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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL PONTIFICIO ATENEO "ANTONIANUM"

16 gennaio 1982

 

Fratelli e figli carissimi!

1. Nella sollecitudine quotidiana per tutte le Chiese (cf. 2Cor 11,28), che mi incombe come successore di Pietro e Vicario di Cristo, ho voluto inserire anche la visita personale alle Pontificie Università e Atenei che hanno sede in Roma, centri di irradiazione della cultura ecclesiastica, che impegnano tanti professori e studenti convenuti da molte nazioni di tutti i continenti.

Per tutti coloro che in queste benemerite Istituzioni sono, in diverso modo, impegnati, la venuta del Papa vuole essere di incitamento a cooperare sempre più efficacemente con lui alla diffusione del Vangelo (cf. Fil 1,5).

2. Nella serie di tali visite si inserisce oggi quella del Pontificio Ateneo “Antonianum”, dell’Ordine dei Frati Minori. Rivolgo, dunque, il mio cordiale saluto ai signori Cardinali William Baum, Prefetto della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, e Ferdinando Antonelli, che di questo Ateneo è stato Rettore; agli eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi qui presenti; al P. John Vaughn, Gran Cancelliere, unitamente al P. Gerardo Cardaropoli, attuale Rettore; agli ex-Rettori, ai Decani e Presidi e all’intero Corpo docente.

In particolare, saluto i cari studenti dell’Ateneo, per i quali vengono messe a disposizione le sue molteplici strutture e iniziative accademiche; ad essi mi piace augurare una formazione culturale costruita con la mente e col cuore, in vista di una testimonianza evangelica sempre più efficace.

È noto che attualmente il Pontificio Ateneo “Antonianum” costituisce l’unico Studio Generale dell’Ordine dei Frati Minori ed anche il suo centro di più riconosciuto prestigio, con le sue tre Facoltà: di Teologia, di Diritto Canonico, e di Filosofia.

Ed il saluto e la parola, che mi è dato esprimere nella sede di questo illustre Ateneo, sono indirizzati anche alle varie istituzioni che in esso sono inserite o ad esso fanno capo: i due Istituti interdipartimentali accennati dal Rettore Magnifico, la Commissione Scotistica, l’Accademia Mariana Internazionale, il Collegio di san Bonaventura, la Scuola aggregata “Regina Apostolorum” per religiose, ed i sette Studi Teologici affiliati, sia in Italia che a Gerusalemme.

Queste varie istituzioni testimoniano il livello di autentica ricerca accademica, che qualifica l’“Antonianum”. Esso, infatti, realizza e, come tutti gli Atenei, è chiamato a realizzare sempre maggiormente le tre finalità caratteristiche delle Facoltà ecclesiastiche, come ho scritto nella costituzione apostolica Sapientia Christiana: coltivare e promuovere a livello scientifico le proprie discipline; formare in esse gli studenti ad un livello di alta qualificazione; e infine aiutare la Chiesa nella sua opera evangelizzatrice (cf. Giovanni Paolo II, Sapientia Christiana, art. 3). Di esse voglio qui sottolineare soprattutto le prime due, poiché il valore di un Ateneo si misura proprio dalla serietà e dalla dedizione alla ricerca scientifica. Ciò, d’altronde, è richiesto non solo dalle esigenze culturali del nostro tempo e dalle provvidenziali richieste dell’uomo contemporaneo, ma anche dalla luminosa dignità propria delle stesse Scienze coltivate, alle quali bisogna consacrarsi, secondo quanto scrive il Siracide circa la sapienza: “Seguine le orme e cercala, ti si manifesterà; / e una volta raggiunta, non lasciarla. / Alla fine troverai in lei il riposo, / ed essa ti si cambierà in gioia” (Sir 6,27-28). Frutti e luoghi riconosciuti delle ricerche curate dall’Ateneo sono le sue pubblicazioni, specialmente il periodico scientifico “Antonianum” e le varie Collane, tra le quali occupa il primo posto lo “Spicilegium Pontificii Athenaei Antoniani”.

Mi piace poi ricordare in particolare il prezioso lavoro della Commissione Scotistica, che cura la pubblicazione dell’edizione critica delle opere di Giovanni Duns Scoto, e la benemerita attività dell’Accademia Mariana, che promuove e organizza Congressi di Mariologia e pubblica gli “Atti dei Congressi Mariologici-Mariani”. Anche a questi Istituti va il mio elogio per le loro benemerenze acquisite fino ad ora, e ad essi va anche la mia esortazione a non estinguere, anzi ad alimentare per l’avvenire il loro fervore.

L’odierna visita mi è particolarmente gradita anche perché si pone tra la conclusione del 750° anniversario della morte di sant’Antonio, da cui l’Ateneo prende nome, e l’inizio delle celebrazioni per l’ottavo centenario della nascita di san Francesco, Fondatore dell’Ordine al quale l’Ateneo appartiene.

Traendo ispirazione da queste due ricorrenze, desidero esprimervi soprattutto il mio stimolo e incoraggiamento per la vostra operosità futura.

3. Sant’Antonio, che proprio in questo giorno – il 16 gennaio dell’anno 1946 – fu proclamato dal mio predecessore Pio XII “Dottore della Chiesa”, costituisce un modello insigne di studioso e di annunciatore della Parola di Dio. Conoscitore profondo della Sacra Scrittura – tanto che il Papa Gregorio IX lo salutò “Arca del Testamento” – egli si meritò, per il taglio kerigmatico della sua esposizione e per la penetrazione spirituale e mistica della dottrina rivelata, l’appellativo di “doctor evangelicus”. Lo “stile” della sua riflessione teologica può ancor oggi utilmente ispirare quanti si dedicano all’approfondimento delle ricchezze della verità divina.

Insieme con sant’Antonio, vi ispiri e vi sostenga colui che fu sua guida spirituale: san Francesco.

Tutti sappiamo che cosa abbia rappresentato per l’umanità la nascita del grande Santo di Assisi: con lui – dice Dante – “nacque al mondo un sole” (Dante Alighieri, La Divina Commedia Paradiso, XI, v. 54). Molti sono i motivi per i quali egli ha esercitato, ed esercita ancora, un fascino tanto rilevante nella Chiesa, e anche al di fuori di essa: la visione ottimistica di tutto il creato, come epifania di Dio e patria di Cristo, da lui celebrato nel notissimo Cantico delle Creature; la scelta della povertà come espressione della sua intera vita e da lui chiamata Madonna, l’appellativo dato dai cavalieri alle dame e dai cristiani alla Madre di Dio.

Ma a sostegno di tutto stava una virtù teologale integralmente praticata, che egli raramente chiama per nome, perché diventa il suo stato d’animo, che lo fa concentrare tutto in Dio, che tutto gli fa aspettare da lui, che lo rende felice di non possedere altro che lui. Con accenti appassionati egli esprime questo suo stato d’animo nella Chartula data a frate Leone sul Monte della Verna: “Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio, vivo e vero... Tu sei la nostra speranza” (Opuscula, ed. C. Esser, Grottaferrata 1978, p. 90s.).

4. So che all’ingresso di quest’Aula splendida, intitolata a Maria santissima Assunta, una epigrafe latina ricorda la visita del mio predecessore Paolo VI, in occasione del VII Congresso Mariologico Internazionale, il 16 maggio 1975. Di lui desidero ripetere il messaggio al Capitolo Generale dei Frati Minori nel 1973: come san Francesco, siate anche voi, nel mondo d’oggi, i custodi della speranza! (cf. Insegnamenti di Paolo VI, XI [1973] 576).

Del resto, è questo anche il messaggio che io stesso ho indirizzato all’ultimo Capitolo Generale, il 21 giugno 1979; e vi esorto ad imprimere nei vostri animi, perché ne siate gli araldi, il contenuto delle parole iniziali della mia prima enciclica: “Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia” (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, [1979] 1598). Sì: perché la speranza vera, questo dono dello Spirito che non delude (cf. Rm 5,5), deriva dall’unica certezza che “il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).

Il recupero di questa certezza è urgente nel mondo d’oggi, solcato da tante inquietudini che sono come un attentato alla speranza portata a tutti da Cristo: “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).

Non si può non costatare, con tristezza, che il culto della morte minaccia di avere il sopravvento sull’amore alla vita: la morte inflitta a tanti esseri umani già prima di nascere; la morte non evitata a tanti nostri fratelli consumati dalla malattia e dalla fame; la morte procurata con la violenza e con la droga; la morte della libertà cinicamente perpetrata contro individui e intere nazioni; e perfino la morte di chi non può liberamente esprimere il proprio pensiero.

Tutto questo deriva, in gran parte, dal fatto che, in non pochi, è avvenuta la morte della coscienza, causata, a sua volta, dall’oscuramento di quella certezza che fonda ogni vera speranza: il Figlio di Dio ha amato singolarmente ogni uomo, fino a farsi uomo anche lui e a dare la vita per tutti.

Di fronte ad un tale stato di cose, di teorie e di prassi, io sento di dover ripetere ancora una densa espressione del mio predecessore Paolo VI: “Di questa speranza, che si iscrive sopra la sofferenza umana, sopra la fame e la sete di giustizia, sopra le nostre tombe, il mondo ha bisogno” (Insegnamenti di Paolo VI, XIII [1975] 1507). Sì, il mondo ha bisogno di questa umana e insieme trascendente speranza, che può trasformare in beatitudine anche situazioni umanamente disperate; che fa vedere come momento di vita anche la sua fine; che non emargina dal processo storico in cui viviamo, ma anzi lo anima con l’introduzione in esso della dimensione del futuro; che fa aderire a Cristo primogenito di molti fratelli nell’esperienza dei condizionamenti dell’esistenza temporale e, insieme, primogenito dei risuscitati da morte (cf. Rm 8,29; Col 1,18).

5. Io vorrei che l’Ordine dei Frati Minori, in particolare modo mediante questo suo Ateneo, contribuisse a colmare questo bisogno di speranza con l’apporto originario che a san Francesco si ispira. Io confido che ogni sforzo sia fatto, affinché, con la multiforme attività propria ad una Istituzione accademica, essa possa e sappia, nella società odierna, allargare gli spazi ai valori contenuti nel Vangelo, i soli capaci di generare ed alimentare non illusorie speranze.

Tutti i discepoli di Cristo sono segnati da una scelta irreversibile che non è partita da loro, ma da lui, che li vincola, perciò, alla missione da lui stesso stabilita: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16).

Voi in particolare, professori carissimi, dovrete sentirvi segnati da quella scelta e impegnati in quella missione, anche in ragione dell’appartenenza a questo Ateneo. È, infatti, da ricordare che Pio XI, ricevendo in Udienza i suoi membri il 15 dicembre 1933 – Anno della Redenzione – nel 50° anniversario di fondazione e appena qualche mese dopo la sua erezione canonica, disse: “Tra i frutti più eccellenti e salutari della Redenzione ci piace annoverare l’inaugurazione del vostro Ateneo” (Acta Ordinis Fratr. Minor., 53 [1934] 73). Un dono di Dio, dunque, che crea in chi lo ha ricevuto un obbligo permanente alla corrispondenza, nella linea del dono stesso: un obbligo quindi, a mettersi al servizio dell’opera della salvezza compiuta da Cristo Redentore.

Ognuno, perciò, stimerà suo primario dovere di saper interpretare, come si addice ai cultori di scienze sacre, i vari linguaggi del nostro tempo e giudicarli alla luce della Parola di Dio, affinché la Verità rivelata possa essere sempre più profondamente intesa, meglio capita e presentata nella maniera più adatta (cf. Gaudium et Spes, 44), di modo che sia resa testimonianza alla verità che tutte le altre racchiude: Cristo, il Figlio di Dio, è morto per salvare il mondo e illuminarlo di speranza.

6. Affinché questo compito si avveri in pienezza, è necessario che la dottrina sia accompagnata dalla pratica del bene. San Francesco ammonisce di non farsi uccidere dalla lettera, bramando di sapere soltanto le parole, anche se parole divine, all’unico scopo di essere ritenuti più sapienti degli altri; ma di essere vivificati dallo Spirito, innalzando con la parola e con l’esempio tutto il sapere a Dio altissimo, al quale appartiene ogni bene (cf. Opuscula, Adm. VII, p. 68). Come non ricordare in questo Centro di Studi, che s’intitola a sant’Antonio, le parole con cui Francesco gli concedeva il proprio benestare per l’insegnamento della Teologia? L’unica condizione, che il Poverello poneva, resta come una consegna per chiunque intenda avvicinarsi alle Scienze Sacre con atteggiamento adeguato: “Dummodo – egli scriveva – inter huiusmodi studium sanctae orationis spiritum non extinguas” (cf. Ivi, p. 95).

È indispensabile, inoltre, – come ho detto nell’enciclica Redemptor Hominis – che ognuno sia consapevole di rimanere in stretta unione con quella missione di insegnare la verità, di cui è responsabile la Chiesa (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 19); unione, – ci ricorda san Bonaventura –, indissolubilmente congiunta con l’obbedienza a colui che siede sulla Cattedra di Pietro (cf. S. Bonaventura, Quaest. disput. de perfect. evang, q. 4, a. 3, n. 14; ed Ad Claras Aquas, T. V., p. 191).

La storia ci dice che i più alti ingegni hanno operato per il bene della Chiesa, perché non altro insegnarono se non quel che avevano in essa imparato (cf. S. Agostino, Contra Iulian., II, 10, 34; PL 44, 698). Ciò operarono anche i Maestri di più alto prestigio dell’Ordine Francescano, che insieme ad altri, diedero la loro parte nella costruzione del tempio della sapienza cristiana (cf. Paolo VI, Alma Parens: AAS 58 [1966] 611s), aiutando così gli uomini ad adorare il Padre in spirito e verità (cf. Gv 4,23).

In ogni produzione, infatti, che sia espressione di cultura e di lealtà con la fede, è impressa qualche traccia di un passaggio di Cristo, Redentore dell’uomo in ogni tempo.

7. Carissimi professori e studenti!

Al termine, e a ricordo, di questo familiare incontro formulo l’auspicio che la vostra operosità scientifica, didattica di oggi e di domani si riveli adatta a ravvivare e custodire la speranza; e possiate così meritare la riconoscenza e l’onore che san Francesco ha comandato e praticato verso “i teologi e quelli che hanno il ministero delle santissime parole divine come coloro che ci amministrano spirito e vita” (Opuscula, testam. P, 309s).

Questo auspicio affido alla Madre di Dio, che san Francesco – riferisce san Bonaventura – circondava di ineffabile amore, perché per mezzo di lei il Signore della gloria si è fatto nostro fratello (cf. S. Bonaventura, Legenda S. Francisci, cap. IX, n. 3, T. VIII, p. 530); lo affido a Maria santissima, che la Chiesa saluta e prega come “la nostra speranza”.

E sempre vi accompagni la mia paterna benedizione apostolica che sono lieto di impartire a tutti come pegno gioioso di feconde grazie celesti, che vi sostengano nell’impegno di essere sempre, nel mondo di oggi, autentici testimoni della speranza che non delude.

           



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