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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONFERENZA MONDIALE
DEGLI ISTITUTI SECOLARI

Castelgandolfo, 28 agosto 1980


Cari fratelli e sorelle nel Signore.

1. “A voi, grazia e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo”. Queste parole familiari all’apostolo san Paolo (cf. Rm 1,7; 1Cor 1,3; 2Cor 1,2; ecc), salgano spontaneamente alle mie labbra per augurarvi il benvenuto, e per esprimervi la mia riconoscenza per la visita che mi rendete in occasione del vostro congresso, che riunisce i rappresentanti degli istituti secolari del mondo intero.

Questo incontro mi procura una gioia profonda. Infatti, il vostro stato di vita consacrata costituisce un dono particolare dello Spirito Santo fatto al nostro tempo per aiutarlo, come hanno detto i miei confratelli latino-americani riuniti a Puebla, “a risolvere la tensione tra l’apertura oggettiva ai valori del mondo moderno (stato secolare cristiano autentico) e il dono plenario del cuore a Dio (spirito della consacrazione)” (cf. Puebla, 775). Infatti, voi vi trovate per così dire al centro del conflitto che turba e divide l’anima moderna, perché potete offrire “un apporto pastorale efficace per l’avvenire e aprire strade nuove e di valore universale per il Popolo di Dio” (Ivi).

Ho dunque grande interesse per il vostro congresso e prego il Signore di darvi la sua luce e la sua grazia affinché i lavori della vostra assemblea vi permettano di analizzare lucidamente le possibilità e i rischi che il vostro modo di vivere comporta, di prendere subito le decisioni in grado di assicurare alla vostra scelta di vita, da cui la Chiesa oggi si attende molto, gli sviluppi opportuni.

2. Nello scegliere i temi del vostro congresso: “L’evangelizzazione e gli istituti secolari alla luce dell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi””, avete seguito una suggestione contenuta in una allocuzione del mio venerato predecessore, il Papa Paolo VI al quale va certamente la vostra gratitudine per l’attenzione che vi ha sempre riservato e per l’efficacia con la quale seppe fare accogliere dalla Chiesa la consacrazione nella vita secolare. Indirizzandosi il 25 agosto 1976 ai responsabili generali dei vostri istituti, egli rilevava: “Se essi rimarranno fedeli alla loro vocazione particolare, gli istituti secolari diventeranno come “il laboratorio di esperienza” nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo. È perciò che essi devono ascoltare, come rivolto soprattutto a loro, l’appello dell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”: “Il loro compito... è la messa in opera di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e attive nelle cose del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, del sociale, dell’economia, ma ugualmente della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, dei mass media”(Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 70)” (cf. Doc. Cath., 1976, p. 807).

In queste parole, l’accento messo sulla realtà ecclesiale degli istituti secolari nella loro essenza e nel loro agire non sarà certamente sfuggito a nessuno. È d’altronde sviluppato anche in altri discorsi. C’è lì un elemento che desidero sottolineare. Infatti, come non rendersi conto di quanto è importante che la vostra esperienza di vita, caratterizzata ed unificata dalla consacrazione, l’apostolato e la vita secolare, si svolge, certo, attraverso un sano pluralismo, in una comunione autentica: con i pastori della Chiesa e nella partecipazione alla missione evangelizzatrice di tutto il Popolo di Dio?

Questo non pregiudica, d’altra parte, ciò che distingue essenzialmente il modo di consacrazione a Cristo che ci è proprio. Il mio predecessore lo precisava nell’allocuzione che ho già citato, e ricordava in questa occasione una distinzione di grande importanza metodologica: “Questo non significa, evidentemente - diceva - che gli istituti secolari, in quanto tali, debbano caricarsi di questi compiti. Questo spetta a ciascuno dei loro membri. È dunque il dovere degli istituti stessi di formare la coscienza dei loro membri a una maturità e a una apertura che li spingano a prepararsi con molto zelo alla professione scelta, allo scopo di affrontare in seguito con competenza, e in spirito di distacco evangelico, i pesi e la gioia delle responsabilità sociali verso le quali la provvidenza li orienterà” (cf. Doc. Cath., 1976, p. 807).

3. Conformemente a queste indicazioni di Papa Paolo VI, i vostri istituti hanno approfondito in modi diversi, in questi ultimi anni, a livello nazionale o continentale, il tema dell’evangelizzazione. Il vostro attuale congresso vuole fare il punto sui risultati acquisiti e verificarne il valore, al fine d’orientare sempre meglio gli sforzi di ciascuno in accordo con la vita della Chiesa, che cerca con tutti i mezzi “di studiare come fare arrivare all’uomo moderno il messaggio cristiano nel quale può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 3).

Sono felice di prendere atto del buon lavoro compiuto e esorto tutti i membri, preti e laici, a perseverare nella ricerca di una miglior comprensione delle realtà e dei valori temporali in rapporto all’evangelizzazione stessa: il prete, per rendersi sempre più attento alla situazione dei laici e per portare al presbiterio diocesano non solamente una esperienza di vita secondo i consigli evangelici e con un aiuto comunitario, ma anche una sensibilità esatta del rapporto della Chiesa al mondo; il laico, per accogliere il ruolo particolare affidato a colui che è consacrato nella vita laica al servizio dell’evangelizzazione.

Che i laici abbiano, in questo campo, un incarico specifico, ho avuto l’occasione di sottolinearlo in molte riprese, in stretto accordo d’altronde con le indicazioni date dal Concilio. In quanto Popolo santo di Dio, dicevo per esempio a Limerick, nel corso del mio pellegrinaggio in Irlanda, voi siete chiamati a occupare il vostro ruolo nella evangelizzazione del mondo. Sì, i laici sono “una gente scelta, un sacerdozio santo”. Essi sono chiamati a essere “il sale della terra” e “la luce del mondo”.È loro vocazione e loro missione specifica di manifestare il Vangelo nella loro vita e di inserirlo anche come un lievito nella realtà del mondo in cui vivono e lavorano. Le grandi forze che reggono il mondo - politica, mass media, scienza, tecnologia, cultura, educazione, industria e lavoro - sono precisamente i campi in cui i laici hanno specificamente competenza per esercitarvi la loro missione. Se queste forze sono dirette da persone che sono veri discepoli di Cristo e che, allo stesso tempo, per le loro conoscenze e i loro talenti, sono competenti nel loro campo specifico, allora il mondo sarà veramente cambiato dal di dentro dalla potenza redentrice di Cristo” (Giovanni Paolo II, Homilia in urbe Limerico habita, die 1 oct 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II,2 [1979] 497. Cf. Doc. Cath., 1979, p. 867).

4. Riprendendo ora questo discorso e approfondendolo, provo il bisogno di attirare la vostra attenzione sulle tre condizioni di importanza fondamentale per l’efficacia della vostra missione:

a) Voi dovete essere, prima di tutto, veri discepoli di Cristo. In quanto membri di un istituto secolare, voi volete essere tali con la radicalità del vostro impegno di seguire i consigli evangelici in una maniera tale che, non solamente essa non cambia la vostra condizione - voi siete e rimanete laici! - ma essa la rafforza, in questo senso che il vostro stato secolare sia consacrato, che sia più esigente e che l’impegno nel mondo e per il mondo, implicato da questo stato secolare, sia permanente e fedele.

Rendetevi ben conto di ciò che questo significa: la consacrazione speciale, che porta alla sua pienezza la consacrazione del battesimo e della cresima, deve impegnare tutta la vostra vita e tutte le vostre attività quotidiane, creando in voi una disponibilità totale alla volontà del Padre che vi ha posti nel mondo e per il mondo. In questo modo, la consacrazione verrà a costituire come l’elemento di discernimento dello stato secolare, e voi non correte il rischio di accettare questo stato semplicemente come tale, con un facile ottimismo, ma l’assumerete coscienti dell’ambiguità permanente che l’accompagna, e vi sentirete logicamente impegnati a discernere gli elementi positivi e quelli che sono negativi allo scopo di privilegiare gli uni, precisamente con l’esercizio del discernimento, e per eliminare al contrario progressivamente gli altri.

b) La seconda condizione è che voi siate, al livello del sapere e dell’esperienza, veramente competenti nel vostro campo specifico per esercitare, grazie alla vostra presenza, questo apostolato di testimonianza e di impegno verso gli altri che la vostra consacrazione e la vostra vita nella Chiesa vi impongono. Infatti, è solamente grazie a questa competenza che voi potete mettere in pratica la raccomandazione rivolta dal Concilio ai membri degli istituti secolari: “Bisogna che essi tendano prima di tutto a donarsi interamente a Dio nella carità perfetta e che i loro istituti conservino il carattere secolare che è loro proprio e specifico al fine di potere esercitare ovunque e efficacemente l’apostolato per il quale essi sono stati creati” (Perfectae Caritatis, 11).

c) La terza condizione sulla quale vi voglio invitare a riflettere è costituita da questa risoluzione che vi è propria: di sapere di cambiare il mondo dall’interno. Voi siete, infatti, inseriti nel mondo completamente e non solamente per la vostra condizione sociologica; siete tenuti a questo inserimento prima di tutto come a un atteggiamento interiore. Dovete dunque considerarvi come “parte” del mondo, come impegnati a santificarlo, accettando totalmente le esigenze che derivano dalla legittima autonomia delle realtà del mondo, dei suoi valori e delle sue leggi.

Questo vuol dire che voi dovete prendere sul serio l’ordine naturale e il suo “spessore ontologico”, cercando di leggere in esso il disegno liberamente perseguito da Dio, e offrendo la vostra collaborazione affinché si renda attuale progressivamente nella storia. La fede vi dà indicazioni sul destino superiore al quale questa storia è aperta grazie all’iniziativa salvifica di Cristo; nella rivelazione divina, tuttavia, non trovate risposte belle e fatte a numerose questioni che l’impegno concreto vi pone. È vostro dovere cercare, alla luce della fede, le soluzioni adeguate ai problemi pratici che emergono di volta in volta, e che non potrete spesso ottenere se non correndo il rischio di soluzioni solamente probabili.

C’è dunque un impegno a promuovere le realtà dell’ordine naturale e un impegno a far intervenire i valori della fede, che devono unirsi e integrarsi armoniosamente alla vostra vita, costituendo il suo orientamento di fondo e la sua costante ispirazione. In questo modo, voi potrete contribuire a cambiare il mondo “dal di dentro”, divenendo il suo fermento vivificante e obbedendo alla consegna che vi è stata data nel motu proprio “Primo Feliciter”: essere “il fermento, modesto ma efficace, che agendo ovunque e sempre, è mescolato ad ogni classe di cittadini, dalle più modeste alle più elevate, si sforza di raggiungerle e di riempirle tutte e ciascuna dell’esempio e in ogni modo fino ad informare la massa tutta intera in modo tale che essa sia tutta germogliata e trasformata in Cristo” (Primo Feliciter, Introd.).

5. La messa in evidenza dell’apporto specifico del vostro stile di vita non deve, tuttavia, condurre a sottovalutare le altre forme di consacrazione alla causa del regno alla quale voi potete così essere chiamati. Voglio alludere a ciò che è detto nel n. 73 dell’esortazione “Evangelii Nuntiandi,”che ricorda che: “I laici possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i pastori al servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vita di essa, esercitando ministeri molto diversificati, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà ben mettere in loro”.

Questo aspetto non è certamente nuovo ma corrisponde al contrario nella Chiesa a tradizioni molto antiche; concerne anche un certo numero di membri degli istituti secolari e principalmente, ma non esclusivamente, coloro che vivono nelle comunità dell’America latina o di altri paesi del terzo mondo.

6. Cari figli e figlie, il vostro campo d’azione, come vedete, è molto vasto. La Chiesa aspetta molto da voi. Essa ha bisogno della vostra testimonianza per portare al mondo, affamato della parola di Dio anche se non ne ha coscienza, il “gioioso annuncio” che ogni aspirazione autenticamente umana può trovare in Cristo il suo compimento. Sappiate essere all’altezza delle grandi possibilità che la provvidenza divina vi offre in questa fine del secondo millennio cristiano.

Da parte mia, rinnovo la mia preghiera al Signore, per la materna intercessione della Vergine Maria, affinché vi accordi in abbondanza i suoi doni di luce, di saggezza, di determinazione nella ricerca delle vie migliori per essere, tra i vostri fratelli e le vostre sorelle che sono nel mondo, una testimonianza vivente resa a Cristo e un richiamo discreto ma convincente ad accogliere la sua novità nella vita personale e nelle strutture sociali.

Che la carità del Signore guidi le vostre riflessioni e i vostri scambi durante questo congresso. Voi potrete allora camminare con fiducia. Vi incoraggio a questo donandovi la benedizione apostolica, per voi e per coloro che voi rappresentate oggi.

 



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