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16-27 febbraio 1981

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO FILIPPINO E AI VESCOVI ASIATICI 
RIUNITI A VILLA SAN MIGUEL A MANILA

17 febbraio 1981

 

Diletti fratelli in nostro Signore Gesù Cristo, 

1. Sin dal mio arrivo sul suolo Filippino ho avuto occasione di affermare che la prima e principale ragione della mia visita qui è la beatificazione di Lorenzo Ruiz, il cui martirio è testimonianza della santità della Chiesa. Considero nello stesso tempo la mia visita pastorale come un pellegrinaggio al Santuario vivente del Popolo di Dio in questa terra. E oggi saluto in voi Vescovi ciascuna comunità ecclesiale che costituisce la Chiesa nelle Filippine. 

Il mio pensiero va anche alle generazioni passate che hanno ricevuto e trasmesso la fede cattolica. A nome della Chiesa universale desidero esprimere la mia lode e il mio ringraziamento a Dio per questo immenso dono che il vostro popolo ha ricevuto e conservato. Rendo grazie anche per la speciale vocazione che è stata data alla Chiesa delle Filippine. Venendo da voi, è mio desiderio adempiere al mio servizio pastorale nei confronti dei fedeli della vostra terra e di tutti voi, loro Vescovi. Siamo dunque convenuti qui per ripetere l’episodio degli Atti degli Apostoli quando Pietro e gli undici si riunirono per parlare di Gesù e per riflettere sul potere del Suo Spirito. Il solo fatto di trovarmi con voi è sufficiente per trarre forza e potenza da Colui che è in mezzo a noi. Da parte mia desidero, in fedeltà a Cristo, confermarvi nella fede che possedete e proclamate. 

2. La mia venuta è legata alla convinzione che la parola di Dio è potente e che, quando sia fedelmente predicata, è luce e forza per il nostro popolo. È nella verità il fondamento della sua fede. E per questo che non cessiamo mai di comunicargli la convinzione di san Paolo: “La vostra fede non è fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1Cor 2,5). 

Come pastori del Popolo di Dio abbiamo il ruolo di annunciare “Tutta la volontà di Dio” (At 20,27). Attraverso la piena proclamazione di Cristo e del suo Vangelo viene a scatenarsi una forza dolce ma irresistibile nel mondo. Permettetemi a questo riguardo di condividere con voi due testimonianze di particolare interesse per voi in quanto Vescovi nelle Filippine. 

La prima è di Paolo VI. È la grande testimonianza che diede 10 anni or sono al Quezon Circle. Parlando di Cristo egli disse: “Sento la necessità di proclamarlo, non posso rimanere in silenzio. “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9,16). Sono inviato da Lui, da Cristo stesso, per fare questo, sono un apostolo, sono un testimone... devo dare testimonianza al suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio del Dio vivente (cf. Mt 16,16). Egli rivela il Dio invisibile, Egli è il primogenito di tutta la creazione, il fondamento di tutto ciò che è stato creato. È il Maestro di tutti gli uomini, il loro redentore... Gesù Cristo è la nostra costante predica; è il suo nome che noi proclamiamo fino ai confini del mondo (cf. Rm 10,18) e nei secoli (cf. Rm 9,5)” (29 novembre 1970). Questa è stata la sua missione dieci anni or sono, e alcuni di voi erano allora presenti insieme allo scomparso Cardinale Santos e agli altri Vescovi di quel tempo. Sono convinto che in futuro un altro successore di Pietro si unirà ai vostri successori in questa stessa proclamazione della fede. 

La seconda testimonianza che desidero ricordare è anch’essa molto particolare. Certamente molti di voi erano presenti e hanno ascoltato Giovanni Paolo I dire le seguenti parole ai Vescovi filippini riuniti a Roma per la loro visita ad limina: “Da parte nostra intendiamo darvi il nostro sostegno, il nostro appoggio, il nostro incoraggiamento nella grande missione dell’episcopato; proclamare Gesù Cristo ed evangelizzare il suo popolo... una grande sfida dei nostri giorni è l’evangelizzazione completa di tutti coloro che sono stati battezzati. I Vescovi della Chiesa hanno qui una fondamentale responsabilità. Il nostro messaggio dev’essere una chiara proclamazione della salvezza in Gesù Cristo” (28 settembre 1978). Questa fu una testimonianza memorabile per i suoi contenuti e per le circostanze in cui fu data. Fu l’ultimo atto pubblico di Giovanni Paolo I; fu l’ultima ora del suo pubblico ministero. Fu la sua eredità, e fu per voi. Voglio oggi perpetuare la sua testimonianza a farla mia. 

3. Questa proclamazione di Gesù Cristo e della salvezza nel suo nome è il fondamento di tutto il servizio pastorale. È il contenuto di tutta l’evangelizzazione e di tutta la catechesi. È un vostro merito farlo in unione con il successore di Pietro e con tutta la Chiesa. Dev’essere sempre così. La vostra unità con la Chiesa universale e l’autenticazione di tutte le vostre iniziative pastorali è la garanzia della loro efficacia soprannaturale. Questa unità era realmente la preoccupazione che spingeva san Paolo a consigliarsi affinché “non si trovasse nel rischio di correre e di aver corso invano” (Gal 2,2). Rendo grazie a Dio oggi per la vostra unità cattolica e per la forza che essa vi dà. 

4. Fortificati dalla parola di Cristo e rafforzati nell’unità della sua Chiesa, siete in grado di adempiere efficacemente al vostro ministero pastorale ad imitazione di Gesù Buon Pastore. Voglio ripetere oggi il suggerimento che san Paolo ricevette nella sua consultazione. “Soltanto ci pregarono di ricordarsi dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare” (Gal 2,10). Questa potrebbe essere la caratteristica anche del vostro ministero: la preoccupazione per i poveri, per coloro che sono materialmente o spiritualmente nel bisogno. Il vostro amore pastorale abbraccerà dunque coloro che sono nell’indigenza, nell’afflizione, nel peccato. 

E ricordiamoci sempre che il più gran bene che possiamo dare loro è la parola di Dio. Ciò non significa che non dobbiamo dare loro assistenza nei loro bisogni fisici, ma significa che hanno bisogno di qualche cosa di più, e che abbiamo qualche cosa di più da dare: il Vangelo di Gesù Cristo. Con grande intuizione pastorale e amore evangelico Giovanni Paolo I esprimeva anche questo pensiero succintamente nel giorno in cui morì: “Dai giorni del Vangelo, e ad imitazione del Signore, che “passò beneficando” (At 10,38), la Chiesa è irrevocabilmente impegnata a dare il suo contributo per alleviare la miseria e l’indigenza fisica. Ma la sua carità pastorale sarebbe incompleta se non mettesse in evidenza “esigenze ancora superiori”. Nelle Filippine Paolo VI fece proprio questo. Nel momento in cui scelse di parlare dei poveri, della giustizia e della pace, dei diritti dell’uomo, della liberazione economica e sociale – nel momento in cui impegnava anche la Chiesa in modo concreto ad alleviare la miseria – egli non tacque e non poteva tacere sul “bene superiore”, la pienezza di vita nel Regno dei Cieli”. 

5. Un altro aspetto del vostro ministero è l’interesse fraterno che avete per i vostri fratelli sacerdoti. Essi hanno bisogno di essere convinti del vostro amore; hanno bisogno del vostro esempio di santità e devono vedervi come loro guide spirituali, come araldi del Vangelo, in modo che anch’essi possano concentrare tutte le loro energie sul proprio ruolo sacerdotale nella costruzione del Regno di giustizia e pace di Cristo. A questo riguardo è importante che venga conferita ai laici la piena responsabilità che è loro specifica. Attraverso la loro attività nell’ordine temporale hanno un compito speciale da adempiere affinché avvenga la consacrazione del mondo a Dio. È un compito elevato, e hanno bisogno che i loro Vescovi e sacerdoti li sostengano con la loro guida spirituale. Dev’essere nello stesso tempo evidente nel Corpo di Cristo, dove vi è una varietà di funzioni, che i laici sono degni di fiducia che possono compiere ciò che il Signore ha specificamente loro affidato. Sarà data così la possibilità al clero di prestare tutta la sua attenzione al precetto apostolico di dedicarsi “alla preghiera e al ministero della parola” (At 6,4). Lo Spirito di Dio continua a confermare queste priorità del ministero sacerdotale per ciascuna generazione nella Chiesa. 

6. Riflettendo sulla Chiesa nelle Filippine, l’aspetto missionario emerge in varie maniere. Prima di tutto vi è il vostro glorioso inizio missionario quando i vostri progenitori accettarono il messaggio di salvezza che fu loro annunciato. Riflettere su questo significa lodare Dio nella vostra storia, nella generosità dei missionari che prosegue nel presente. Riflettere sul vostro passato missionario significa accogliere la sfida a continuare con lo stesso zelo. Per comprendere il vostro destino missionario basta ascoltare il profeta Isaia il quale così vi esorta: “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati” (Is 51,1). Vi sono infatti molti luoghi dove il nome di Gesù non è ancora conosciuto e dove il suo Vangelo dev’essere ancora proclamato. Sarà il vostro zelo e quello dei vostri sacerdoti, con l’impegno dell’intera comunità ecclesiale, a ideare mezzi per proseguire l’evangelizzazione iniziale e la catechesi successiva di fronte ad un raccolto che e immenso. Nello stesso tempo ascolterete la chiamata di altre nazioni, specialmente dei vostri vicini in Asia: “Passa... e aiutaci” (At 16,9). Non c’è dubbio: le Filippine hanno una speciale vocazione missionaria di annunciare la Buona Novella, portando la luce di Cristo alle nazioni. Questa missione dev’essere svolta con sacrificio personale, e nonostante la limitatezza delle risorse, ma Dio non sarà avaro della sua grazia e provvederà alle vostre esigenze. Paolo VI ha confermato questa vostra vocazione missionaria durante la sua visita, qui, e poi ancora ripetutamente. Sotto molti punti di vista, cari fratelli, siete veramente chiamati ad essere una Chiesa missionaria. 

7.Nel vostro impegno a svolgere la vostra opera pastorale, so che avrete presenti le parole con le quali il Vangelo ricorda la chiamata degli apostoli: “Ne costituì dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a predicare” (Mc 3,14). Potrebbe sembrare che i due aspetti della vocazione apostolica si escludano a vicenda ma non è così. Gesù vuole che restiamo con Lui e che nello stesso tempo andiamo a predicare. Siamo chiamati a essere suoi compagni e suoi amici, oltre che suoi apostoli instancabili. In una parola, siamo chiamati alla santità. Non vi può essere un efficace ministero episcopale senza santità di vita, perché il vostro ministero è modellato su quello del Pastore Supremo e Guardiano delle nostre anime, Gesù Cristo (cf. 1Pt 5,4; 2,25). 

Miei cari fratelli, nella nostra intima amicizia con Gesù Cristo troveremo la forza per l’amore fraterno, il potere di toccare i cuori annunciando un messaggio convincente. Nell’amore di Gesù troveremo il modo di costruire la comunità in Cristo e di servire il nostro popolo, offrendogli la parola di Dio. Partecipando alla santità di Gesù eserciteremo un autentico ruolo profetico: l’annuncio della santità e la sua coraggiosa messa in pratica come esempio da seguire nella comunità ecclesiale. Per essere fedeli alla nostra tradizione, ricordiamo l’esortazione dell’apostolo Pietro a farci “modelli del gregge” (1Pt 5,3) 

8. A questi importanti aspetti del nostro ministero pastorale che ho citato – parola di Dio, unità e santità – voglio aggiungere una parola finale di esortazione fraterna, eccola: confidiamo pienamente nei meriti di Nostro Signore Gesù Cristo; nel suo potere di rinnovare, per azione del suo Spirito, la faccia della terra. La nostra missione e il nostro destino, legati a quello del nostro popolo, sono nelle mani di Dio il quale ha dato ogni potere di redenzione e santificazione a Gesù Cristo. Ed è Cristo che ci dice oggi che siamo forti in Lui e sostenuti dalla sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). 

Infine, come Vescovi ci sentiamo noi stessi avvolti nel dolce materno amore di Maria, Madre di Gesù e Regina degli apostoli. Sono fiducioso che Ella con la sua intercessione assisterà la Chiesa delle Filippine – e particolarmente voi miei fratelli Vescovi – nel proclamare Gesù Cristo salvezza dell’Asia e luce eterna del mondo. 

9. La gioia di questo incontro è accresciuta dalla presenza degli altri Vescovi dell’Asia riuniti tutti in questa comune missione di annunciare Gesù Cristo. 

Siamo giustamente soddisfatti della consapevolezza esistente nella Chiesa di oggi – grazie all’azione dello Spirito di Dio nei nostri tempi – della necessità di portare il Vangelo ad avvalersi di tutte le culture, di incarnarlo nella vita di tutti i popoli, di presentare il messaggio cristiano in maniera che sia sempre più efficace. È un fine nobile, un fine delicato; un fine al quale la Chiesa e fermamente impegnata. Nel giorno dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II infatti Giovanni XXIII annunciò che lo scopo principale del Concilio era di assicurare “che il sacro patrimonio della dottrina cristiana fosse più efficacemente custodito e insegnato” (11 ottobre 1962). 

In tutti i vostri sforzi, cari confratelli Vescovi, per perseguire questo fine durante il periodo postconciliare, siate certi dell’appoggio della Chiesa universale che abbraccia ogni nazione sotto il cielo e annuncia lo stesso Cristo ad ogni popolo e ad ogni generazione. Siate consapevoli soprattutto dell’azione sovrana dello Spirito Santo, il quale soltanto può suscitare la nuova creazione. Per questa ragione Paolo VI poté dichiarare che “le tecniche di evangelizzazione sono buone, ma neanche quelle più progredite possono sostituire l’azione dolce dello spirito... bisogna affermare che lo Spirito Santo è il principale agente di evangelizzazione: è Lui che spinge ogni individuo a proclamare il Vangelo ed è Lui che, nella profondità delle coscienze, fa si che la parola di salvezza sia accettata e compresa” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 75). 

È a questo Spirito Santo che ci rivolgiamo umilmente per chiedere che la nostra missione di evangelizzatori sia fruttuosa per il Regno di Dio e per la gloria del nome di Gesù: “Veni Sancte Spiritus! Veni Sancte Spiritus!” 

 

 

 



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