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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI MEMBRI
DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

Lunedì, 5 dicembre 1983

 

Fratelli carissimi.

1. È con grande gioia che vi ricevo. Ogni incontro infatti tra il Pastore Supremo e i membri della Commissione teologica internazionale è causa di rinnovato ardore dell’animo e della mente, ma anche di progresso nella fede e nella carità cristiana.

La comunicazione tra il Magistero e i teologi - tra i quali mi è particolarmente gradito ricevere voi, membri della Commissione internazionale - è sempre occasione per me e per voi di rispondere meglio alle nostre vocazioni e ai nostri carismi a gloria di Dio e per il bene del popolo cristiano e di tutti gli uomini di buona volontà.

2. Mentre oggi vi ricevo, non posso non ricordare due amici, che abbiamo perso dopo il vostro congresso del 1981: il Cardinale Seper e il reverendo don Rózycki.

Il Cardinal Seper si deve quasi ritenere il fondatore della Commissione con il benevolo aiuto del mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria. Seguendo le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, voleva raggiungere la collaborazione tra la Sede Apostolica, il Sinodo dei Vescovi appena istituito e, dall’altra parte, una schiera scelta di teologi.

Vorrei anche rinnovare il ricordo del mio amico e maestro Ignazio Rózycki, che in tempi assai difficili lottò per la difesa della Facoltà di teologia dell’Università Jagellonica di Cracovia. Professava una fede sincera senza alcuna esitazione, e spesso la sua ricerca verteva su problemi teologici assai difficili, con uno zelo quasi giovanile. Lo zelo e la fede del Cardinal Seper e del dottor Rózycki siano per voi di esempio e di incitamento.

3. In questi anni la Commissione teologica ha lavorato con impegno. Voi infatti avete pubblicato la seconda serie delle questioni scelte di cristologia e di antropologia, sotto la guida del professore, ora mio Fratello nell’Episcopato, Carlo Lehmann. L’anno scorso avete preparato un’opportuna relazione teologica e pastorale sulla penitenza e la riconciliazione per i Padri del Sinodo.

Queste due ultime relazioni non possono far dimenticare quelle degli anni passati. La Commissione teologica internazionale ha pubblicato molti scritti durante il pontificato e con l’incoraggiamento di Paolo VI. Giustamente avete voluto riunire in un solo libro le opere e le allocuzioni pontificie dei primi dieci anni per un più agile uso da parte dei lettori. Così viene offerta al lettore la Somma delle questioni teologiche, che in particolare sono state sollevate in questo primo tempo dopo il Concilio. In questi giorni diventa stretta e sempre più necessaria la collaborazione tra il Magistero e i teologi.

Infatti, solidamente appoggiati sulla fede cristiana e apostolica, i professori di teologia devono investigare in nuove questioni, considerare i bisogni attuali dei popoli tenendo presente il bene sia dell’animo sia del corpo, devono operare nuove sintesi sul mistero di Cristo e sulla natura e i costumi degli uomini.

4. Ma è necessario che ora piuttosto parliamo dell’argomento di questa vostra sessione plenaria, e cioè dei diritti e della dignità della persona umana.

Come vi siete accorti, oggi è assolutamente necessario fare una puntualizzazione teologica più profonda e più vasta sulla dignità della persona umana.

A quest’opera vi spingono diversi bisogni e attese, o, come oggi si dice, diversi segni dei tempi.

5. Il primo segno è una fortissima necessità di uno studio più attento della stessa dottrina del Concilio Vaticano II su questo argomento, in particolare partendo dalla costituzione pastorale Gaudium et Spes. La storia della Chiesa ci insegna che l’azione dottrinale, pastorale e rinnovatrice dei singoli Concili spesso indugia venti o trent’anni. La novità impedisce ad alcuni di essere fedeli ascoltatori con l’animo.

Dall’altra parte alcuni riformatori troppo audaci ingannano: propugnano infatti i loro propri pareri dottrinali e pastorali più che la dottrina autentica e promulgata dal Pastore Supremo e dai Vescovi in comunione con lui. Solo in un periodo successivo le dottrine conciliari, così come sono, diventano argomento di studio sistematico e vertono sull’incitamento della teologia pastorale, della vita della Chiesa, della vera riforma.

Sono ormai vent’anni da che il Concilio Vaticano II ha proposto un’esimia sintesi sulla dignità della persona umana legata da un’alleanza al Cristo Creatore e Redentore. Ma possiamo proprio dolerci del fatto che questa dottrina non sia stata bene inserita ancora nella teologia, né sia stata bene applicata. Dovrebbe essere compito dei teologi del nostro tempo seguire questa via e avanzare in essa, mentre giustamente ritengono che siano in rapporto reciproco la grazia di Dio, i doveri e i diritti della persona umana.

6. Di qui appare il secondo segno dei tempi: la necessità dell’integrazione teologica in base alla ragione personalistica dell’uomo, cioè la vera tutela dei diritti fondamentali che emanano da questa dignità. Il Magistero del Pontefice tiene in grande considerazione questi diritti umani nel suo Magistero svolto tanto a Roma quanto nei viaggi pastorali. Il proposito di questo apostolato, al quale i professori di teologia devono portare il loro contributo, è duplice.

Innanzitutto è richiesta la vera conversione evangelica nel valutare sempre più a fondo le necessità della giustizia e in una più profonda percezione del peccato personale o della sua conseguenza nell’ambito sociale. Certamente, in questi ultimi anni il senso morale si è fatto più vivo per quanto riguarda i doveri della giustizia individuale, sociale, internazionale. Ma non di rado questi postulati vengono considerati come se si trattasse di altri uomini e non di se stessi. L’uomo dell’epoca moderna sembra aver perso il senso del peccato e cerca la causa dei mali unicamente nelle strutture fuori di lui.

I teologi invece devono portare il loro contributo con gli studi esegetici, dogmatici, morali alla predicazione apostolica. È necessario anche che recuperino, con Cristo e Pietro, il genuino senso della giustizia e del peccato. Dall’altra parte è compito della Chiesa cattolica fare pressione senza tregua sulle autorità civili per mezzo di “Giustizia e pace” perché vengano rispettati la giustizia e i diritti umani. Queste autorità hanno una legittima preoccupazione del bene comune e personale. Per questo motivo la gerarchia, i sacerdoti, i fedeli possono e devono offrire loro il “supplemento dell’anima”.

7. Il terzo segno dei tempi è l’impegno instancabile posto in esso perché i diritti umani vengano rispettati e sempre più vengano assecondati secondo l’aspettativa dei popoli. Per quanto riguarda ciò, la costituzione pastorale Gaudium et Spes bene afferma: “Da una interdipendenza ogni giorno più stretta e diffusa a poco a poco in tutto il mondo segue che il bene comune oggi diventi sempre più universale e da qui implichi diritti e doveri che riguardano tutto il genere umano” (Gaudium et Spes, 26).

Questa percezione dei diritti e dei doveri si è andata sempre più maturando in questi ultimi anni. Infatti lo studio delle scienze umane ha suscitato la coscienza dell’esperienza specifica e ha mostrato la necessità di riconoscere e di compiere la promozione di tutti gli uomini. A questa intenzione, a questo desiderio universale deve rispondere lo zelo dei figli di Dio circa lo studio intellettuale, morale, sociale della dignità dei diritti e dei doveri della persona umana.

8. A conferma dunque degli inalienabili diritti umani ha grande valore la riflessione teologica sulla dignità della persona umana nella storia della salvezza. L’autentica antropologia cristiana in questi ultimi anni è stata non poco trascurata. Molti infatti hanno cercato altrove la soluzione del mistero dell’uomo. Ma è la Rivelazione cristiana che può portare i fondamenti necessari della dignità della persona umana alla luce della storia della creazione e nei due passi contrapposti della storia della salvezza, e cioè la caduta e la redenzione.

Certamente le azioni divine così narrate hanno quasi un sapore tragico. Ma queste sono verità eterne che spesso e soprattutto oggi sono in certo modo dimenticate. La volontà umanistica di glorificare l’uomo, che in sé è giusta, talvolta ha voluto dimenticare sia l’origine divina dell’uomo, sia la sua specie divina. Non si può poi negare che dopo il Concilio si sono rivelate tentazioni di oscurare il cosiddetto verticalismo e di propagare il falso orizzontalismo. Secondo questo modo di porre i problemi, l’uomo è stato abbandonato alle sue sole forze, senza Padre, senza Provvidenza, mentre si veniva a proclamare la morte di Dio e “la morte del Padre”.

9. Ma l’uomo è stato redento dalla grazia di Dio, il Figlio di Dio incarnato. La grazia di Cristo! Proprio questa parola si ricorda convenientemente anche quando si tratta di diritti e di doveri degli uomini. Se i misteri della creazione e del peccato hanno una parte nella guida della comunità umana e nell’economia dei diritti e dei doveri, tanto più questo vale per la grazia pasquale di Cristo.

Anche in questo il Concilio Vaticano II deve essere seguito attentamente. Siate memori di queste parole che si riferiscono a Cristo Uomo Nuovo (cf. Gaudium et Spes, 22):

“Il mistero dell’uomo si illumina veramente solo nel mistero del Verbo” (Ivi, 22, § 1); “Il Figlio di Dio con la sua incarnazione si è unito in un certo modo con ogni uomo” (Ivi, 22, § 2); “L’uomo cristiano è poi divenuto conforme all’immagine del Figlio, che è il primogenito tra molti fratelli, ricevette le primizie dello Spirito, mediante le quali diviene capace di compiere la nuova legge dell’amore” (Ivi, 22, § 4); “Questo non vale solo per i fedeli di Cristo, ma anche per gli uomini di buona volontà, nel cuore dei quali la grazia opera in modo invisibile” (Ivi, 22, § 5).

Sembrerà forse strana a qualcuno questa unione tra i diritti dell’uomo e la carità della nuova legge. Che dolore! A causa di molti errori, negligenze e erronee opinioni sociologiche, che pure si fregiano del nome cristiano, la parola carità può essere destituita del suo significato umano. Infatti è stata contrapposta la carità cristiana alla giustizia sociale, che è alla base dei diritti della persona umana. E in realtà se carità significa solo un movimento del cuore o un aiuto offerto per pura benevolenza, non può essere in armonia con i diritti umani. Ma questa interpretazione è una deformazione dell’amore di Cristo Redentore. Cristo non ha facili parole di consolazione, ma porta la sua vita e chiede ai suoi discepoli di essere pronti al pieno dono di se stessi. In questo si trova il vero senso di quel “per l’esistenza” cristiana, che spesso la vostra Commissione ha proposto come sintesi di Redenzione e di vita cristiana.

Se il senso genuino della carità lo riscopriamo come senso dell’esistente, i diritti umani possono e devono essere inclusi in essa come nello stesso sacrificio pasquale di Cristo. I diritti degli uomini nei confronti della vita della famiglia, il diritto alla vita e alla proprietà erano stati già insegnati nell’Antico Testamento come le leggi del decalogo: “Non commettere adulterio, non uccidere”, ecc. L’apostolo Paolo queste cose e tutte le cose simili a queste le comprende nella carità cristiana: “L’amore del prossimo non opera il male, la pienezza dunque della legge è l’amore” (Rm 13, 10).

Concludendo questa breve considerazione che ho fatto con voi, vi faccio l’esortazione che la Commissione teologica internazionale sempre più investighi e propaghi le ragioni umano-centriche e cristocentriche dei diritti dell’uomo. Infatti in ogni età arde il conflitto tra il peccato di egoismo degli uomini e l’amore autentico, tanto nella dottrina quanto nella vita. Siate dunque testimoni dell’Amore nel senso di Cristo vivente.

E conciliatrice dei lumi e delle forze divine sia per voi la benedizione apostolica, che impartisco a voi uno per uno; mentre vi saluto, vi prometto preghiere perché le vostre riflessioni portino i frutti più fertili possibili.

 

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