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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE L'INCONTRO ECUMENICO
NELL'ANFITEATRO DELLE TRE GALLIE

Lione (Francia), 4 ottobre 1986

 

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.

1. Avete voluto che la mia visita pastorale in questa regione della Francia avesse inizio con questo incontro di preghiera, in questo luogo altamente simbolico dove nel 177 un folto gruppo di cristiani subirono orribili torture e infine la morte per testimoniare la loro fedeltà a Gesù Cristo. Questa testimonianza e questo sacrificio dei vostri primi martiri appartengono a tutti i cristiani e a tutte le Chiese, come ha appena ricordato il mio amato confratello il card. Decourtray. Vi ringrazio di avermi offerto l’occasione di meditare su questa comune eredità e di pregare con voi perché siamo degni successori di questi grandi testimoni di Cristo.

“Sono cristiano”, rispose con semplicità e fermezza uno di questi martiri, il diacono Sanctus, ai suoi carnefici. E “questa affermazione faceva per lui le veci di nome, di città, di razza, di tutto”, come viene precisato nella lettera dei cristiani di Lione e di Vienne (Eusebio, Hist. Eccl. V, 1, 20). Noi pure siamo cristiani e tutta la nostra esistenza presente e futura, tutta la nostra vocazione, tutta la nostra missione, sono comprese in questo titolo. Siamo cristiani, vale a dire siamo di Cristo ed è in lui che “il Dio di ogni grazia ci ha chiamati” (cf. 1 Pt 5, 10), è “per la grazia del Signore Gesù che crediamo di essere stati salvati” (At 15, 11), è nel suo “Spirito che siamo stati battezzati per formare un solo corpo” (1 Cor 12, 13). È lui che ci manda “in tutto il mondo a predicare il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). I martiri di Lione e di Vienne erano pienamente consapevoli che il titolo di cristiano significa questa straordinaria ricchezza e questa grande responsabilità. Non vollero rinnegare Colui che aveva comunicato loro la sua vita e li aveva chiamati ad essere suoi testimoni. Sappiamo che sono ancora oggi numerosi, sparsi in tutto il mondo, coloro che subiscono oltraggi, che sono esiliati, perfino torturati a causa della loro fedeltà alla fede cristiana. In essi Cristo manifesta la sua potenza. I martiri di oggi e i martiri di ieri ci circondano e ci sostengono perché teniamo fisso lo sguardo su Gesù, che è il capo della nostra fede e la perfezione (cf. Eb 12, 2).

2. Cristiani di Lione, di Vienne, di Francia, cosa fate dell’eredità dei vostri gloriosi martiri? Certo, non siete consegnati oggi alle bestie feroci, non si cerca di uccidervi a causa di Cristo. Ma si può forse negare che un’altra forma di prova pesa insidiosamente sui cristiani? Correnti di pensiero, stili di vita e talvolta perfino leggi opposte al vero senso dell’uomo e di Dio, minano alle basi la fede cristiana nella vita delle persone, delle famiglie, della società. I cristiani non vengono maltrattati, godono addirittura di ogni libertà; ma non esiste forse il rischio concreto di vedere la loro fede imprigionata da un ambiente che tende a relegarla nell’ambito della sola vita privata dell’individuo? La grande indifferenza di molti riguardo al Vangelo e al comportamento morale che esso esige, non è forse un modo di sacrificare oggi, progressivamente, a questi idoli che sono l’egoismo, il lusso, il godimento, il piacere ricercati ad ogni costo e senza limiti? Questa forma di pressione o di seduzione sarebbe capace di uccidere l’anima senza attaccare il corpo.

Lo spirito del male che aggrediva i nostri martiri è sempre all’opera. Attraverso altri mezzi, continua a tentare di fuorviare dalla fede. Cristiani di Lione e di Francia, non lasciatevi sorprendere né ingannare. Nel nostro mondo, che offre all’uomo tante possibilità di autentica libertà e di crescita spirituale, che ha realizzato progressi immensi al servizio dell’uomo, cosa fate voi per smascherare questi idoli dei nostri tempi, per liberarvene? Possiate voi avere sempre il discernimento e il coraggio della fede. Avete qui un compito comune da svolgere. Un solo e unico Battesimo vi ha consacrati in Cristo. Nella fedeltà alla sua Parola, senza fare da soli nulla di ciò che potete fare insieme per rispondere alle esigenze dell’uomo di oggi, “restate fermi nella fede” (Col 1, 23)

3. Sulla via verso la piena comunione tra i discepoli di Cristo, l’opera ecumenica dei cristiani di Lione, quella di ieri e quella di oggi nelle sue diverse realizzazioni, è ben nota ed è stata ricordata proprio ora da S.E. mons. Zakarian. Il cammino delle nostre Chiese verso l’unità raggiunge sempre nuove tappe. Ma agli occhi di molti, particolarmente a quelli delle giovani generazioni, questo cammino è lento, troppo lento, rispetto a ciò che chiede Cristo che vuole l’unità “perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Ritrovare insieme un’espressione comune della fede, base dell’unità organica tra i cristiani, esige certamente molto lavoro, molto discernimento, molti scambi e di conseguenza molto tempo. Ora che abbiamo ritrovato una fiducia reciproca e stabilito già una collaborazione tra le nostre Chiese e comunità cristiane, siamo in grado di vedere più chiaramente ciò che ancora ci separa. Si tratta spesso di punti delicati e importanti che riguardano i nostri modi di comprendere la parola di Dio, di trasmettere la dottrina corrispondente al “buon retaggio” (cf. 2 Tm 1, 4), di “ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3, 22) di vivere i misteri della fede, di comprendere la natura e il compito della Chiesa. Il movimento ecumenico è frutto dello Spirito Santo. Non bisogna né retrocedere, né fermarsi su questo cammino. I responsabili delle Chiese e i teologi hanno gli uni come gli altri delle gravi responsabilità per eliminare gli ostacoli sulla via verso la piena comunione, e vigilare allo stesso tempo perché essa corrisponda autenticamente alla verità del progetto di Cristo sulla sua Chiesa, nel rispetto della legittima diversità delle usanze, delle culture e delle sensibilità spirituali, che il grande vescovo Ireneo conciliava con la necessaria unità della fede e delle Chiese. Quale Vescovo di Roma, successore di Pietro, sono perfettamente consapevole di essere impegnato in special modo a servire l’unità di fede e d’amore.

Ma non esiste forse il rischio che i progressi conseguiti a livello di coloro che portano le più grandi responsabilità restino privi di effetto, perché insufficientemente compresi e vissuti dal popolo cristiano? Dobbiamo chiedere incessantemente allo Spirito Santo di suscitare in noi intuizioni, audacia e l’umile disponibilità necessarie per poter accogliere, con prudenza e fiducia, nella vita quotidiana delle nostre parrocchie e di tutte le nostre comunità, le conoscenze già acquisite. Si tratta di mettere in pratica questi progressi con piena lealtà, senza confonderli con il fine, cosa che rischierebbe di fermarci nel nostro cammino anziché incitarci a proseguirlo.

Tutto questo non ci distoglie in alcun modo dal nostro servizio all’uomo. Al contrario i cristiani, avvicinandosi gli uni agli altri nella ricerca dell’espressione di una stessa fede, devono trarre da essa nuovo impulso per la giustizia e la pace, per il rispetto e la dignità di ogni uomo. Non occorre insistere su questo aspetto in questa Chiesa di Lione, nella quale la preoccupazione per i più poveri ha suscitato e continua ancora oggi a suscitare iniziative mirabili.

4. Ma riguardo alla causa dell’unità, come a tutte le altre, è indispensabile corrispondere sempre all’azione della grazia divina. Ecumenismo spirituale della preghiera e della conversione del cuore: ecco la via maestra, il cammino obbligato, il fondamento di tutto l’ecumenismo. La Chiesa cattolica lo ha chiaramente sottolineato nel suo decreto conciliare Unitatis Redintegratio (Unitatis Redintegratio, 8). Ha fatto sua, infatti, la mirabile intuizione di padre Paul Couturier, apostolo dell’unità dei cristiani, che esattamente ottant’anni fa fu ordinato sacerdote per la diocesi di Lione. Ricordo che fu lui a rinnovare la Settimana di preghiera per l’unità, e che, per sua iniziativa, nacque il “Groupe des Dombes” che da quasi cinquant’anni, animato sempre dal suo spirito di preghiera e di riconciliazione, continua a promuovere scambi e iniziative volti ad aprire linee di convergenza nella nostra ricerca di unità nella fede. L’abate Couturier voleva per la Chiesa universale i frutti di questa preziosa eredità lasciata alla Chiesa dai martiri di Lione e di Vienne: “Essi andarono a Dio nella pace, senza lasciare inquietudini alla loro Madre (la Chiesa), o motivi di dissenso o conflitto ai loro fratelli, ma al contrario lasciando gioia, pace, concordia e amore” (Eusebio, Hist. Eccl. V, II,7).

Fortificati dalla gloriosa testimonianza di coloro che proprio qui diedero la vita per Cristo, uniamoci in un’unica preghiera. Chiediamo soprattutto al Signore, secondo la bella formula di padre Couturier, che possa realizzarsi l’unità visibile di tutti i cristiani, “quale Cristo la vuole e attraverso tutti i mezzi che vorrà”. Come lo abbiamo appreso dal Signore e obbedienti al suo comandamento possiamo dire “Padre nostro che sei nei cieli / sia santificato il tuo nome; / venga il tuo regno; / sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. / Dacci oggi il nostro pane quotidiano / e rimetti a noi i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori, / e non ci indurre in tentazione, / ma liberaci dal male”. Amen.



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