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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI TEOLOGIA MORALE

Giovedì, 10 aprile 1986

 

Illustri docenti di teologia morale.

1. Sono lieto di accogliervi in questo incontro che si svolge in occasione del Congresso Internazionale, opportunamente promosso dal Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia e dal Centro Accademico Romano della Santa Croce. Nel rivolgervi il mio saluto deferente e cordiale, desidero ringraziare mons. Carlo Caffarra e mons. Alvaro del Portillo e, con loro, quanti hanno collaborato alla realizzazione del Convegno. Il confronto di idee e lo scambio di opinioni, che incontri come questo consentono, servono a stimolare la riflessione e a favorire l’approfondimento dei grandi temi morali sui quali voi quotidianamente vi affaticate nel tentativo di sempre meglio comprendere il disegno salvifico di Dio sull’uomo.

Come ben sapete, il Concilio Vaticano II ha chiesto agli studiosi di etica un impegno particolarmente grave e urgente: “Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo” (Optatam Totius, 16). Questo invito non ha perso - a vent’anni dalla conclusione del Concilio - la sua attualità. La verità, infatti, a cui la Chiesa deve rendere testimonianza, non deve essere solo “fide credenda”, ma anche “moribus applicanda” (cf. Lumen Gentium, 25). È verità che deve divenire norma delle decisioni del fedele: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). Per l’intelligenza di questo rapporto verità-libertà, la riflessione etica è insostituibile.

Anzi, ciò che precisamente si propone la suddetta riflessione è di mostrare come solamente la libertà che si sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene. Il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità.

2. Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo. La domanda di Pilato: “Che cosa è la verità?” emerge anche oggi dalla sconsolata perplessità di un uomo che spesso non sa più chi è, donde viene e dove va. E così assistiamo non di rado al pauroso precipitare della persona umana in situazioni di autodistruzione progressiva. A voler ascoltare certe voci, sembra non doversi più riconoscere l’indistruttibile assolutezza di alcun valore morale. Sono sotto gli occhi di tutti il disprezzo della vita umana già concepita e non ancora nata; la violazione permanente di fondamentali diritti della persona; l’iniqua distruzione dei beni necessari per una vita semplicemente umana.

Anzi, qualcosa di più grave è accaduto; l’uomo non è più convinto che solo nella verità può trovare la salvezza. La forza salvifica del vero è contestata, affidando alla sola libertà, sradicata da ogni obiettività, il compito di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male. Questo relativismo diviene, nel campo teologico, sfiducia nella sapienza di Dio, che guida l’uomo con la legge morale. A ciò che la legge morale prescrive si contrappongono le cosiddette situazioni concrete, non ritenendo più, in fondo, che la legge di Dio sia sempre l’unico vero bene dell’uomo. È necessario dunque che nella Chiesa si ricostruisca una rigorosa riflessione etica.

3. Questo è un compito che si potrà adempiere solo a determinate condizioni, alcune delle quali meritano di essere richiamate brevemente.

In primo luogo è necessario che la riflessione etica mostri che il bene-male morale possiede una sua specifica originalità nei confronti degli altri beni-mali umani. Ridurre la qualità morale delle nostre azioni, relative alle creature, all’intento di migliorare la realtà nei suoi contenuti non etici equivale, alla fine, a distruggere lo stesso concetto di moralità. La prima conseguenza, infatti, di questa riduzione è la negazione che, nell’ambito di quelle attività, esistano atti che siano sempre e comunque in se stessi e per se stessi illeciti. Ho già richiamato l’attenzione su questo punto nell’esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia (cf. Ioannis Pauli PP. II Reconciliatio et Paenitentia, 17). Tutta la tradizione della Chiesa ha vissuto e vive basandosi sulla convinzione contraria a questa negazione. Ma anche la ragione umana stessa, senza la luce della rivelazione, è in grado di vedere l’errore grave di questa tesi. Essa è il risultato di presupposti profondi e gravi, che attentano al cuore stesso non solo del cristianesimo, ma anche della religione come tale. Che esista infatti un bene-male morale non riducibile ad altri beni-mali umani è la conseguenza necessaria e immediata della verità della creazione, che fonda ultimamente la dignità propria della persona umana.

4. Chiamato, perché persona, alla comunione immediata con Dio: destinatario, perché persona, di una Provvidenza del tutto singolare l’uomo porta scritta nel suo cuore una legge (cf. Rm 2, 15 e Dignitatis Humanae, 3) che non è lui a darsi, ma che esprime le immutabili esigenze del suo essere personale creato da Dio, finalizzato a Dio e in se stesso dotato di una dignità infinitamente superiore a quella delle cose. Questa legge non è solo costituita da orientamenti generali, la cui precisazione nel loro rispettivo contenuto è condizionata dalle varie e mutabili situazioni storiche. Esistono norme morali aventi un loro preciso contenuto immutabile e incondizionato. Su alcune di esse voi state sviluppando una rigorosa riflessione proprio nel corso di questo Congresso: la norma che proibisce la contraccezione o quella che interdice l’uccisione diretta della persona innocente, per esempio. Negare che esistano norme aventi un tale valore può farlo solo chi nega che esista una verità della persona, una natura immutabile dell’uomo, ultimamente fondata su quella Sapienza creatrice che dona la misura a ogni realtà. È pertanto necessario che la riflessione etica si fondi e si radichi sempre più profondamente su una vera antropologia e questa, ultimamente, su quella metafisica della creazione che è al centro di ogni pensare cristiano. La crisi dell’etica è il “test” più evidente della crisi dell’antropologia, crisi dovuta a sua volta al rifiuto di un pensare veramente metafisico. Separare questi tre momenti - quello etico, quello antropologico, quello metafisico - è un gravissimo errore. E la storia della cultura contemporanea lo ha tragicamente dimostrato.

5. A questo punto la riflessione etica razionale si completa, trovando il suo perfezionamento nella riflessione etica teologica. La Sapienza creatrice che dona la misura a ogni realtà, nella cui Verità ogni creatura è vera, ha un nome: è il Verbo incarnato, il Signore Gesù morto e risorto. In lui e in vista di lui l’uomo è creato, poiché il Padre - nel suo liberissimo progetto - ha voluto che l’uomo partecipasse nel Figlio Unigenito alla stessa vita trinitaria. E, pertanto, solo l’etica teologica può dare la risposta interamente vera alla domanda morale dell’uomo.

Da ciò deriva una competenza vera e propria del magistero della Chiesa nell’ambito delle norme morali. Il suo intervento in tale campo non può essere equiparato a un’opinione fra le altre, sia pure dotata di una particolare autorevolezza. Esso gode del “charisma veritatis certum” (cf. Dei Verbum, 8); ad esso, pertanto, il teologo cattolico deve obbedienza.

La competenza che voi possedete mi dispensa dal fare le ulteriori precisazioni al riguardo. Appellarsi a una “fede della Chiesa” per contrastare il magistero morale della Chiesa equivale a negare il concetto cattolico di rivelazione. Non solo, ma si può giungere anche a violare il diritto fondamentale dei fedeli ad avere, da chi insegna la teologia per missione canonica, la dottrina della Chiesa e non le opinioni di scuole teologiche.

6. Lo studioso di etica ha una grave responsabilità, oggi, sia nella Chiesa sia nella società civile. I problemi che egli affronta sono i problemi più seri per l’uomo, dalla cui soluzione dipende non solo la salvezza eterna, ma spesso anche il suo futuro sulla terra. La parola di Dio usa al riguardo parole che dovremmo continuamente meditare. L’amore verso chi erra non deve mai comportare nessun compromesso con l’errore: l’errore deve essere smascherato e giudicato. L’amore che la Chiesa ha verso l’uomo la obbliga a dire all’uomo come e quando la sua verità è negata, il suo bene non riconosciuto, la sua dignità violata, il suo valore non adeguatamente apprezzato. Nel fare ciò, essa non manifesta semplicemente degli “ideali”: essa insegna piuttosto chi è l’uomo, creato da Dio in Cristo e qual è, perciò, il suo vero bene. La legge morale non è qualcosa di estrinseco alla persona: è la stessa persona umana in quanto chiamata nello e dallo stesso atto creativo a essere e liberamente realizzarsi in Cristo.

Con umiltà, ma con grande fermezza dovete oggi rendere testimonianza a questa verità. Un insegnamento etico-teologico non consapevole di ciò s’è diffuso in questi anni, spargendo confusione nella coscienza dei fedeli, anche in questioni morali fondamentali. Occorre ritrovare concordia nella chiarezza e chiarezza nella concordia. I problemi che oggi la riflessione etica deve affrontare sono difficili, anche a causa della loro novità. La soluzione vera potrà essere trovata solo in un sempre più profondo radicamento della riflessione nella Tradizione vivente della Chiesa: quella Tradizione nella quale vive Cristo stesso, Verità che ci fa liberi.

La Chiesa, il suo magistero hanno oggi particolarmente bisogno di voi, studiosi di etica. Ne ha bisogno l’uomo. Questo deve essere aiutato anche dalla vostra riflessione a riscoprire la sua Verità, quella Verità che è in lui: a ritornare in sé per trascendersi in Dio.

Mentre esprimo l’augurio che ciascuno di voi possa recare un valido contributo al soddisfacimento di questo fondamentale bisogno dell’uomo contemporaneo, vorrei rivolgere una parola di saluto agli studenti che hanno partecipato a questo Congresso. Mi compiaccio che siate numerosi: l’interesse da voi dimostrato per gli importanti temi dibattuti nel Congresso è un segno confortante.

A tutti con affetto imparto la mia benedizione.

 

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