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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CLERO DI TORONTO

  Cattedrale di San Michele (Toronto)
Vener
, 14 settembre 1984

 

Cari fratelli sacerdoti.

1. Sono lieto che il primo grande incontro della mia visita pastorale alla Chiesa di Toronto mi trovi qui con voi. Vorrei comunicarvi la gioia che provo e quanto io apprezzo tutto quello che voi fate per il santo popolo di Dio. È molto bello che il nostro incontro abbia luogo nella festa del trionfo della croce. Il significato di questa celebrazione viene sottolineato nella liturgia di oggi. Vi troviamo una ricca fonte di ispirazione per riflettere sul significato che la croce ha per il sacerdozio di Gesù e, di conseguenza, sul significato che ha per la nostra vita sacerdotale.

2. La croce rappresenta il culmine del servizio sacerdotale di Gesù. Su di essa egli offre se stesso come il perfetto sacrificio di riparazione al Padre per i peccati dell’umanità; qui egli stabilisce un patto nuovo e duraturo tra Dio e l’uomo. Questo meraviglioso patto è rinnovato in ogni Eucaristia che noi celebriamo; e in ogni Eucaristia, la Chiesa riafferma la sua identità e la sua chiamata come corpo di Cristo.

Guardando il passo del Vangelo di san Giovanni che abbiamo appena ascoltato, troviamo Gesù che discute con Nicodemo, capo dei Giudei, che “viene nella notte”, nelle tenebre, per essere illuminato da colui che è “la luce del mondo”. Con le sue domande Nicodemo indica che è alla ricerca della verità su Dio e che desidera conoscere la giusta direzione che la sua vita dovrebbe prendere. Gesù non lo delude. La sua risposta è chiara e diretta. Rispondendo a Nicodemo, Gesù va al vero centro del messaggio evangelico: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

Il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce è un segno dell’amore del Padre. Gesù lo conferma quando dice: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” (Gv 10, 17). Nello stesso tempo la croce mostra l’obbedienza filiale di Gesù per la volontà del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34). La croce è veramente un segno dell’amore divino, ma è un amore divino che il Figlio condivide con l’umanità.

Questo amore simboleggiato dalla croce è profondamente pastorale, perché attraverso di esso chiunque crede in Cristo ottiene la vita eterna. Sulla croce il Buon Pastore “offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11). Il morire di Gesù sulla croce è il ministero supremo, il supremo atto di servizio alla comunità dei credenti. Il sacrificio di Gesù esprime in modo più eloquente delle parole umane la natura pastorale dell’amore che Cristo ha per il suo popolo.

La croce rappresenta la volontà del Padre di riconciliare il mondo attraverso suo Figlio. San Paolo riassume per noi la missione di riconciliazione di Cristo quando scrive: “Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 19-20).

La croce non abbraccia solo la comunità ecclesiale che si riunisce nella fede, ma la sua sfera di influenza si estende su tutte “le cose che stanno sulla terra e nei cieli”. Il potere della croce è la forza riconciliatrice che dirige il destino dell’intera creazione. Nostro Signore rivela il centro di questa forza riconciliatrice quando dice: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). La realtà della croce riguarda profondamente la nostra società contemporanea con tutti i suoi progressi tecnologici e scientifici. È attraverso il sacerdozio di Cristo che questa società raggiungerà il suo destino finale in Dio.

3. Come il senso del sacerdozio di Cristo si scopre nel mistero della croce così anche il senso e lo scopo della vita sacerdotale derivano da questo stesso mistero. Poiché partecipiamo al sacerdozio di Gesù crocifisso, dobbiamo renderci conto ogni giorno di più che il nostro servizio è segnato dalla croce.

La croce ricorda a noi sacerdoti il grande amore di Dio per l’umanità e l’amore personale di Dio per noi. La grandezza di questo amore viene comunicata, prima di tutto, con il dono della vita nuova che ogni cristiano riceve attraverso l’acqua salvifica del Battesimo. Questa splendida espressione dell’amore divino riempie continuamente il credente di gratitudine e gioia.

E quanto meraviglioso è quel dono che Gesù offre ad alcuni uomini - per il beneficio di tutti - di partecipare al suo sacerdozio ministeriale. Chi fra noi sacerdoti non trova in questa chiamata un’espressione dell’amore profondo e personale che Dio ha per ognuno di noi e per la Chiesa intera che siamo chiamati a costruire attraverso il ministero specifico della parola e dei sacramenti?

Sapendo che siamo chiamati ad unire le nostre vite con la missione redentrice di Gesù, ognuno di noi percepisce la propria indegnità nell’essere ordinato “uomo di Dio” per gli altri. Questa comprensione ci porti a cercare una maggiore dipendenza da Dio nella preghiera. In unione con Cristo nella preghiera, troviamo la forza di accettare la volontà del Padre, di rispondere gioiosamente all’amore di Cristo e di crescere in santità. In questo processo, il segno della croce ricopre la nostra intera esistenza come sacerdoti, richiedendo sempre più urgentemente di imitare Cristo stesso con una generosità sempre più grande. Attraverso questa lotta, le parole di san Paolo riecheggiano costantemente nei nostri cuori: “Per me infatti il vivere è Cristo” (Fil 1, 21).

4. Come sacerdoti vediamo nella croce anche un simbolo del nostro servizio pastorale agli altri. Come il sommo sacerdote nel nome del quale operiamo, siamo chiamati “non per essere serviti, ma per servire” (Mt 20, 28). Siamo incaricati di avere cura del gregge di Cristo, di condurlo “per il giusto cammino per amore del suo nome” (Sal 23, 3).

Il nostro servizio principale come sacerdoti è di proclamare la buona novella della salvezza in Gesù Cristo. Comunichiamo questo messaggio, tuttavia, non “con discorsi sapienti con cui la crocifissione di Cristo non si può esprimere”, ma con “il linguaggio della croce” che è “per quelli che si salvano, potenza di Dio” (1 Cor 1, 17-18). Una predicazione efficace richiede che siamo impregnati del mistero della croce attraverso lo studio e la riflessione quotidiana sulla parola di Dio.

Il nostro servizio sacerdotale trova la sua più sublime espressione nell’offerta del Sacrificio eucaristico. E davvero, il Sacrificio eucaristico è la proclamazione sacramentale del mistero della salvezza. In questa azione sacra noi rendiamo presente, per la gloria della Santissima Trinità e per la santificazione del popolo, il sacrificio di Cristo sulla croce. L’Eucaristia porta il potere della morte di Cristo sulla croce nella vita dei fedeli: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11, 26).

L’Eucaristia è la vera ragione del sacerdozio. Il sacerdote esiste per celebrare l’Eucaristia. Nell’Eucaristia troviamo il significato di qualsiasi altra cosa facciamo. Dobbiamo, infatti, essere attenti a questo grande dono affidato a noi per il bene dei nostri fratelli e sorelle. Quando celebriamo l’Eucaristia, dobbiamo riflettere profondamente su quello che facciamo e come questa azione coinvolga tutta la nostra vita.

Nel 1980, il giorno del Giovedì Santo, ho fatto partecipi i vescovi della Chiesa di questo pensiero, in una lettera a loro indirizzata: “Il sacerdote compie la sua missione principale e si manifesta in tutta la sua pienezza quando celebra l’Eucaristia, e questa manifestazione è più completa quando egli stesso permette alla profondità di questo mistero di diventare visibile, così che solo questo possa risplendere davanti ai cuori e alla mente del popolo attraverso il suo ministero” (Ioannis Pauli PP. II, Dominicae Cenae, 2, die 24 febr. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 538).

Attraverso il suo amore per l’Eucaristia il sacerdote ispira i laici a esercitare il loro specifico e importante ruolo nel servizio liturgico. E rende possibile questo anche esercitando il carisma della sua ordinazione. Nella sua lettera pastorale sul sacerdozio, il cardinale Carter (Lettera pastorale, V, 7) descrive questo aspetto del ruolo del sacerdote: “La sua funzione è di richiamare il popolo di Dio alla propria responsabilità . . . offrire questo sacrificio di lode che dovrebbe trasformare le loro vite e, attraverso di loro, il mondo. E questo il sacerdote deve farlo "in persona Christi"” (Card. Carter, Epist. Past., V, 7).

 In una parola, il sacerdote innalza Cristo in mezzo all’assemblea così che, sotto il segno della croce, l’assemblea possa essere costruita in unità e amore e renda testimonianza al mondo dell’amore redentore di Cristo.

5. Sotto il segno della croce, sappiamo che ci vengono richiesti alcuni sacrifici. Questo non ci deve sorprendere perché la strada di Cristo per adempiere il servizio pastorale è la strada della croce. A volte potremo essere scoraggiati, provare solitudine, e perfino rifiuto; potrebbe esserci richiesto di arrivare fino ad un punto tale da sentirci completamente privi di forze. Ci viene sempre richiesto di essere comprensivi, pazienti e compassionevoli con coloro con cui non andiamo d’accordo e con chiunque incontriamo. E dobbiamo accettare queste richieste, con tutti i sacrifici che richiedono, per essere “tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22). E quindi accettiamo ciò che ci viene domandato, non malvolentieri, ma prontamente, sì, gioiosamente.

Il nostro impegno sacerdotale di vivere una vita di celibato “per amore del regno dei cieli” è abbracciato anche a beneficio degli altri. Permettetemi di ripetere ciò che ho scritto ai sacerdoti del mondo nella mia lettere del Giovedì Santo del 1979: “Per mezzo del suo celibato il sacerdote diventa l’uomo per gli altri, in modo differente rispetto all’uomo che, legandosi in unione coniugale con una donna, come marito e padre, diventa anche lui un uomo "per gli altri" . . . Il sacerdote, rinunciando alla paternità, propria dell’uomo sposato, ricerca un’altra paternità come un’altra maternità, ricordando le parole dell’apostolo riguardo i bambini che egli genererà con sofferenza. Questi sono figli del suo spirito, persone affidate alle sue cure dal Buon Pastore . . . La vocazione pastorale dei sacerdoti è grande . . . Il cuore del sacerdote, poiché dovrebbe essere disponibile per questo servizio, deve essere libero. Il celibato è un segno della libertà che esiste per amore del servizio” (Ioannis Pauli PP. II, Epistula ad universos Ecclesiae sacerdotes, adveniente Feria V in Cena Domini, 8, die 8 apr. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 854s.).

6. Inoltre, noi sacerdoti, troviamo nel mistero della croce il potere di riconciliazione di Cristo su tutta la creazione. Noi crediamo che la croce di Cristo offra alla società contemporanea - con le sue scoperte scientifiche, il suo progresso tecnologico, e con la sua alienazione e disperazione   un messaggio di riconciliazione e speranza. Come capi dell’assemblea eucaristica, che è la sorgente di riconciliazione e di speranza per la Chiesa, noi abbiamo la responsabilità di assistere gli altri per umanizzare il mondo attraverso il potere del Signore crocifisso e risorto.

Cari fratelli sacerdoti: noi siamo chiamati a proclamare il messaggio di riconciliazione e speranza di Cristo in un modo veramente speciale, in un modo che la Provvidenza di Dio ha riservato solo a noi. Proclamare la riconciliazione e la speranza non significa solo insistere sulla grandezza del perdono di Dio e dell’amore compassionevole di fronte al peccato, ma anche rendere possibile l’azione indulgente di Cristo nel sacramento della Penitenza.

Più e più volte ho chiesto ai miei fratelli sacerdoti e vescovi di dare una priorità speciale a questo sacramento, così che Cristo possa avvicinare i suoi fratelli e sorelle in un incontro d’amore personale. Il nostro ministero sacerdotale è un atto di stretta collaborazione con il Salvatore del mondo nel portare la sua redenzione nelle vite dei fedeli. È attraverso la conversione personale realizzata e suggellata dal sangue di Gesù che il rinnovamento e la riconciliazione potranno finalmente permeare tutta la creazione.

Vorrei ora ricordare ciò che dissi lo scorso settembre ad un gruppo di vescovi canadesi a Roma. Si trattava di un appello che riguardava la preparazione della mia visita pastorale. Sperando che possa essere un seguito alla mia visita, faccio ora lo stesso appello a voi: “Invitate tutti i fedeli del Canada alla conversione e alla Confessione individuale. Per alcuni sarà lo sperimentare la gioia del perdono sacramentale per la prima volta in molti anni, per altri sarà una messa alla prova della grazia . . . La chiamata alla conversione è anche una chiamata alla generosità e alla pace. È una chiamata ad accettare la misericordia e l’amore di Gesù Cristo”. Cari fratelli, proclamiamo al mondo la riconciliazione e la speranza che noi stessi sperimentiamo nel sacramento della Penitenza.

La vocazione alla quale Cristo ci ha chiamati è veramente una sfida al nostro amore. Nella lettera agli Ebrei: “Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia” (Eb 12, 2).

Poiché oggi rinnoviamo il nostro impegno sacerdotale, offriamo noi stessi a Cristo sulla via della croce. E facciamolo in unione con Maria, sua e nostra Madre.

 

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