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VISITA PASTORALE  IN VENETO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL PRESBITERIO DEL PATRIARCATO

Basilica di San Marco - Venezia
Domenica, 16 giugno 1985

 

Signor Cardinale e carissimi Confratelli nel sacerdozio!

1. Ritrovarmi con voi all’interno di questa storica e veneranda Basilica, dedicata a San Marco, interprete di Pietro, è per me motivo di profonda consolazione. E sono sicuro che un tale sentimento è anche vostro, nella persuasione che il presente incontro configura uno dei momenti culminanti della mia visita pastorale a Venezia. Sento vicino a me, in mezzo a noi, tre grandi figure di patriarchi, ai quali, per essere essi ascesi in questo secolo al soglio di Pietro, tutti noi guardiamo con un comune intendimento, che è pensiero, ricordo, ammirazione, riconoscenza, venerazione. E anche ispirazione: per voi, perché essi sono stati pastori in questa Terra benedetta, a cui han lasciato una preziosa eredità fatta di zelo pastorale e di tante virtù umane e cristiane; per me, perché a Roma han portato esperienze, fermenti, esempi, a cui ci si può tuttora fruttuosamente riferire in ordine agli odierni problemi della Chiesa di Dio. Noi li sentiamo qui spiritualmente presenti: San Pio X, papa Giovanni XXIII e il mio immediato Predecessore Giovanni Paolo I.

2. Nel rinnovarvi il mio saluto, penso a tutti e a ciascuno di voi: penso ai Sacerdoti diocesani, ma anche ai Sacerdoti religiosi, che svolgono con una presenza molto significativa una parte generosa nell’insieme della vita diocesana, specie nelle parrocchie. A tutti io penso: giovani e anziani, operanti nel centro storico o nell’area industriale. So bene che non siete tanto numerosi quanto le esigenze religioso-ecclesiali richiederebbero; ma so pure che siete impegnati senza riserva nel servizio delle vostre Comunità e dell’intero Patriarcato.

Fate in modo che il lavoro non vi stanchi: non solo fisicamente, ma moralmente. Lo sappiamo: è difficile vederne i frutti. Ma dobbiamo anche ricordare che Dio benedice sempre la fatica apostolica, la quale si fa strada secondo i percorsi segreti della grazia, che egli solo conosce (cf. Gv 4, 35-38; Sal 125, 5).

3. Se tante sono le necessità pastorali, allora il primo dovere è di pregare il Padre, “perché invii operai nella sua messe”, che è “molta” (Mt 9, 37). Credete a questa preghiera e, se essa è davvero invocazione profonda, diventerà trasparente nei gesti e nelle parole della vostra vita. Ne sarete la traduzione concreta. “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10, 16): chi vi ascolterà udrà nella vostra vita donata, la voce che chiama, come voi stessi siete stati chiamati.

Alla preghiera deve, poi, seguire la ricerca. Chiamate i giovani e fate loro intuire la bellezza forte e piena di senso di questa consacrazione. Vivete in modo che, guardandovi, essi desiderino di viverla come voi. Se ciascuno di noi potesse dire, al modo dell’apostolo Paolo: “Imparate da me, come anch’io ho imparato da Cristo” (1 Cor 11, 1), si aprirebbe quella “Via” che è Cristo stesso e che a tutti, ma in primo luogo ai giovani, si rivela anche come “Verità e Vita” (Gv 14, 6).

Il secondo dovere è quello di avere un forte senso di comunione: bisogna sempre ricordare che il Presbitero non è solo, ma vive della pienezza sacerdotale del suo Vescovo e in comunione con lui (cf. Christus Dominus, 28). È nel presbiterio che egli incontra gli altri Presbiteri, non per una semplice relazione di naturale amicizia, di simpatia o di efficienza, ma per la ragione essenziale dell’identità della vocazione dell’associazione in un unico ministero. È lì e non altrove che egli potrà maturare nella sua coscienza e responsabilità pastorale.

L’incontro dei Presbiteri col loro Vescovo è esso stesso immagine viva della Chiesa. È nutrimento e scambio, conoscenza e riconoscenza, aiuto e sostegno, identità nella diversità confortata e convissuta. È esperienza in atto e genialità ecclesiale: esperienza - dico - di autentica comunione, nella quale ciascuno porta il carico peculiare del suo ministero, confronta prove e difficoltà con i Confratelli, condivide con essi i successi e le gioie. Comunione è anche scambio assiduo di proposte e di soluzioni, è esercizio applicato di fraternità.

Cari sacerdoti, è molto importante che vi presentiate uniti in questa vitale comunione alle vostre Comunità, e allora vedrete meglio come guidarle, perché anch’esse crescano al modo stesso in cui cresce il presbiterio. Siate uniti, dunque, onoratevi a vicenda, aiutatevi costantemente, disposti sempre a servirvi gli uni gli altri, al di là di ogni particolarismo. Solamente così la diversità dei doni e dei carismi sarà davvero benedetta e feconda, perché essi entreranno nella circolazione ecclesiale, in un confronto e in un arricchimento reciproco.

4. Mi rendo conto di quanto sia necessaria al vostro Presbiterio una speciale inventiva per far fronte alla complessità dei problemi pastorali che si pongono in una Diocesi, che ha esigenze del tutto particolari. Infatti, c’è da tener presente anzitutto il Centro Urbano, che comprende in uno spazio relativamente stretto, definito originalmente dalle sue calli, canali e rii, il patrimonio incomparabile di una Città che fu già Stato (la Repubblica Serenissima). Poi si deve tener conto dell’entroterra mestrino ad altissima densità di popolazione, cresciuta senza una tradizione locale sufficientemente radicata per sostenere tale sviluppo in maniera equilibrata; con al centro la realtà di Marghera, che è anch’essa un polo industriale ad alta concentrazione. C’è, inoltre, tutta la fascia del litorale che, da Caorle agli Alberoni, anche se in maniera differenziata, deve rispondere a un’immigrazione turistica che ha pochi eguali al mondo. E infine, c’è la Riviera del Brenta, che conosce i problemi di ogni hinterland, con differenti modalità rurali, artigianali, industriali e turistiche. Mi rendo conto dei problemi, diretti o indotti, emergenti da questo complesso tessuto socio-topografico e, mentre sollecito il vostro zelo in ordine alla loro migliore soluzione, desidero esprimervi tutta la mia solidarietà e comprensione. E vi incoraggio a quello sforzo di discernimento che richiede studio, vigilanza critica, valutazione illuminata. Dovete, perciò, sentirvi impegnati in una formazione permanente, veicolo della sapienza pastorale che continuamente rimedita la verità di Dio per proporla all’uomo di oggi, al quale l’immutabile Vangelo di Cristo deve essere annunciato nella cultura, in cui è inserito.

5. Sarà anche necessario che il Presbitero trovi il tempo per riflettere, pregare, adorare. Per acquistare, fra l’altro, in una società talvolta dispersiva e distratta, la prontezza a ricevere e ad ascoltare le persone; a discernere, inoltre, quei “segni dei tempi”, che solo un’attenzione paziente e pensosa rende possibile. Bisogna saper sostare per distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Solo così si eviteranno evasioni e digressioni, mentre il tempo ritroverà anche nella nostra vita la sua misura.

Con quale speranza lavorare? Con quella del Vangelo, che è poi la stessa persona di Gesù Signore nostro (cf. 1 Tm 1, 1): niente e nessuno può allontanarvi da lui (cf. Rm 8, 35-39). Per questo, vorrei suggerirvi di procedere nel vostro ministero al modo stesso dei due discepoli di Emmaus, che, ascoltando il Pellegrino ignoto, “sentivano come un fuoco nel cuore”, quando egli lungo la via parlava e spiegava loro le Scritture (cf. Lc 24, 32). Così la speranza, pur nella prova, non vi verrà mai meno.

6. Permettete che il Papa, a conclusione, vi lasci come ricordo dell’odierno incontro tre indicazioni.

La prima è un invito ad aver cura in maniera specialissima dei giovani, che sono - non occorre ripeterlo - il futuro della Chiesa e della società. Essi sono la frontiera del Regno di Dio, che sempre viene. Dentro le contraddizioni o le incertezze della loro età, essi cercano speranze e ragioni di vita. Parlate loro il linguaggio del Vangelo e fateli incontrare con Cristo. Senza genericità e superficiali sentimentalismi. Dite loro con semplicità e con chiarezza: l’incontro con Cristo passa attraverso la conversione. Su questo fondamento di chiarezza, creerete anche le condizioni per lo sviluppo di specifiche vocazioni.

La seconda è un invito ad amare il Seminario come il luogo dove il presbiterio col suo Vescovo prepara il futuro certo del ministero pastorale. Amate, dunque e fate amare il Seminario, così che l’intera Comunità ecclesiale lo sostenga e lo accompagni, nella fiducia che da ogni zona del patriarcato Dio chiami i giovani a cercarlo, come occasione per la loro risposta vocazionale. Presbiterio e Seminario devono procedere insieme: sarà segno che questa nobilissima Chiesa è viva e ha un futuro.

La terza è un invito a impegnarvi nel ministero in favore degli sposi e delle famiglie. L’amore coniugale non è una realtà qualsiasi: è il “segno” che Dio eleva sacramentalmente, perché i coniugi si sentano realmente i ministri del matrimonio, il cui primo compimento è la famiglia. La famiglia è lo spazio privilegiato in cui gli sposi annunciano, per propria vocazione e non per delega, la fede ai figli e li accompagnano con responsabilità diretta lungo l’itinerario dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Fate, dunque, crescere Comunità sponsali-familiari evangelicamente consapevoli, dove gli sposi-genitori, coscienti del loro ministero, testimonieranno nella concretezza esistenziale che il matrimonio è grande realtà umana e cristiana e che la famiglia che ne nasce è luogo di vita benedetta. È in questa prima comunità sociale che si spezza fin dall’inizio l’idolatria dell’avere, del potere e del riuscire, mediante il donare, l’amore e il servire.

Vogliono essere, queste, tre risposte di speranza che alimenteranno la vostra fiducia e quella della Chiesa di Venezia. Su di voi che certamente le condividete e vi sforzerete di tradurle nella prassi, cioè nelle forme e nei modi della triplice pastorale giovanile, vocazionale, familiare, io invoco con fiducia la speciale assistenza di Gesù, Maestro e Signore, ch’è l’esemplare assoluto del nostro sacerdozio. E a conforto e incoraggiamento ancora una volta io vi addito l’alto insegnamento degli indimenticati Pastori Veneziani e Romani, che già ho ricordato all’inizio. Con loro spiritualmente vicini, io vi benedico nel nome di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.



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