su scala globale è positivo, si determinano tuttavia sproporzioni tra le diverse parti della comunità della Chiesa in tutto il mondo. Il quadro è molto diversificato.

In occasione del Sinodo questo quadro è stato sottoposto alle analisi più dettagliate non soltanto a fini statistici, ma anche in rapporto ad un possibile “scambio dei doni”, cioè al reciproco aiuto. L’opportunità di un tale aiuto si impone da sola essendo noto che ci sono dei luoghi dove risulta un solo sacerdote per alcune centinaia di fedeli, e ce ne sono dove c’è un sacerdote per diecimila fedeli e persino per un numero ancora maggiore. Vorrei richiamare al riguardo alcune espressioni del Decreto del Concilio Vaticano II su “il ministero e la vita sacerdotale”: “Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, “fino agli ultimi confini della terra” . . . (At 1, 8).Ricordino quindi i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chiese” (Presbyterorum ordinis, 10). L’angosciosa carenza di sacerdoti in alcune Regioni rende oggi attuali più che mai queste parole del Concilio. Mi auguro che, particolarmente nelle diocesi più ricche di clero, esse siano seriamente meditate e attuate nel modo più generoso possibile.

In ogni caso, dappertutto, per ogni luogo è indispensabile la preghiera, perché “il Padrone della messe mandi operai nella sua messe” (cf. Mt 9,38). È questa la preghiera per le vocazioni ed è la preghiera, altresì, perché ogni sacerdote raggiunga una maturità sempre maggiore nella sua vocazione: nella vita e nel servizio. Tale maturità contribuisce in modo speciale all’aumento delle vocazioni. Occorre semplicemente amare il proprio sacerdozio, metterci tutto se stesso affinché la verità sul sacerdozio ministeriale diventi in tal modo attraente per gli altri. Nella vita di ciascuno di noi deve essere leggibile il mistero di Cristo, da cui prende inizio il “sacerdos” come “alter Christus”.

3. Congedandosi dagli Apostoli nel Cenacolo, Cristo promise loro il Paraclito, un altro Consolatore, lo Spirito Santo, “che procede dal Padre e dal Figlio”. Disse infatti: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16, 7). Queste parole mettono in particolare rilievo il rapporto tra l’ultima Cena e la Pentecoste. A prezzo della sua “dipartita” mediante il sacrificio della croce sul Calvario (ancor prima che avvenga la sua “dipartita” verso il Padre il 40° giorno dopo la Risurrezione), Cristo rimane nella Chiesa: rimane nella potenza del Paraclito, dello Spirito Santo, che “dà la vita” (Gv 6, 63). È lo Spirito Santo a “dare” questa vita divina: vita che si è rivelata nel mistero pasquale di Cristo come più potente della morte, vita che è iniziata con la Risurrezione di Cristo nella storia dell’uomo.

Il sacerdozio è tutto al servizio di questa vita: le rende testimonianza mediante il servizio della Parola, la genera, la rigenera e moltiplica mediante il servizio dei sacramenti. Il sacerdote stesso prima di tutto vive di questa vita, la quale è la più profonda fonte della sua maturità ed è anche la garanzia della fecondità spirituale di tutto il suo servizio! Il sacramento dell’Ordine imprime nell’anima del sacerdote un carattere particolare che, una volta ricevuto, permane in lui come fonte della grazia sacramentale, di tutti quei doni e carismi che corrispondono alla vocazione al servizio sacerdotale nella Chiesa.

La liturgia del Giovedì Santo è uno speciale momento dell’anno, in cui possiamo e dobbiamo rinnovare e ravvivare in noi la grazia sacramentale del sacerdozio. Ciò facciamo in unione col Vescovo e con l’intero Presbiterio, avendo dinanzi agli occhi la realtà misteriosa del Cenacolo: sia quella del Giovedì Santo, sia quella del giorno di Pentecoste. Entrando nella divina profondità del sacrificio di Cristo, noi ci apriamo al tempo stesso verso lo Spirito Santo Paraclito, il cui dono è la nostra speciale partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, l’eterno sacerdote. È per opera dello Spirito Santo che noi possiamo operare “in persona Christi”, celebrando l’Eucaristia e svolgendo tutto il servizio sacramentale per la salvezza degli altri.

La nostra testimonianza a Cristo sovente è molto imperfetta e difettosa. Quale conforto rimane per noi l’assicurazione che è lui prima di tutto, lo Spirito di verità, a rendere testimonianza a Cristo (cf. Gv 15, 26). Che la nostra testimonianza umana si apra soprattutto alla sua testimonianza! Infatti, egli stesso “scruta le profondità di Dio” (cf. 1 Cor 2, 10), ed egli soltanto può avvicinare queste “profondità”, queste “grandi opere di Dio” (cf. At 2, 11) alle menti e ai cuori degli uomini, ai quali noi siamo mandati come servitori del Vangelo della salvezza. Quanto più sentiamo che la nostra missione ci sovrasta, tanto più dobbiamo aprirci all’azione dello Spirito Santo. Specialmente quando la resistenza delle menti e dei cuori, la resistenza di una civiltà generata sotto l’influsso dello “spirito del mondo” (cf. 1 Cor 2, 12), diventa particolarmente percepibile e forte.

Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza . . ., intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26). Nonostante la resistenza delle menti, dei cuori e della civiltà pervasa dallo “spirito del mondo”, perdura tuttavia in tutta la creazione l’“attesa”, della quale l’Apostolo scrive nella Lettera ai Romani: “Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8, 22), “per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 21). Che questa visione paolina non abbandoni la nostra consapevolezza sacerdotale, e ci sia di sostegno per la vita e per il servizio! Allora comprenderemo meglio perché il sacerdote è necessario al mondo ed agli uomini.

4. “Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Prima che giunga alle nostre mani il testo dell’Esortazione postsinodale sul tema della formazione sacerdotale, vogliate accogliere, venerati e cari fratelli nel sacerdozio ministeriale, questa Lettera per il Giovedì Santo. Sia essa il segno e l’espressione di quella comunione che ci unisce tutti - Vescovi, Sacerdoti e anche Diaconi - con un legame sacramentale. Possa essa aiutarci a seguire, nella potenza dello Spirito Santo, Gesù Cristo, “l’autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2).

Con la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 10 marzo - quarta Domenica di Quaresima - dell’anno 1991, decimoterzo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO PP. II

 

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