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VISITA PASTORALE A BRESCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI, AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE

Duomo nuovo di Brescia, 26 settembre 1982

 

1. L’incontro con voi, carissimi sacerdoti, religiosi e religiose della Chiesa bresciana, rinnova nella mia anima il sentimento di gioia che sempre provo quando, nella Sede di Pietro o nei viaggi pastorali, parlo con i sacerdoti e con le anime consacrate e prego con loro.

Ringrazio il Signore che ha guidato i miei passi fino a voi. Ringrazio voi tutti e il venerato vostro Vescovo per l’accoglienza tanto affettuosa, ma anche per quanto avete fatto perché la mia visita alla Chiesa e alla gente di Paolo VI fosse un’occasione di grazia per tutti. Sappiate che mi siete carissimi, che vi seguo nel vostro generoso lavoro pastorale, che ho atteso pregando questo momento, per voi e per me tanto importante.

Rivolgiamo innanzitutto il pensiero adorante e la lode a Gesù Cristo nostro Signore. Siamo riuniti nel suo nome. Siamo convocati dal suo amore. Siamo stati da lui chiamati, uno per uno, personalmente, a seguirlo. Sia il nostro incontro un inno a lui della nostra fede, della nostra speranza e carità. Valga per la presente riunione quello che Paolo VI, aprendo il 29 settembre 1963 la seconda sessione dal Concilio, invocava su quella straordinaria assise cattolica: “Nessun’altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; nessun’altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro; nessun’altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’essere a lui assolutamente fedeli; nessun’altra fiducia ci sostenga, se non quella che dà forza, mediante la parola di lui, alla nostra desolata debolezza”.

2. Un sentimento particolare, una commozione intima provo sostando nella Chiesa Cattedrale, nella quale il 29 maggio 1920 il “mio vero padre”, come ho amato chiamarlo nella mia prima lettera enciclica, ricevette l’imposizione delle mani dal veneratissimo suo Vescovo, Monsignor Giacinto Gaggia, e divenne sacerdote per l’eternità. Questo è uno dei luoghi che nel mio pellegrinaggio alla Chiesa e alla terra di Paolo VI maggiormente desideravo raggiungere e visitare.

Qui, in questo luogo sacro, il giovane Giovanni Battista Montini si donò completamente a Dio. Qui suggellò le sue mistiche nozze con Cristo, al quale sarebbe rimasto fedele fino alla morte. Qui si abbandonò all’azione dello Spirito Santo per riceverne la grazia che trasforma e i doni che avrebbero brillato di mirabile fulgore nella sua vita. Qui, sotto lo sguardo di Maria tutta santa, alla quale questa Cattedrale è dedicata, le dichiarò la sua filiale devozione e il suo tenerissimo amore.

Caro, grande, venerato Paolo VI! Che la tua memoria sia benedetta. Che il ricordo della tua vita e della tua santa morte sia custodito come un bene prezioso. Che la tua testimonianza non vada perduta.

Sono giunto in questo luogo di grazia come un pellegrino. Qui mi fermo pensoso e in preghiera, adorando la volontà di Dio che ha scelto Paolo VI per guidare la Chiesa di Cristo, e ha scelto me ad esserne il successore e a continuare quel “servizio di Pietro” che è servizio all’amore misericordioso e salvifico di Cristo per tutta l’umanità. Nella comunione dei santi, unisco in questo luogo la mia adorazione a quella di Paolo VI, rinnovando, nel ricordo di lui, la mia totale obbedienza a Cristo. Cristo solo! Cristo sempre!

3. In questa Chiesa Cattedrale anche la quasi totalità di voi, carissimi sacerdoti bresciani, ricevette l’Ordine sacro. Anche voi dunque, insieme con me, siete indotti a pensare in questo momento al mistero di grazia che si realizzò in ciascuno di voi con l’imposizione delle mani del Vescovo, e al disegno provvidenziale al quale, con la vostra totale donazione al Signore, foste in un giorno più o meno lontano per sempre associati. Anche per voi il ricordo dell’ordinazione di Giovanni Battista Montini è motivo per adorare la Volontà divina che ha chiamato voi, come lui, al sacerdozio per il servizio alla Chiesa e all’umanità. Anche in voi i mirabili fatti di grazia che in questo tempio si sono realizzati e ogni giorno si realizzano, lasciano il cuore colmo di meraviglia e bisognoso di pregare.

Non dimentichiamolo mai il giorno benedetto della nostra ordinazione! Il ricordo di esso è una fonte inesauribile di energia spirituale. In quel giorno fummo chiamati, e in quel giorno la nostra risposta fu pronta e gioiosa. Allora pronunciammo un irrevocabile “sì”. E quel “sì” a Dio e alla Chiesa lo dobbiamo ripetere ogni giorno della nostra vita, quasi a rinnovare quella mistica esperienza di donazione totale. La vita di Paolo VI, un sacerdote uscito dal vostro presbiterio, vanto e corona di esso, si può ben dire che fu tutto un “sì”, sull’esempio del Figlio di Dio che, scrive san Paolo, “non fu sì e no, ma in lui c’è stato soltanto il sì” (2 Cor 1, 19). In quel “sì” a Dio, sull’esempio di Cristo, nel ricordo di Paolo VI, dobbiamo ogni giorno rinnovare la grazia dell’ordinazione e la generosità dalla nostra prima donazione.

4. Non posso non pensare, in questo momento, anche alla schiera interminabile di sacerdoti bresciani che hanno preceduto voi e la vostra generazione e che ora godono in paradiso il premio preparato per i servi buoni e fedeli. Siete gli eredi e i continuatori di una meravigliosa tradizione di presbiteri, che nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa, seppero dare vita ad una tipica figura di sacerdote, operoso, geniale, pronto al sacrificio, obbediente al Vescovo, sempre vicino alla propria gente per condividerne la vita, i dolori, le gioie, le vicende liete e tristi, sempre preoccupato che la religione fosse fermento anche di vita civile e sociale.

Non abbandonate questa tradizione. Essa continua a dare frutti copiosi. Il vostro Seminario non ha conosciuto la crisi devastante che purtroppo si è verificata altrove. Il numero annuale di ordinati è ancora buono. Ne sono profondamente lieto, e vi ringrazio per tutto quello che fate con una pastorale delle vocazioni ben impostata e opportunamente rinnovata. Ma non dimenticate che tutto questo è dovuto, in misura decisiva, ad una tradizione che è un “tesoro prezioso”, come disse a voi lo stesso Paolo VI, che “ci porta quanto di buono l’esperienza, l’esempio, la saggezza, il carattere peculiare d’una gente, di un costume lasciano in eredità da generazione in generazione (Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 603).

Paolo VI ricordò sempre i sacerdoti che lo avevano educato, e quelli che aveva conosciuto ed ammirato nell’esercizio di un apostolato che ha profondamente radicato la fede nella vostra gente. Come tacere quelli da lui stesso evocati? Monsignor Mosè Tovini, Monsignor Defendente Salvetti, Monsignor Giorgio Bazzani, Don Peppino Tedeschi, Padre Paolo Caresana, Padre Ottorino Mascolini, Monsignor Pietro Raggi, Monsignor Giovanni Marcoli, Monsignor Angelo Zammarchi, Don Battista Zuaboni, e primo fra tutti l’amico e maestro Padre Giulio Bevilacqua, futuro Cardinale? Sono nomi a voi notissimi. Sono sacerdoti che illuminano come una costellazione la vostra più vicina tradizione, della quale voi ancora sentite la benefica influenza. A loro certo pensava Paolo VI quando, nel Messaggio ai sacerdoti alla fine dell’Anno della fede, scriveva: “Il prete è di per sé il segno dell’amore di Cristo verso l’umanità, ed il testimonio della misura totale con cui la Chiesa cerca di realizzare quell’amore, che arriva fino alla croce” (Ivi. VI [1968] 315).

5. Carissimi sacerdoti, ed anche voi carissimi religiosi e religiose, quante volte abbiamo meditato sulla nostra vocazione o chiamata, ed ogni volta abbiamo avuto motivo per ringraziare il Signore e adorare la sua immensa bontà. Lasciate che oggi richiami con voi due aspetti della nostra vocazione.

Siamo chiamati innanzi tutto alla santità. Il Concilio ha insegnato che tutti gli uomini sono chiamati alla santità, e che l’universale vocazione ad essa è costitutiva della Chiesa. Dottrina mirabile, che dischiude gli orizzonti di un cristianesimo che per tutti è vocazione alla pienezza della vita conosciuta in Cristo. La vocazione sacerdotale e quella religiosa sono dunque essenzialmente una chiamata alla santità nella forma che scaturisce dal sacramento dell’Ordine o dal carisma connesso con la professione dei consigli evangelici.

La santità è intimità con Dio; imitazione di Cristo povero, casto e umile; amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; amore alla Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tali sono la natura e la missione che Cristo le ha affidato. La santità di un sacerdote, di un religioso, di una religiosa si nutre di preghiera, di vita semplice, di povertà, di castità preservata con ogni delicatezza, soprattutto di lode nella recita della Liturgia delle Ore e di Eucaristia.

Ciascuno di voi, però, deve essere santo anche per aiutare i propri fratelli a seguire la loro vocazione alla santità. Anche in questo senso il nostro è un ministero sacro, ossia un dono che Dio ci ha fatto perché noi ci mettessimo al servizio degli altri. Pur essendo vero che tutte le forme di santità si richiamano l’una con l’altra e si aiutano vicendevolmente, non dobbiamo mai dimenticare che tocca ai sacerdoti offrire “a tutti la viva testimonianza di Dio” (Lumen Gentium, 41).

6. L’altro aspetto della vocazione che desidero sottolineare è la nostra chiamata a portare nel mondo, a tutti gli uomini, in tutti gli ambienti, la consolazione dell’amore e della misericordia di Dio. Oggi questa consolazione è come non mai necessaria. L’uomo ha smarrito il senso ultimo e unificante della vita: per questo è insicuro ed ha quasi paura di se stesso.

Anche in un ambiente come il vostro, in cui il lavoro ha prodotto un benessere quale nemmeno si poteva immaginare fino ad una generazione fa, sono purtroppo affiorati non meno che altrove i segni dello smarrimento e della insoddisfazione: la droga, la dissipazione, la solitudine, la violenza. Dobbiamo capire l’uomo d’oggi. Dobbiamo amarlo e comunicargli, innanzitutto con la testimonianza, la certezza che Dio lo ama. Dobbiamo essere convinti che la nostra vocazione ci porta ad un servizio insostituibile all’uomo, che non può vivere senza conoscere le ragioni della vita.

Non è facile quando l’ambiente sembra divenuto indifferente, polemico, forse ostile. Ma non abbiate paura. Cristo è con voi, e di questa sua presenza voi potete fare un’esperienza ogni giorno rinnovata vivendo intensamente i vincoli della comunione ecclesiale. Avete celebrato recentemente il Sinodo, e nei suoi risultati e nelle sue indicazioni potete trovare sapienti direttive per approfondire la comunione fra voi e per migliorare la vostra collaborazione pastorale.

Vivete in modo magnanimo la vostra vocazione, con quel cuore che ha portato la Chiesa bresciana a soccorrere, con generosità e con l’invio di molti di voi, le Chiese che soffrono di mancanza di persone totalmente consacrate alla causa del Regno.

Con questi voti, che mi salgono alle labbra dal profondo del cuore, io levo su di voi la mia mano benedicente, invocando per ciascuno e per tutti copiosi doni di grazia, che colmino il vostro animo di spirituali consolazioni ed arricchiscano il vostro ministero di frutti sempre nuovi.

 

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