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VISITA PASTORALE A FIESOLE E FIRENZE

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL MONDO DELLA CULTURA

Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio - Firenze
Sabato, 18 ottobre 1986

 

Signor ministro! Signor sindaco e autorità di Firenze e della Regione Toscana!
Signor rettore dell’Università di Firenze e signor presidente dell’Istituto Universitario Europeo!
Parlamentari italiani ed europei!
Artisti ed esponenti della cultura fiorentina e ospiti di questa “capitale” culturale di Europa!

1. Voi comprendete quale pienezza di sentimenti invada il mio animo sotto le volte di questo Palazzo e di questo Salone, cuore da secoli della vita civica, sociale, politica, artistica di Firenze, i cui antichi vincoli col centro del cattolicesimo sono affidati indelebilmente alla storia. Vincoli molteplici e, per molti aspetti, singolari, nati da vicende alterne, talvolta anche da scontri fierissimi; ma il senso cristiano della vita, qui assai forte, ha indubitabilmente regnato. Ne rimane imperitura testimonianza negli insigni capolavori dell’arte religiosa che dal centro della cristianità rimandano a questa nobile città, ad opera dei massimi artisti, di origine o di scuola, fiorentini.

Io sono grato a voi, illustri e cari signori, che avete avuto la bontà di partecipare a questo incontro e cordialmente vi saluto. Voi sapete quale gioia e quale senso di responsabilità mi procurino nei miei viaggi gli incontri con gli uomini di cultura, che sento a me vicini, in modo particolare per quei rapporti e quella consuetudine che la vita mi ha permesso di avere con gli ambienti di studio e di università. Oggi incontro, con le altre personalità del mondo politico, culturale e artistico, il rettore e i membri del corpo accademico dell’Università di Firenze, e il presidente dell’Istituto Universitario Europeo, che ringrazio per i loro profondi e nobilissimi saluti; trovo poi qui la folta rappresentanza del parlamento europeo. È un cenacolo di elezione, e il poeta Mario Luzi ne ha finemente interpretato sentimenti e attese. Di tanto sono grato a voi, e al mondo della cultura, che così degnamente rappresentate.

2. Forse da nessun altro luogo come da questa Sala del Consiglio dei Cinquecento è possibile lanciare un messaggio agli uomini, perché sappiano di nuovo riconoscere nella cultura la “via regia” della liberazione dalle varie forme di schiavitù che oggi come ieri, anzi oggi più di ieri, soffocano o minacciano, in una forma o nell’altra, la dignità della persona umana. È vero che, nel nostro tempo, le città sembrano perdere il loro volto e, più ancora, l’identità interiore forgiata dalla loro storia. Ma non mancano peraltro i segni di un cambiamento di rotta. In reazione al generale livellamento cresce - e, quello che più conta, in proporzione diretta al grado di sviluppo tecnologico - il bisogno di ricercare nel passato i principi di coesione e di ricupero dei valori, senza dei quali tanto ai singoli quanto ai gruppi sociali vengono meno le condizioni di una crescita armoniosa, che integri in sé l’identità individuale e insieme l’apertura verso identità diverse.

3. In questo quadro acquista valore universale l’intuizione della comunità europea di riconoscere, anno dopo anno, come sue capitali culturali le città che hanno elaborato quel patrimonio storico, senza del quale non solo l’Europa ma il mondo intero si sentirebbero impoveriti. Quest’anno il ruolo di capitale europea della cultura è toccato a Firenze. Forse in nessun altro caso è possibile dire, come in questo, che l’archeologia può anche capovolgersi in profezia, che il futuro ha un cuore antico. “Antiquitas saeculi, iuventus mundi”.

Effettivamente, in questo storico tempio della civiltà fiorentina ci giungono le molte e molte voci che hanno meritato a Firenze l’appellativo di Atene d’Italia. Vediamo convivere armoniosamente in questa città linee architettoniche ardite, eleganti movenze scolpite nella pietra, finezze di cesello, plasticità di figure dipinte in sapienti gradazioni di colori. Il mistero della bellezza, così luminoso nel suo essere e così difficile a tradursi in parole, da Firenze si diffonde in ricchissimi raggi, facendo intuire quell’anelito al divino che anima nell’intimo le espressioni dell’arte.

Qui arriva ed echeggia l’altissimo Canto del “poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra” (Paradiso, XXV,1-2). La voce di Dante, con i sublimi ritmi poetici e con la visione umano-divina della realtà, sembra riassumere i titoli di grandezza di Firenze: città di scrittori, di letterati, di poeti, di architetti, di pittori, di scultori sommi, depositaria delle glorie italiane.

Sì. Insieme con voi io rendo il mio fervido omaggio a Firenze, meritatamente proclamata, quest’anno, capitale europea della cultura. Rendo omaggio alla sua storia, al suo incomparabile patrimonio d’arte, al suo genio creativo. Rendo omaggio, in modo speciale, alle ricchezze d’intelletto, di cuore, di umanità, che un tale patrimonio racchiude ed esprime.

4. Ecco perciò un primo compito della cultura: quello di ricostruire incessantemente la memoria dell’uomo in funzione dei compiti sempre nuovi che lo attendono. Poco fa è stato autorevolmente ricordato, sotto le sue varie valenze, l’umanesimo fiorentino, da cui trasse identità l’Europa moderna. Esso è stato ed è un messaggio per sempre e per tutti, non solo per gli specialisti di ricerca storico-letteraria. Il ritorno ai greci e ai romani non fu una fuga dal presente nel passato, ma, dentro la continuità della tradizione e professione cristiana, il recupero di una ricchezza autenticamente umana per un suo più alto avvaloramento nell’orizzonte della fede.

L’umanesimo fiorentino fu perciò un evento profetico, aperto sul futuro. Vi si coniugavano la santità di Antonino, la spiritualità dell’Angelico, la veemenza del Savonarola, la pluricultura di Leonardo e di Michelangelo.

La vocazione di Firenze a far da “ponte” tra il passato e il futuro segna la sua storia dalle origini ad oggi, ed è forse la vera ragione del fatto che essa presenta, pur nel passare delle stagioni, una specie di essenza immutabile. Già agli inizi del Quattrocento l’umanista Leonardo Bruni, che visse come magistrato in questo palazzo per molti decenni, aveva scritto: “Nec ullus est in universa Italia qui non duplicem patriam se habere arbitretur, privatim, propriam unusquisque suam, publice autem Forentinam urbem”. In questa duplice cittadinanza non solo degli Italiani ma degli Europei, Firenze stessa ebbe modo di accorgersi ancora vent’anni fa, quando fu sommersa dall’alluvione: a liberarla dal fango vennero giovani da ogni parte d’Italia e d’Europa e perfino dall’America. L’uomo ha la sua patria non solo là dove fisicamente è nato e vive, ma anche là dove può leggere, incarnati nelle pietre e nelle tradizioni, i valori che danno senso alla sua vita.

5. In questa prospettiva si coglie il senso profondo della vocazione culturale di Firenze, quale traspare dalla successione delle epoche, collegate in ultima analisi dal filo sotterraneo degli studia humanitatis, che trovarono il loro centro e il loro simbolo nello Studium Generale fondato, come ha ricordato il Rettore, fin dal 1321. Florentinis ingeniis nil arduum est: questa sentenza, che consacrava l’apparizione del primo libro a stampa in Firenze verso il 1472, può essere applicata, oltre che alla pluriformità della cultura, anche, e forse soprattutto, al suo interiore significato di valorizzazione dell’uomo.

Sta in questo la sua originaria dignità. Le manifestazioni dell’ingegno umano sono una risposta all’iniziale comando del Creatore di “soggiogare la terra”. Un comando denso di contenuto, che non si limita a indicare il dominio sui prodotti del suolo, ma comprende tutto ciò che l’uomo può scoprire nell’immensità del creato, e che poi egli elabora con le risorse della sua intelligenza. A rigor di termini non può esservi cultura nel senso pieno, se non nell’ideale collegamento con la dimensione trascendente, che ne riflette la fonte sorgiva e proprio per questo si traduce in onore all’uomo.

La Chiesa guarda con simpatia alle molteplici espressioni culturali. È amica degli uomini di cultura. Favorisce il progresso della cultura. Il tutto nell’intento di servire la grande causa della persona umana. E mi è sommamente gradito riaffermare la solidale alleanza della Chiesa cattolica con la cultura, oggi, qui, in questa città che è, come ho detto facendo eco agli illustri oratori che mi hanno preceduto, patria di una concezione culturale incomparabilmente versatile, aperta alle belle arti, alla poesia, alla letteratura, alla scienza. Il denominatore comune è l’uomo. E l’orizzonte, in cui questa visione si colloca, è l’universalità degli interessi spirituali, a cui l’uomo è chiamato per l’intrinseca vocazione che gli deriva dall’essere l’immagine vivente del Dio vivente.

6. Questa universalità si è impressa a fondo nella vocazione caratteristica di questa città. Se si indagano le ragioni profonde di essa, basta posare gli occhi sul misterioso dialogo tra la torre di Arnolfo del palazzo civico, e la cupola del Brunelleschi della cattedrale. È il dialogo calato in forme di bellezza, tra il tempo e l’eterno, tra il regno presente che muove verso il futuro e il regno futuro che viene verso il presente. Non a caso i fiorentini facevano cominciare l’anno dal giorno dell’Incarnazione, e cioè dell’annuncio dell’angelo a Maria, a cui è sacro il tempio più popolare della città, l’Annunziata. Così non sfugge l’armoniosa articolazione gerarchica, che a Firenze congiungeva la base al vertice, la bottega dell’artigiano alla cattedrale, il lavoro alla contemplazione. E bisogna anche ricordare che poche città al mondo sono state così feconde di santi come Firenze.

7. Le glorie ereditate dal passato devono perciò essere sorgente d’ispirazione e di impegno nella ricerca e nello sviluppo dei valori universali. Noi siamo stati chiamati a vivere in un’epoca che, per diversi aspetti, si richiama alle trasformazioni che contrassegnarono l’antico umanesimo. Si ripete oggi, in certo modo, lo spostarsi del polo dell’attenzione dall’Assoluto di Dio al relativo dell’uomo, con le variazioni e sfumature che vi sono ben note, e che fanno parlare di vari umanesimi.

In realtà la vera linea di demarcazione è univoca, ha un’identità ben precisa. È l’ateismo teorico e pratico il quale, con le sue variegate ramificazioni, promette un “regnum hominis” in contrapposizione o in concorrenza con il “regnum Dei”. E perciò oggi molti uomini di pensiero, anche non incamminati sulla strada della rivelazione, avvertono con preoccupazione che la proscrizione di Dio comporta un fatale oscuramento della verità e della dignità dell’uomo, e quindi un incessante declino della nostra civiltà.

Di una tale situazione si è amorevolmente occupata la Chiesa, come sapete, in quella massima espressione collegiale, che è stato il Concilio Vaticano II. Se ne è occupata anzitutto nell’analisi di se stessa, del piano divino da cui è scaturita, della missione affidatale dal suo fondatore, e, in particolare, del modo con cui assolvere la propria missione in rapporto col mondo del nostro tempo; e perciò si è occupata dell’uomo, tenendo sempre lo sguardo fisso alla sua duplice dimensione: quella trascendente e quella esistenziale, inseparabili in una visione oggettiva e totale dell’essere creato. Si è occupata anche della sua cultura: “È proprio della persona umana - ha affermato il Concilio - il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura” (Gaudium et Spes, 23). Grazie a un concetto molto ampio di cultura, intesa come l’insieme dei valori e dei mezzi con cui l’uomo esprime la ricchezza della sua personalità in tutte le sue dimensioni, la Chiesa attinge alla propria esperienza plurisecolare, non legata a questa o a quella forma di cultura, perché tutte le trascende e a tutte può adattarsi, in un reciproco scambio di valori autentici.

Questi orientamenti possono essere accolti su ogni versante culturale che abbia a cuore l’uomo, il suo genuino progresso, la liberazione dagli incubi e dalle angosce che lo tormentano, l’incremento della speranza.

8. L’uomo! È questo, in ultima analisi, il primo artefice e beneficiario della cultura. L’uomo storico. L’uomo composto di anima e di corpo. L’uomo santo e peccatore. L’uomo chiamato a collaborare con Dio nel trasmettere la vita e nell’imprimere nelle sue opere il ritmo dell’armonia e della bellezza dello spirito.

Come ho detto a Parigi alla sede dell’Unesco, ormai sei anni fa, “l’uomo è sempre il fatto primario: l’uomo è il fatto primordiale e fondamentale della cultura. E, questo, l’uomo lo è sempre: nell’insieme integrale della sua soggettività spirituale e materiale”.

Da uno svisamento, consapevole o no, di questa visuale sono nate le terribili aporie, a cui è anche stato accennato in questa sede; quando l’equilibrio primordiale dell’uomo tra spirito e materia viene ad essere infranto, si aprono le vie a tutte le prevaricazioni. È perciò necessario proclamare alto, da questa città dello spirito, che è oggi urgente dovere promuovere con tutti i mezzi la verità sull’uomo. È un dovere improrogabile. “La verità che tanto ci sublima” (Paradiso, XXII, 42) è un valore incommensurabile. Lo è in se stesso, quale luce dell’intelletto. Lo è nei contesti storici proclivi alla menzogna, facili alla falsificazione, disinvolti nel culto delle mezze-verità o delle pseudo-verità: fenomeni cui sono tributarie quelle forme culturali che riducono l’uomo a una sola dimensione.

La verità dell’uomo e sull’uomo ha bisogno di essere annunziata nell’integralità del suo essere finito e del suo destino infinito. Essa è la meta peculiare di coloro che percorrono le strade della cultura, “cercatori della verità”, come li ha definiti il Concilio nel Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, “esploratori dell’uomo, pellegrini in marcia verso la luce”.

L’umanità si trova oggi - alle soglie del duemila - nel travaglio di una mutazione senza precedenti, che non potrà avvenire nel senso della salvezza se non in virtù di una cultura nuova, a dimensioni planetarie. La forza vitale decisiva perché il trapasso da una cultura all’altra avvenga secondo una linea di crescente universalità, è la fede, che, non identificandosi mai con una cultura data, offre all’uomo il punto d’appoggio per sollevarsi oltre l’orizzonte di ciò che sta tramontando.

E la verità rivelata, oggetto della fede, sgorga dall’Essere primo e creatore, che è Dio. E il Figlio di Dio, incarnato per la salvezza dell’uomo, si è presentato come la stessa Verità: “Ego sum via, veritas et vita” (Gv 14, 6). La via, fuori della quale ci si smarrisce nel labirinto delle contraddizioni e degli interrogativi senza risposta; la verità che ci fa liberi (cf. Gv 8, 32); la vita, che assicura all’uomo la dimensione dell’eternità e fin da ora lo colloca in essa col dono della grazia.

La ciclopica sintesi che Dante ha dato della vicenda umana, raccogliendovi tutti gli elementi della sapienza biblica, della rivelazione cristiana e della cultura greco-latina, con i fermenti della sua epoca inquieta, nella ricerca d’una liberazione interiore che dalla “selva selvaggia” del peccato conduce alla purificazione via via più intensa e alta fino a immergere in Dio stesso l’uomo - “che solo in lui vedere ha la sua pace” (Paradiso XXX, 102) - questa sintesi, dico, non si comprende che alla luce del Vangelo, della parola di Cristo accolta come unica salvezza. Salvezza dell’uomo medievale e dell’uomo moderno.

9. In armonia con questi presupposti, che toccano i valori più intimi dell’uomo, sgorga limpida e convincente anche la conseguenza che la cultura è fautrice di pace. È invito al superamento di ogni dissidio, di ogni lacerazione. Invito che si fa tanto più suadente da Firenze, che è stata ponte ideale di incontro tra cultura e civiltà diverse. Sul piano ecclesiale, ricordo il Concilio di Ferrara-Firenze, che vide qui convenire i rappresentanti di Roma e di Bisanzio, e gli spiriti più alti della cultura teologica greca e latina del tempo, per una composizione tra le due Chiese sorelle, culminata nell’atto del 1439, che se rimase purtroppo poco più che formale rispetto allo scopo prefisso, offerse tuttavia lo spunto per un fecondo incontro tra le due culture con vantaggio per tutta la storia dell’Europa e dell’intero Occidente. Sul piano scientifico ricordo l’opera e l’esempio di Galileo: al di là delle vicende che accompagnarono drammaticamente le sue scoperte, resta il fatto che anche in lui fu esemplare l’armonia tra sapere umanistico e sapere scientifico, tra conoscenza umana e rivelazione divina. La scissione tra fede e scienza da una parte, e tra sapere scientifico e cultura umanistica dall’altra, sarebbe avvenuta dopo: una scissione diventata per noi più minacciosa di quella dell’atomo.

Per questa funzione mediatrice di Firenze, che ha offerto all’Italia lo strumento unificante della lingua - ricordo l’eloquente atteggiamento di Alessandro Manzoni -, è particolarmente espressivo ricordare qui, come ho detto, il valore della cultura della pace. Ed è con emozione profonda che ripeto dinanzi a voi questa grande parola, a pochi giorni dall’incontro di Assisi, al quale ho invitato rappresentanti delle confessioni cristiane e di altre denominazioni religiose, allo scopo di implorare dal cielo l’immenso dono della pace. La mia fiducia, la mia speranza, l’augurio più fervido del mio cuore è che questa iniziativa segni uno slancio nuovo nel progresso della mentalità di pace; e anche agli artefici della cultura, al loro genio, alla loro buona volontà vorrei affidare in modo particolare quell’iniziativa. Essi sapranno scoprirvi spunti per improntare le loro imprese all’amore, alla fraternità, alla solidarietà, in una parola, a tutti quei beni di cui è intessuto il supremo bene della pace. Pace, come dono dell’Onnipotente. Pace, come edificio sempre in costruzione ad opera delle menti, dei cuori, delle mani umane.

10. Rifacendomi alle parole del professor Scaramuzzi, e al quadro completo dei progetti, delle finalità, dei problemi dell’Università fiorentina di cui egli è rettore, mi compiaccio anzitutto per la vitalità che l’istituzione manifesta col numero veramente notevole dei suoi alunni, con la serietà degli indirizzi scientifici seguiti dai docenti, con l’ansia di comunicare ai giovani, provenienti da altre regioni d’Italia e anche da nazioni estere, una formazione veramente completa, una vera cultura.

A quei cari giovani vorrei assicurare, come è mio dovere e come sempre faccio con loro, che la Chiesa è partecipe delle loro aspirazioni, dei loro ideali, delle loro ansie, oggi tanto spesso pungenti per quella situazione di incertezza che un avvenire senza sbocchi rappresenta per molti di essi. Confido tuttavia che il loro impegno nello studio, sotto la guida dei professori, e le decisioni e le scelte della classe politica facciano sì che essi possano guardare serenamente ai compiti che li attendono, e trovare poi adeguate opportunità di immettersi a pieno titolo nelle responsabilità professionali.

Nel quadro di una politica culturale che privilegi le più urgenti istanze odierne, e perciò sia profondamente sentita dai giovani, e alla luce degli orientamenti che mi sono permesso di esporre, vorrei rivolgere alcuni voti che ritengo particolarmente importanti.

Auspico anzitutto che, nell’attività della ricerca, sia accresciuto il contributo allo studio di problemi fondamentali dell’uomo, affinché siano approfonditi con il contributo delle rispettive competenze specifiche: la protezione dei diritti dell’uomo, in particolare degli emarginati e degli stranieri; l’orientamento dell’industria a fini esclusivamente pacifici; l’elaborazione di una tecnologia che sia adattata all’uso nei Paesi emergenti.

Inoltre è da augurare che non manchino gli sforzi per diffondere le conoscenze umanistiche e scientifiche e per facilitare l’accesso ad esse, affinché sia più ampiamente applicato il diritto alla cultura, come è detto nel Patto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (artt. 13-15).

11. Ma un altro contenuto presenta ancora l’incontro odierno, sul quale non vorrei tacere: la partecipazione dei deputati del Parlamento Europeo, nel quadro della proclamazione di Firenze come capitale culturale d’Europa. Li ho già nominati con vivo piacere all’inizio; e il significato della loro presenza è già stato enucleato a vari livelli, in questa sede prestigiosa, né vorrei insistervi oltre. Ma non posso esimermi - davanti a rappresentanza così eletta e così numerosa del massimo organismo della comunità europea - dal ricordare ancora una volta le radici cristiane dell’Europa, alle quali la Sede apostolica non ha mancato di richiamarsi per avvalorare la coscienza della comune matrice; né dal sottolineare l’impegno a conservare quella fisionomia, che ha profondamente impregnato le forme della vita pubblica, della cultura, dell’arte, della letteratura in Europa.

Mi basta ricordare, peraltro, come simbolo e pegno di questa continuità spirituale, la proclamazione di san Benedetto e dei santi fratelli Cirillo e Metodio a patroni d’Europa; e affido ancora una volta a quei grandissimi geni di fede e di cultura, a quei potenti intercessori nella Chiesa di Dio, le sorti future del nostro antico continente, che tanto ha ancora da dire e da dare all’umanità di oggi.

E, come da Santiago di Compostela, nel 1982, io ancora oggi da Firenze grido all’Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti . . . Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo” (9 novembre 1982).

12. Illustri e cari signori. Nella notte natalizia del 1966, Paolo VI, pellegrino a Firenze ancora dolorante per le ferite dell’inondazione, lasciò ai fiorentini questa consegna: “La vostra vocazione è nello spirito; la vostra missione e nel diffonderlo”.

È la consegna che Firenze trasmette agli uomini della cultura e che gli uomini di cultura - ne sono certo - accolgono con simpatia. L’omaggio reso alla culla dell’umanesimo non è un atto puramente simbolico, ma l’espressione della volontà di contribuire alla costruzione di quell’umanesimo plenario che deve imporsi sulle conquiste della tecnica come solida base della civiltà in questo scorcio di secolo.

Questo sia il frutto a più ampio raggio dell’odierna celebrazione fiorentina, con la benedizione di Dio, creatore e redentore dell’uomo, che invoco di gran cuore sulle vostre persone e sul mondo della cultura.

 

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