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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN NIGERIA, BENIN
GABON E GUINEA EQUATORIALE

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA COMUNITÀ POLACCA

Lagos (Nigeria), 16 febbraio 1982

Ringrazio cordialmente il Signor Ambasciatore che ha voluto esprimere in modo conciso e cordiale i pensieri ed i sentimenti di tutti i partecipanti al nostro incontro. Ringrazio Dio che quest’odierno incontro abbia potuto avere luogo. È in un certo senso l’incontro conclusivo, in quanto non è certamente il primo, sulla strada della mia permanenza in Nigeria. Infatti, già nel primo pomeriggio della mia visita, durante la prima santa Messa che ho celebrato qui, a Lagos, allo stadio nazionale, ho potuto incontrare i miei connazionali, così come nelle tappe successive a Onitsha, a Enugu e soprattutto nel Nord, a Kaduna, dove, allo stadio, in mezzo a centinaia di migliaia di partecipanti ivi radunati per le ordinazioni sacerdotali, un gruppo di polacchi era contraddistinto dagli stendardi, dalle scritte e anche dai canti polacchi, del resto ben eseguiti anche dai non polacchi. A cantare “Sto lat” era una corale accademica nigeriana. Ed io l’ho ringraziata in polacco, perché non è facile ringraziare per “Sto lat” in un’altra lingua; però, nello stesso tempo, ho ringraziato i miei connazionali. Infine, ieri, durante la visita ad Ibadan, ho avuto l’opportunità di incontrare un altro gruppo di connazionali che lavorano nelle Università del Paese; e con alcuni di essi ho potuto intrattenermi abbastanza a lungo, così come era avvenuto anche a Kaduna.

Sono lieto di quest’incontro odierno, perché ancora una volta posso incontrarvi in un diverso paese del mondo, e soprattutto in un altro paese dell’Africa. Questo dipende dall’emigrazione, la quale può apparire come una certa dispersione di forze, ma dev’essere anche guardata come una missione e comunque come un servizio. Il mondo è così organizzato che nessuna nazione mai vive in un completo isolamento e anzi sarebbe male se vivesse così. In realtà, come ciascun uomo vive per gli altri, così anche le Nazioni vivono in rapporto reciproco, l’una per l’altra, e l’emigrazione, se convenientemente intesa, secondo le adeguate premesse della morale sociale, politica, internazionale, è un’espressione di queste reciproche prestazioni della società e delle Nazioni.

Credo che l’emigrazione polacca qui, in Nigeria, abbia appunto questo carattere; lo indica la composizione dei connazionali che ci vivono, il loro carattere sociale e professionale. E voglio aggiungere ancora una cosa: le prime relazioni riguardanti voi, polacchi che vivete qui, le ho avute da Vescovi nigeriani, quando questi giungevano “ad limina Apostolorum” per informare il Papa sui problemi della loro Chiesa. Tutti, uno dopo l’altro, mi parlavano dei polacchi che vivono in questo paese, e parlavano di loro come di una parte viva della Chiesa che è in Nigeria. È una particolare testimonianza resa anche alla nostra patria; non solo alla Chiesa in Polonia, ma anche semplicemente alla Polonia. Perché – com’è noto – la storia della nostra patria nell’arco di mille anni è in modo strettissimo legata alla Chiesa e al cristianesimo. Gli ultimi difficili secoli sono un particolare periodo di prova di questa alleanza tra la Nazione e la Chiesa. Aggiungerei: in modo particolare gli ultimi anni.

Voglio dirvi che essendo nella storia il primo della stirpe polacca, figlio della terra polacca, ad essere diventato successore di Pietro, Pontefice non solo polacco, ma Slavo, provo un particolare debito nei confronti della mia patria, e pertanto di tutti i miei connazionali. Penso che la patria, la sua storia, la storia della Chiesa, la storia della Nazione mi abbiano in un modo eccezionale preparato ad essere solidale con le diverse nazioni del mondo. Non per nulla i polacchi, durante la loro storia, hanno cercato alleanze, si sono uniti con i loro vicini più stretti; non per nulla, poi, combattevano “per la nostra e la vostra libertà”. Tutto ciò appartiene all’eredità spirituale del Papa venuto dalla Polonia. E proprio grazie a questa eredità mi è facile provare una solidarietà particolare verso quelle genti, quelle nazioni che soffrono, che nella grande famiglia dei popoli sono in qualsiasi modo discriminate, oppresse, private della libertà, private della sovranità nazionale, private, nella vita di tutti i giorni, oppure a motivo di un intero sistema, della sufficiente giustizia sociale; mi è facile essere immediatamente con loro perché ho imparato fin da piccolo ad essere in sintonia con la nostra Nazione che ebbe una storia non facile ed ha pure non facile il suo presente.

Incontrandomi con voi e parlandovi, colgo l’occasione per dirvi queste cose. Perché anche voi avete parte, in tutto ciò; e dal momento che anche voi siete fuori dalla patria, così come il Papa si trova fuori dalla patria, potete capirlo in modo particolare. Aggiungo che stando al di fuori della patria, stabilmente a Roma ed a volte fuori di Roma, sono tuttavia molto vicino alla mia patria, vivo molto profondamente tutti gli avvenimenti che vi succedono, soprattutto gli avvenimenti difficili, e ad alta voce esprimo ciò a cui i polacchi hanno diritto da parte dei loro vicini e di tutte le nazioni, soprattutto di quelle nazioni con le quali la storia del nostro continente li ha legati, fin dalle origini.

L’ho espresso durante gli ultimi mesi e nelle ultime settimane, riguardo allo stato di emergenza, allo stato di guerra in Polonia; l’ho manifestato rivolgendomi sia alle autorità statali, sia a tutti i rappresentanti degli Stati e delle Nazioni, specialmente di quelli dai quali maggiormente dipende che i diritti degli uomini e delle nazioni siano rispettati.

Carissimi connazionali, fratelli e sorelle, questi diritti sono per noi una eredità secolare. Non li abbiamo appresi solamente con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Uomo, dopo la seconda guerra mondiale. Li abbiamo appresi nel corso dei secoli. Con tale messaggio giungeva al Concilio di Costanza Pawel Wlodkowic. È un’eredità secolare. È difficile essere polacco senza portare dentro di sé questa eredità.

Concludendo questa meditazione che, come vedete, è pure indirizzata alla nostra comune Patria e al suo posto nel mondo, desidero rivolgermi a voi che siete fuori della patria e che rappresentate qui, in Nigeria, la Polonia e tutto ciò che è polacco.

Il mio augurio è che voi possiate attuare questa rappresentanza nel modo migliore, nel modo più fruttuoso per questa società in via di sviluppo, una società che ha già conseguito grandi successi, ma che si trova tuttora all’inizio della sua storica via come Stato, quello della Federazione Nigeriana. Vi auguro che possiate compiere bene questo servizio, perché in questo modo altrettanto bene adempirete al servizio nei confronti della vostra patria. È un insegnamento che traggo dalla mia propria vita e insieme dalla mia missione. Credo che compiendo nel modo migliore possibile la mia missione nella Sede di Pietro, anch’io servo la mia patria, così come ne sono capace. È un nostro diritto ed è un nostro dovere. Che Iddio conceda a ciascuno di noi di portare tale diritto nella propria coscienza e adempierlo nelle opere. A questo aggiungo il più caloroso augurio e la più affettuosa benedizione, che va a tutti i presenti, ma anche a tutti coloro che non prendono parte alla nostra riunione. Certamente è maggiore il numero degli assenti di quanti non siano quelli che hanno potuto giungere fin qui. Si parla di circa duemila polacchi che vivono e lavorano in tutta la Nigeria. Vorrei anche rivolgere il mio augurio a ciascuno e ciascuna di voi distintamente, e in particolar modo alle vostre famiglie, e alle giovani generazioni, che vedo qui presenti. Desidero, per così dire, incontrarmi con ciascuna famiglia, con ogni connazionale direttamente, ma anche con ciascun connazionale diventato tale tramite un altro connazionale.

Perché vedo davanti a me anche queste combinazioni: quelle dei matrimoni misti tra polacchi e nigeriani oppure tra polacchi e cittadini di altri paesi.

Ed ora desidero che noi concludiamo il nostro incontro: con una comune preghiera e che voi riceviate la benedizione che vi do in questa circostanza. In unione con tutti i miei connazionali prego, per quanto possibile, tutti i giorni, recitando l’Angelus Domini. Perciò anche adesso lo dirò insieme con voi.

              



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