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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BELGIO IN VISITA
«
AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 24 aprile 1987

 

Cari fratelli nell’episcopato.

1. Vi ringrazio vivamente per i sentimenti che mi esprimete attraverso la voce del nostro Presidente, il caro Cardinale Godfried Daneels, io mi ricordo anche il modo in cui mi avete accolto in ognuna delle nostre diocesi, a Malines e Bruxelles, ad Anversa, a Ypres nella diocesi di Bruges, a Gand, a Namur, a Liegi, senza dimenticare le diocesi di Hasselt e Tournai che abbiamo salutato nel corso del convegno eucaristico di Kockelberg.

Oggi sono io che accolgo qui, e con gioia, il convegno dei Vescovi ausiliari del Belgio. La vostra visita “ad limina Apostolorum”, coincide con l’ottava di Pasqua che ci ricorda le prime testimonianze di Pietro sulla resurrezione di Gesù e che pone tutto il nostro ministero episcopale sotto il segno del rinnovamento pasquale. I nostri diocesani sono stati invitati in questi giorni santi a purificarsi dai “vecchi fermenti” ed a rinnovare la loro professione di fede battesimale: possano essi diventare una “pasta nuova” e immettersi in una vita trasfigurata dallo Spirito di Cristo, “nella rettitudine e nella verità” (cf. 1 Cor 5, 6-8)!

2. Precisamente, nella linea del nostro discorso a Malines (cf. Giovanni Paolo II, Discorso tenuto nella città di “Mechelen”, 18 mag. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 1478), voi avete invitato la Chiesa che è in Belgio ad una nuova evangelizzazione, al fine di rispondere ai bisogni attuali di formazione nella fede e di testimonianza missionaria. Di gran cuore vi incoraggio in questa strada. Dal mese di dicembre 1985, avete largamente proposto un “documento di lavoro pastorale” abbozzando gli impegni principali per meglio conoscere e diffondere la fede, meglio celebrarla, meglio viverla, personalmente, in famiglia e nella società. Voi avete appena fatto il bilancio delle risposte che questo documento ha suscitato da parte delle persone o delle organizzazioni. Come voi suggerite, diffondendo questi dati con una preoccupazione di chiarezza, essi non costituiscono un progetto pastorale da adottare tale quale, ma si tratta di reazioni spontanee che esprimono l’interesse alla fede e la volontà generosa di un buon numero di cristiani per una collaborazione all’evangelizzazione e anche i loro interrogativi, persino le loro divergenze sulle priorità o le strade da prendere. Questo richiederà sicuramente, da parte dei pastori, alcune chiarificazioni o riflessioni approfondite.

Avete già pubblicato, senza più attendere, un “Libro della fede” che si preoccupa di illuminare i credenti sulle ricchezze della loro fede, di aiutarli a trasmetterla alle nuove generazioni e di iniziare ad essa, con un linguaggio comprensibile, quelli che sono più lontani. A livello del vostro paese, proponete anche un primo strumento di riflessione che si iscrive nel grande progetto che il Sinodo straordinario del 1985 ha suggerito per la Chiesa universale e che è d’ora in poi intrapreso: la composizione di un catechismo o “compendium” di tutta la dottrina cattolica sulla fede e la morale (Sinodo straordinario dei Vescovi 1985, Relazione finale, II, 3, a, 4). Come non gioire della nostra iniziativa che corrisponde a un grande bisogno della nostra Chiesa? Senza essere esauriente, sembra presentare un insieme coerente imperniato sul Credo, la preghiera, i sacramenti e l’agire cristiano. Io auguro a questa iniziativa il più grande successo.

3. Mi sia permesso di insistere oggi sulla necessità di un annuncio chiaro ed esplicito della fede.

L’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi ha ben mostrato l’equilibrio da mantenere nella concezione dell’evangelizzazione, nel suo contenuto, nei modi della sua realizzazione. Questo documento rappresenta un punto di riferimento indispensabile.

Il messaggio da annunziare riguarda tutta la vita personale e sociale dell’uomo (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 29). Esso cerca un rinnovamento dell’umanità (Ivi, 18), delle culture (Ivi, 20). Mira ad una profonda ed ampia liberazione che si basa sulla liberazione fondamentale dal peccato (Ivi, 30). Chiama ad una conversione. Si radica nella testimonianza resa al Padre (Ivi, 26), nella salvezza in Gesù Cristo (Ivi, 27), nell’opera dello Spirito Santo, che stanno nell’ordine della Rivelazione di ciò che non è apparso naturalmente agli occhi dell’uomo lasciato alla sua sola intelligenza, alle sue sole forze.

Questo messaggio è trasmesso grazie alla testimonianza. La testimonianza di vita è sempre necessaria, e l’esortazione (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 21.41) insiste su questa testimonianza che suggella l’autenticità della fede vissuta e assicura il suo diffondersi in una maniera più efficace, più duratura, più rispettosa della libera adesione e del pluralismo che caratterizza la vostra società. Un elevato numero di vostri compatrioti si mostra molto sensibile a questo aspetto, talvolta al punto da minimizzare l’importanza del primo annunzio, poi dell’annunzio esplicito e sistematico, della predicazione, della proclamazione liturgica, della catechesi, che tuttavia Evangelii Nuntiandi sottolineava con vigore (Ivi, nn. 42.43.44). Allo stesso modo l’esortazione della Catechesi Tradendae, senza in alcun modo minimizzare l’esperienza vitale e l’“ortoprassi” (Ioannis Pauli PP. II, Cathechesi Tradendae, 22), precisa che l’insegnamento della fede deve essere dottrinale e sistematico, deve portare all’essenziale ed essere abbastanza completo (Ivi, 21). Senza questo, la più bella testimonianza si rivelerà impotente se non è chiarita, giustificata, spiegata da un annuncio chiaro, senza equivoci, dell’insegnamento del Signore Gesù e della sua Chiesa. La testimonianza deve appoggiarsi su una convinzione che nutre lo spirito (cf. Ivi, 22).

4. Questo è tanto più necessario oggi dove i nostri contemporanei sono esposti, in una società pluralista, grazie alla loro apertura culturale e per le possibilità dei mass-media, mezzi che sono di per sé positivi, a tutte le dottrine e a tutte le abitudini dei costumi che sollecitano il loro spirito o il loro comportamento pratico. Il cristiano che vuole rimanere tale deve più che mai conoscere i riferimenti precisi della fede, afferrare le ragioni di credere e i motivi delle esigenze morali, acquisire alla propria mente, con la grazia di Dio e la testimonianza degli altri, una convinzione personale.

Come spiegavo ai rappresentanti del laicato cristiano a Liegi, il consolidamento dell’identità cristiana, non si oppone alla ricerca, alla lenta progressione che il credente o il candidato alla fede può conoscere nel suo cammino. Egli rispetta la sua libertà. Rispetta la libertà, l’espressione, il contributo degli altri. Ma la fede presuppone la ricerca della verità intera, in un’umile adesione al magistero della Chiesa che ha ricevuto dal Cristo l’incarico di custodire e di comunicare il patrimonio della fede. Essa mira ad esprimersi in convinzioni, ad affermarle senza timore, a metterle in pratica in modo di contribuire, nel rispetto degli altri, al rinnovamento della società dove ciascuno deve prendere la sua parte. È il Cristo che ci chiede di essere la luce del mondo, di essere il sale della terra, di essere per la pasta un lievito capace di farla lievitare. La caratteristica della testimonianza è precisamente di essere un appello alle coscienze, che non si confonde con la pressione o la propaganda, ma che non dimentica tuttavia il supporto che rappresenta la testimonianza collettiva e l’istituzione in cui s’incarna. Perché, in definitiva, per l’amore delle persone e la preoccupazione di una solidarietà fraterna con tutti nel bene, noi testimoniamo un Vangelo che corrisponde ai reali bisogni e alle attese più profonde del cuore umano, ma che non si confonde con lo stato dei costumi in quel momento o in quel contesto sociale. Non dimentichiamo mai la preghiera di Gesù per i suoi discepoli alla sera della sua vita terrestre: Padre non ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di custodirli dal Cattivo. Essi sono nel mondo, ma non sono del mondo (cf. Gv 17, 11.14.15).

Io so che questa è proprio la nostra preoccupazione di pastori. Lo avete appena dimostrato ricordando il rispetto assoluto della vita umana, e nello stesso tempo la necessità di misure che favoriscano l’accoglienza della vita. Tutti gli altri aspetti della vita familiare e sociale possono essere così oggetto di un chiarimento che aiuti la formazione delle coscienze. E questo insegnamento etico, quando si rivolge ai cristiani deve essere ricollocato nel contesto di una vita teologale che le dia il suo senso e la sua forza.

5. In questa formazione permanente alla fede e ai costumi cristiani, avete giustamente la preoccupazione di indirizzarvi agli adulti come agli adolescenti e ai bambini.

Gli educatori non dovrebbero scoraggiarsi di dare alla scuola o nelle caritative dei giovani un’iniziazione di qualità alla fede, con l’approfondimento che essa richiede. La catechesi nella scuola conserva la sua importanza capitale se non si vuole lasciare che l’ignoranza religiosa si allarghi in un deserto spirituale. Nelle misure in cui le famiglie sostengono troppo poco questo sforzo e in cui i giovani sono immersi in un clima di incertezza o d’indifferenza, il compito è certamente difficile. Tuttavia merita un maggiore sforzo a livello del contenuto dell’insegnamento, della pedagogia, della testimonianza e della preghiera che devono accompagnarlo.

6. Penso anche al popolo cristiano nel suo insieme. La partecipazione massiccia e fervente di questo popolo alle assemblee eucaristiche in occasione della mia visita apostolica in Belgio ha rivelato la vitalità reale delle nostre comunità cristiane, l’attaccamento di una gran parte dei nostri compatrioti al Vangelo, la loro fiducia nella Chiesa, la loro gioia di pregare insieme, la loro buona volontà per vivere secondo la loro fede. La nuova evangelizzazione che voi iniziate non può non tenere conto di questa realtà di oggi né del passato cristiano che l’ha nutrita e che ho evocato davanti a voi a Malines. Essa non può accontentarsi di riservare i suoi sforzi a un’élite che sembra più convinta e più impegnata. Senza trascurarla, la pastorale deve cercare di raggiungere questa massa di credenti, talora di malcredenti che, spesso, hanno sfortunatamente abbandonato in parte la pratica religiosa, ma che non sono insensibili alla fede. Soprattutto in occasione delle celebrazioni sacramentali, bisogna risvegliare in essi la fede, la fede in un Dio personale, ridonare il gusto della preghiera, proporre degli impegni cristiani a loro misura. Bisogna che essi trovino sul loro cammino una Chiesa che li ama, che li apre a una prospettiva più profonda. In tutti questi casi la Chiesa deve diventare missionaria, preoccupata di coloro che sono lontani.

7. Nel trittico del vostro progetto voi date a giusto titolo, un posto privilegiato alla celebrazione della fede. Questa non saprebbe dimenticare l’aspetto festivo che molti riscoprono: “essa deve soprattutto essere degna, impregnata del senso del sacro e dell’adorazione, favorire la partecipazione interiore e spirituale, vivente e fruttuosa al mistero pasquale di Gesù Cristo” (cf. Sinodo straordinario dei Vescovi 1985, Relazione finale, II, B, b, 1), integrare nella lode e nell’intercessione l’offerta della vita e la supplica per le preoccupazioni attuali, restando imperniata sulla salvezza che viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo. Vi incoraggio a presentare l’assemblea eucaristica domenicale attorno al sacrificio di Cristo come il summit della vita cristiana, e il centro della vita della comunità. Ed esorto i pastori e i fedeli a prendere sempre più coscienza della necessità della conversione e riconciliazione con Dio, in una celebrazione del sacramento che include l’approccio personale. Queste celebrazioni avranno tanto più peso quanto più i cristiani ritroveranno il cammino della preghiera personale o comunitaria nella loro vita quotidiana.

8. L’evangelizzazione di cui parliamo è l’opera di tutti i membri della Chiesa, Vescovi, teologi, preti, religiosi e religiose, laici adulti e giovani. Durante la nostra visita precedente “ad limina” abbiamo richiamato la responsabilità specifica dei teologi in linea con il magistero dei Vescovi. Oggi in vicinanza del Sinodo dedicato ai laici, penso specialmente ad essi. Io so che essi prendono sempre più il loro posto di battezzati e cresimati negli impegni della comunità cristiana. Io ne gioisco. Ne abbiamo lungamente parlato ad Anversa, nella chiesa di Notre-Dame di Lacken, a Bruxelles e a Liegi. Abbiamo anche sottolineato il loro ruolo di animazione spirituale del mondo, nei molteplici settori della vita sociale, grazie alla loro testimonianza personale o comunitaria, alla loro azione cristiana. I nostri fedeli sono giustamente preoccupati della giustizia, dello sviluppo, della pace da promuovere. Essi devono prendere in considerazione i problemi acuti del loro tempo e del loro paese: per esempio le sorti dei numerosi disoccupati, degli immigrati, dei rifugiati. L’ispirazione deve sempre essere posta nella fede, nella carità secondo le beatitudini segnate da spirito di povertà, dalla dolcezza e dalla forza. Quanto all’apostolato propriamente detto, non si dovrebbe confonderlo con la promozione sociale: esso riguarda l’evangelizzazione delle persone e attraverso le persone, il miglioramento delle strutture in conformità al regno di Dio.

9. Non ho bisogno di ritornare qui sulla pastorale della famiglia. Il nostro documento di lavoro le dà, a buon diritto, un largo spazio. Io mi auguro che i nostri compatrioti prendano ben coscienza della grave posta in gioco. Certamente, nelle condizioni attuali, la famiglia è talvolta lontana dal realizzare il progetto di Dio su di lei, a livello di preparazione al matrimonio, della fedeltà degli sposi, dell’amore vissuto quotidianamente, dell’accoglimento della vita nel progetto educativo, del clima di preghiera e di fede. Ma precisamente i focolari cristiani hanno una testimonianza senza pari da donare. Perché l’equilibrio delle persone, la qualità della vita nella società e della vita nella Chiesa, passano sicuramente attraverso il rinnovamento morale e spirituale della famiglia, attraverso il modo in cui è vissuto il matrimonio. Ho notato con soddisfazione l’iniziativa pastorale imperniata sulla famiglia, che voi siete disposti a lanciare l’anno prossimo.

10. L’insufficienza delle vocazioni sacerdotali e religiose, le difficoltà incontrate per formare solidamente i seminaristi poco numerosi e abbastanza dispersi, costituiscono per voi delle gravi preoccupazioni. Nel 1982 avevo insistito sul richiamo. So che questi problemi sono per voi oggetto di riflessione. Voglio su questo punto rafforzare la nostra speranza. Molti paesi hanno fatto l’esperienza in questi ultimi anni di progressi considerevoli per quanto riguarda il numero e la qualità di coloro che consacrano tutta la loro vita al servizio di Dio e della sua Chiesa. Lo Spirito santo può suscitare un rinnovamento che, agli occhi umani, sembrerebbe imprevedibile. Ma bisogna convincerne preti e fedeli, bisogna lavorarci e pregare con tutte le nostre forze, secondo un’audace pastorale delle vocazioni.

11. Ecco, cari fratelli nell’episcopato, qualche punto base per la nuova evangelizzazione che vi sta a cuore. Tutti i cristiani belgi vi hanno la loro parte, come ho già detto, ciascuno nel suo rango, ma il Signore ha affidato a noi Vescovi la missione apostolica di segnare il cammino e di illuminare la strada, di indicare, se è necessario, le insidie e le ambiguità, meglio ancora di mettere in luce gli obiettivi, di fortificare le energie, di nutrire spiritualmente, di assicurare la comunione profonda nella diocesi tra le diverse comunità cristiane del paese, con la Chiesa universale. Molti cambiamenti sociali hanno potuto ostacolare la fioritura della fede o la pratica religiosa, ma le vere cause sono di ordine spirituale. Preghiamo il Signore risorto di rafforzare a questo livello la forza interiore della quale hanno bisogno i preti, i religiosi e le religiose, i fedeli delle vostre diocesi. Di gran cuore li benedico e benedico anche voi.

 

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