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VISITA PASTORALE A BRESCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL'INAUGURAZIONE DELL'ISTITUTO PAOLO VI

Brescia - Domenica, 26 settembre 1982

 

Fratelli e sorelle nel Signore.

1. “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1, 2). Le parole di saluto, che erano care a san Paolo, le ripeto oggi a tutti voi con affetto profondo e gioia sincera. Ringrazio il dottor Giuseppe Camadini, Presidente dell’Istituto Paolo VI, per le parole gentili che mi ha rivolto interpretando i comuni sentimenti. Ringrazio tutti per la presenza e per l’accoglienza tanto commoventi.

2. Questo incontro ha per me un significato particolare. Esso avviene in occasione dell’inaugurazione ufficiale dell’Istituto “Paolo VI”, il Centro internazionale, promosso dall’Opera per l’Educazione Cristiana di Brescia allo scopo di raccogliere la documentazione e di favorire con opportune iniziative lo studio sulla vita e il pensiero del mio amato predecessore Paolo VI. Per questa sagace istituzione rinnovo ai cattolici bresciani e al loro venerato Vescovo il mio compiacimento. A tutti coloro che, in qualsiasi forma e a qualsiasi titolo, offrono all’Istituto il contributo della loro competenza desidero confermare il mio cordiale apprezzamento. Quanto verrà fatto perché il ricordo di Paolo VI resti vivo e la luce della sua testimonianza continui ad illuminare il cammino della Chiesa potrà contare sulla mia adesione.

I primi passi dell’Istituto meritano ogni lode. Le pubblicazioni scientifiche; i Quaderni, i fascicoli del Notiziario: il primo “Colloquio internazionale” dedicato all’enciclica Ecclesiam Suam, tenuto a Roma nel 1980, attestano fin d’ora la serietà degli intenti dell’Istituto e il rigore con cui esso procede. Sono certo che lo sviluppo della ricerca tanto felicemente avviata renderà possibile una conoscenza sempre più completa dell’opera e dei tempi di Paolo VI. Ne avranno beneficio sia gli studi storici sia la vita della Chiesa. Ecco perché, inaugurando ufficialmente l’Istituto, amo pensarlo come un momento geniale, dinamico, eretto alla memoria di Paolo VI; e mi è caro formulare l’auspicio che esso sia sempre strumento di verità e di amore alla Chiesa.

3. Un tale monumento, come ogni altra iniziativa ovunque promossa per onorarne la memoria, rappresenta un tributo del pensiero, ma anche un’esigenza della fede e del cuore.

Paolo VI fu un dono del Signore alla sua Chiesa. Come dissi nel primo anniversario della sua morte, egli aveva ricevuto dallo Spirito Santo, insieme con Giovanni XXIII, da lui e da me tanto venerato, “il carisma della trasformazione, grazie al quale la figura della Chiesa, nota a tutti, si è manifestata uguale e insieme diversa” (Giovanni Paolo II, Allocutio in Audientia Generali, die 1 aug. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II,2 [1979] 98). La Chiesa, fedele al Signore, rimane sempre identica a se stessa; ma la Chiesa, continuamente sospinta dall’amore per il Signore, non cessa mai di approfondire la coscienza di se stessa. Quanto più conosce il disegno divino e ad esso si uniforma, altrettanto si rinnova e può compiere in modo efficace la missione nel mondo che Cristo le ha affidato.

Fu, questo, il provvidenziale programma del Concilio Vaticano II, che Paolo VI guidò al proprio compimento e del quale fu il primo annunciatore ed esecutore. Non valuteremo mai a sufficienza i problemi e le difficoltà che dovette affrontare perché l’identità della Chiesa non venisse intaccata da una male intesa “trasformazione”. Non ringrazieremo mai abbastanza Cristo Signore per aver scelto Paolo VI alla guida della mistica barca di Pietro in anni in cui le onde la scuotevano da ogni parte.

Oggi comprendiamo meglio quanto ferma fosse la sua fede; quanto grande il suo amore per la Chiesa; quanto profonda la sua spiritualità; quanto lungimiranti le sue decisioni; quanto illuminante la sua saggezza. La sua vita assurge per noi a prova che non c’è “trasformazione” nella Chiesa se non passa attraverso la nostra personale santificazione. Ci ha insegnato con la vita e con la morte come si deve amare Cristo; come si deve servire la Chiesa; come ci si deve donare alla causa della salvezza dell’umanità.

Paolo VI è stato un dono del Signore anche all’umanità. Capì l’uomo del nostro tempo, e lo amò di un amore soprannaturale, guardandolo cioè con gli occhi misericordiosi di Cristo. Aprendo la quarta sessione, dopo aver definito il Concilio “un atto solenne d’amore per l’umanità”, proseguiva: “Ancora, e soprattutto, amore; amore agli uomini d’oggi, quali sono, dove sono, a tutti” (14 settembre 1965). La sua intelligenza e cultura gli diedero un senso acuto della grandezza e della miseria dell’uomo in una situazione contraddittoria come quella della nostra generazione; ma la sua fede e carità gli ispirarono quella “civiltà dell’amore” senza la quale, oggi come non mai, l’umanità difficilmente potrà trovare la soluzione ai problemi che la turbano profondamente. Capì l’uomo, perché lo guardò con gli occhi di Cristo. Aiutò l’uomo, perché l’amò con l’amore di Cristo. Servì l’uomo, perché gli indicò la verità di Cristo in tutta la sua pienezza.

4. Questo nostro incontro ha per me uno speciale significato anche perché, con gli autorevoli membri dei diversi organismi dell’Istituto “Paolo VI”, sono presenti i rappresentanti del laicato cattolico della Chiesa bresciana. Una tale presenza è singolarmente significativa, e costituisce, anch’essa, un omaggio devoto alla memoria di Paolo VI.

Se nella gente bresciana la fede è ancora radicata profondamente, se essa pur nel corso delle difficoltà provocate dai mutamenti spesso traumatici della mentalità e del costume, è ancor viva e operante, lo si deve certamente ad un clero fedele e generoso, ma anche all’azione di un laicato che visse la fede cristiana con profonda convinzione, con adesione senza riserve, con intrepida presenza e operosità. Paolo VI ebbe nella sua stessa famiglia l’esempio di un tale laicato: nella sua amatissima mamma Giuditta Alghisi, e soprattutto nel suo venerato padre, Giorgio Montini, che per lunghi e difficili anni fu guida riconosciuta dei cattolici bresciani.

E proprio in famiglia cominciò presto a conoscere e stimare i protagonisti del glorioso movimento cattolico bresciano: il servo di Dio Giuseppe Tovini; Luigi Bazoli; Giovanni Longinotti; Emilio Bonomelli; Carlo Bresciani; e tanti altri meno noti ma egualmente importanti, uomini di fede intrepida, coraggiosi, infaticabili. Seguì fin dagli anni dell’adolescenza con ammirazione ed affetto le loro iniziative: i giornali; le scuole cattoliche; le case editrici; la scuola di vita familiare; le opere pie; le associazioni giovanili ed operaie; la partecipazione all’amministrazione pubblica; lo stesso impegno politico, inteso innanzitutto come testimonianza al valore del cristianesimo anche nell’organizzazione della società.

Paolo VI portò nel cuore per tutta la vita il ricordo di quegli uomini e delle loro notevolissime imprese. Fu sempre riconoscente per quanto avevano dato per difendere la fede della gente bresciana e per assicurare la presenza cattolica nella società. Ebbe anzi la convinzione che l’esperienza bresciana avesse un valore non ristretto alla cerchia di una città e di una provincia. C’erano alcune caratteristiche di quella esperienza che, secondo lui, avevano anticipato di molti decenni l’insegnamento del Concilio sui laici e che meriterebbero d’essere ritenute proprie di qualsiasi azione che voglia qualificarsi oggi come cattolica.

5. Il tempo non mi consente di soffermarmi sulle caratteristiche di quei cattolici, che realizzarono impegnative iniziative. Mi limiterò a dire che furono uomini di preghiera. Come non ricordare la pratica del Rosario quotidiano in famiglia o il fatto che Giuseppe Tovini promosse una compagnia per l’adorazione notturna della santissima Eucaristia da parte dei laici?

La preghiera e la fede alimentarono in essi la certezza che il cristianesimo è il bene più prezioso non soltanto nella vita delle singole persone, ma anche in quella dell’intera società. È questo il cardine che resse tutta la loro azione, il cui scopo ultimo fu sempre di natura religiosa, anche quando cercarono i mezzi per operare efficacemente in un contesto spesso ostile alla presenza cattolica.

Essi compresero l’importanza che la scuola e il problema educativo avrebbero avuto nello sviluppo della società moderna e diedero vita alle iniziative a voi ben note, che son cresciute in proporzioni ai loro inizi nemmeno immaginabili e che continuano un servizio alla Chiesa ed alla scuola italiana, per il quale esprimo sincero plauso con l’incoraggiamento a rimanere fedeli all’ispirazione cristiana originaria. Essi erano fra loro uniti da sincera amicizia: nell’amicizia preparavano l’azione e con l’amicizia operavano.

Carissimi fratelli e sorelle, siate consapevoli del tesoro inestimabile che avete ereditato da una storia particolarmente ricca di impegno cattolico, che ha in Paolo VI un suo incomparabile figlio. Siate memori della vostra esperienza passata anche se dovete operare in un oggi tanto diverso. Non dubitate mai di mettere Cristo al centro della vostra vita e a fondamento della vostra azione. Erigerete così un monumento vivo alla memoria di Paolo VI che tanto, e giustamente, vi stimò e vi amò.

Sappiate che il Papa vi conosce e vi ama, e che tanto attende da voi a vantaggio comune dell’opera dei laici cattolici bresciani. Con la mia apostolica benedizione. 

         

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