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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI SVIZZERI IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 6 marzo 1987

 

Eminenza!
Cari fratelli nell’episcopato!

1. Sono contento di rivedervi e vi ringrazio della disponibilità che avete espresso di nuovo in occasione della vostra visita “ad limina”.

Mi sembra trascorso un brevissimo tempo da quando le vostre diocesi e tutti gli Svizzeri mi riservarono una accoglienza cordiale. A tre anni di distanza mi preme di esprimervi ancora la mia profonda gratitudine. Allora avevate fatto di tutto perché il senso della mia visita pastorale fosse ben compreso dai vostri connazionali e per organizzare lo svolgimento dei miei incontri con i fedeli della Chiesa cattolica svizzera, con le delegazioni delle altre comunità cristiane e con le autorità civili. Zurigo, Lugano, Ginevra, Friburgo, Le Lohn e Kehrsatz vicino a Berna, Sachseln dove sono conservate le reliquie di San Nicola da Fluel, Einsiedeln, Lucerna, Sion: tante tappe che rimangono nella mia memoria. Sicuramente questa visita non aveva l’ambizione di risolvere da sola i diversi problemi dottrinali e pastorali generati, tra le altre cose, dalle mutazioni culturali che interessano il vostro paese come tante altre nazioni e continenti. Ovunque e sempre bisogna fare i conti con il proprio tempo. Nondimeno io rendo grazie a Dio: gli incoraggiamenti dati ai diversi gruppi incontrati, e che volevano sostenere i vostri sforzi permanenti di servitori del Popolo di Dio non sono stati senza successo. I vostri fedeli li hanno accolti come una catechesi vivente e hanno rinnovato il loro attaccamento alla Chiesa. Io mi congratulo con voi di aver prolungato l’avvenimento e di averlo mantenuto in uno “stato di attualità”, come ha scritto il vostro presidente nella preparazione del bel volume pubblicato dopo il mio viaggio apostolico. Se le vostre diocesi devono ancora progredire per essere più conformi all’attesa del Signore Gesù, unico Pastore, allora non lasciatevi distrarre. Ricordiamoci del brano del Vangelo sulla pesca miracolosa: bisogna ogni giorno gettare le reti.

2. È per questo che io auguro, in questa visita quinquennale alle tombe degli apostoli, che voi ricolmiate le vostre anime di pastori di nuovo coraggio e speranza. I vostri preti e i vostri fedeli sappiano che voi compite un rinnovato incontro con il responsabile del collegio dei Vescovi e i suoi collaboratori immediati. Al vostro ritorno, come in tutte le altre circostanze opportune, avrete a cuore di aiutare i vostri fedeli, giovani e adulti, a progredire continuamente nella conoscenza del mistero di unità che è la Chiesa di Cristo. Dopo aver ricordato che “il Pontefice romano, come successore di Pietro, è il principio perpetuo e visibile e il fondamento dell’unione che lega tra di loro i Vescovi e la moltitudine dei fedeli”, l’enciclica Lumen Gentium continua: “I Vescovi sono, ciascuno con la sua parte, il principio e il fondamento dell’unità nelle loro Chiese particolari” (Lumen Gentium, n. 23). E ancora: “Non si deve considerarli come vicari dei Pontefici romani, poiché essi esercitano un potere che è loro per i loro popoli che essi dirigono sono dei capi. Così il loro potere non è per nulla eclissato dal potere supremo e universale; al contrario è confermato, rafforzato e difeso da esso” (Ivi, 27).

Questo incontro della visita “ad limina”, lungi da essere di carattere amministrativo, è innanzitutto di ordine mistico, riguarda la fede, come il punto più profondo del mistero della Chiesa. Se i Vescovi fanno il punto sulla loro azione pastorale, essi vengono soprattutto per verificare la comunione che da autenticità alla loro missione. Anche san Paolo, saliva a Gerusalemme, con Barnaba e Tito, per incontrare Pietro e Giacomo: “Esponevano loro il Vangelo che predico tra i pagani, . . . la paura di correre o di aver corso per niente” (Gal 2, 2). Rappresentante di Cristo, successore degli apostoli, il Vescovo non è in effetti il “proprietario” della diocesi che gli è affidata. È naturale che egli renda conto della sua missione, che sottoponga il suo lavoro ecclesiale al giudizio della Chiesa universale.

3. Al tempo della mia visita i vostri diocesani hanno messo l’accento sui problemi specifici della Svizzera. È certamente vero che le Chiese particolari sono situate dentro una storia e una cultura che le segnano e di cui bisogna tenere conto. È un fatto che tutta la Chiesa locale, in Svizzera come altrove, non può pretendere di essere unita e di essere essa stessa generatrice di unità se non intrattiene concreti legami fraterni con le altre Chiese ed in maniera privilegiata con la Chiesa di Roma, sede di Pietro e dei suoi successori. Della necessità di questa unità, essenziale del suo essere Chiesa, testimoniano le lettere di san Paolo e le collette che egli organizzava presso i Corinzi a beneficio delle comunità bisognose (2 Cor 8, 1-15), ma ancora le lettere di Clemente di Roma, di Ignazio di Antiochia, di Policarpo di Smirne, di Ireneo di Lione.

Vi spetta inoltre di presentare la supremazia di Pietro in tutte le sue dimensioni, soprattutto perché il suo vero senso non è sempre compreso, anche dagli stessi cattolici. Essa è un servizio necessario alla Chiesa, un punto fisso, la chiave di volta della comunione ecclesiale.

Al fine di contribuire a questa crescita armoniosa del Popolo di Dio, assicurando una presenza familiare dei pastori in mezzo ai fedeli, sono stati nominati due nuovi Vescovi: mons. Martin Gächter, presso mons. Otto Wüst, e mons. Amédée Grab vicino a mons. Pierre Mamie. Io saluto loro molto calorosamente che tra breve diverranno membri del collegio episcopale e li ringrazio di aver accettato questa missione molto impegnativa ma importantissima per la Chiesa. Auguro loro un servizio episcopale molto fruttuoso.

4. Dai nostri incontri del 1984 e 1985 so che siete specialmente preoccupati per la diminuzione del numero dei preti. Prima di parlarvi della promozione del laicato cristiano, sento il bisogno di incoraggiarvi a vivere molto vicino ai vostri preti. Certo non ignoro il buon lavoro svolto dai vostri vicari generali o Vescovi in questo campo. Ma nonostante essi svolgano la loro missione molto bene, ciò non dispensa il Vescovo dall’incontrare i suoi preti in maniera continua. È per mezzo di queste adunanze, decanali o zonali, che si crea a poco a poco un’osmosi dottrinale e pastorale tra il Vescovo e i suoi cooperatori. Il clima di semplicità, di amicizia e di preghiera, rispettoso della autorità del Vescovo, permette di trattare problemi delicati che toccano certi punti vitali della dottrina e della tradizione cattoliche. Non voglio riprendere qui i numerosi campi nei quali si esercita il vostro impegno pastorale, come quello dell’approfondimento della fede e della formazione delle coscienze in un contesto di indifferenza religiosa che voi evocate, una presentazione rinnovata del messaggio del Vangelo, l’educazione all’amore, la preparazione al matrimonio e la pastorale familiare, il progresso delle relazioni ecumeniche che a buon diritto sono l’oggetto della vostra preoccupazione.

Citerò solo due punti particolari: l’ospitalità eucaristica e il sacramento della riconciliazione.

Voi avete pubblicato lo scorso autunno una dichiarazione chiara ed equilibrata sulle condizioni dell’ammissione degli altri cristiani all’Eucaristia. Non si tratta di una questione che riguarda solo la disciplina della Chiesa. Questa disciplina in effetti non fa che esprimere un aspetto importante della nostra fede: l’Eucaristia è il cuore della vita della Chiesa; la sua celebrazione non può essere separata dalla professione di tutta la fede della Chiesa. La comunione all’Eucaristia è, nell’atto stesso un’affermazione della comunione nella fede della Chiesa. Questa dimensione ecclesiale dell’Eucaristia fa che per noi la comunione eucaristica sia, normalmente, il segno della comunione ecclesiale. Porre questo segno là dove non esiste questa comunione, specialmente in uno dei suoi elementi fondamentali che è la comunione nella professione di fede, è porre un segno ingannatore. Non è in questo modo che noi potremo progredire verso l’unità. Non è del resto ciò che abbiamo già detto con i nostri fratelli protestanti nel nostro incontro di Kehrsazt? Il progresso verso l’unità deve sforzarsi di tener conto di tutti gli aspetti e di tutte le esigenze della verità evangelica. È una via dura e difficile, ma che porta alla luce e alla gioia dell’unità ritrovata.

Quanto al sacramento della riconciliazione, molti seri sforzi sono stati compiuti in molte Chiese particolari perché esso venga celebrato secondo le due forme abituali che comportano la confessione personale delle colpe (cf. Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et Paenitentia, 32, e CIC, cann. 960-964). Io credo che le vostre diocesi siano in grado di migliorare in questo senso e credo anche al bisogno di rettificare la pastorale della riconciliazione sacramentale, privilegiando evidentemente il tempo della Quaresima e progettando con realismo occasioni sufficienti per il resto dell’anno, specialmente all’avvicinarsi delle grandi feste liturgiche. Che lo Spirito del Signore vi ispiri e vi conceda di operare senza più tardare con umanità e con perseveranza, per una pratica che tenga conto del rinnovamento liturgico, essendo profondamente conforme alla tradizione della Chiesa.

5. Il problema della diminuzione e dell’invecchiamento del vostro clero, al quale io ho fatto allusione, non può trovare la sua soluzione nella sola promozione dei laici, per opportuna che essa sia. Le visite “ad limina” mi fanno comprendere e ammettere lo zelo costante e inventivo dei responsabili delle diocesi. Numerosi sono coloro che danno molto tempo nella pastorale diocesana delle vocazioni, condotta da preti qualificati. Certi Vescovi organizzano degli incontri per gli adolescenti, altri dei pellegrinaggi, altri indirizzano secondo un calendario stabilito per regioni, una lettura personale ai giovani. Ci sono quelli che si impegnano a ricevere gli eventuali candidati che desiderano dialogare con i loro Vescovi. Sono stato ugualmente colpito dall’aver saputo quanti progetti di vita sacerdotale esistano nei gruppi ecclesiastici.

Voi vi preoccupate sicuramente di ricorrere al ministero presbiteriale. Cercate ancora le vie migliori per sensibilizzare la gioventù alla necessità di aprirsi alle ricchezze di Cristo e del Vangelo. Molti giovani non mancano di generosità per venire in aiuto ai più bisognosi nel vostro paese o nel resto del mondo. Qui vedo dei giovani svizzeri che servono la guardia del Papa con devozione. Non dubito che su un altro piano numerosi altri giovani siano capaci di consacrarsi al servizio di Cristo nel sacerdozio. Aiutandoli a prendere coscienza delle loro vocazioni voi compite, individualmente e collegialmente, un grande atto di speranza.

E a questi futuri preti di Gesù Cristo date dei seminari la cui identità non possa essere contestata. I miei viaggi apostolici non hanno fatto che confermare la mia fiducia nei caratteri rigorosi dei grandi seminari dove, senza esclusione di certe sistemazioni di ordine secondario, è proposto quotidianamente un impeto ardente e chiaro alla vita spirituale ai candidati al servizio presbiteriale e al modo di vita che esso esige. Essi hanno bisogno di un ambiente veramente adatto a questo scopo con dei preti votati a questa preparazione e anche di maestri, che assicurino loro una formazione filosofica e teologica di buona qualità. Gli allievi sapranno creare nel loro seminario un ambiente familiare, vivace, laborioso e fedele alla preghiera. Possano sentire che, senza paternalismo, i Vescovi hanno una predilezione per i loro seminari! Io non smetterò di pregare per questa intenzione.

6. Infine, come non intrattenermi con voi circa la grande speranza che rappresenta il laicato cristiano in Svizzera. Io penso ai vostri numerosi consigli pastorali, ai movimenti di Azione Cattolica, e a molte altre associazioni. Conservo nella memoria le delegazioni presentate nella grande sala dell’Abbazia di Einsiedeln, della loro serietà, della loro espressione schietta, dei loro impegni diversi negli organismi ecclesiastici o temporali. Questi delegati misero in evidenza il numero crescente di uomini e di donne che hanno acquisito una formazione teologica e che si augurerebbero di essere meglio riconosciuti. Affido a voi oggi il compito di esprimere loro nuovamente la mia fiducia, nella speranza che essi condivideranno sempre una visione esatta della Chiesa di Cristo che, secondo la volontà del suo Fondatore, si distingue per la complementarietà armoniosa ed efficace dei suoi membri. Io dicevo ad Einsiedeln: “Noi siamo tutti insieme introdotti nel mistero di Cristo attraverso la fede ed il battesimo, come numerosi rami sono uniti al tronco vero, il Cristo, che ci infonde ininterrottamente una nuova forza di vita”. Del resto, la credibilità del Vangelo e l’impatto dell’evangelizzazione sono tributari di questa collaborazione fondata su una sana ecclesiologia, sempre approfondita, vissuta nel dialogo e accompagnata da una preghiera che dovrebbe intensificarsi ancora in molte comunità cristiane. In mezzo ai vostri laici, che si attendono la vostra presenza, sforzatevi di avere rispetto, capacità di ascolto, di chiarezza dottrinale, di affettuosa fermezza, di incoraggiamento necessario. Bisogna mantenere questi due obiettivi che non sono interscambiabili: da una parte favorire il ruolo di un laicato ben formato e responsabile, agendo in virtù del battesimo e della cresima e talvolta ricevendo una missione precisa; dall’altra assicurare la presenza di sacerdoti in del sacramento dell’ordine. In altre parole: sì alla complementarietà, no al livellamento. Spero che il prossimo Sinodo porterà circa tutti questi punti molte chiarificazioni e approfondimenti di ordine dottrinale e pastorale, dando così al Popolo di Dio uno slancio apostolico impregnato di gioia e di speranza.

7. Al termine di questo incontro fraterno vorrei ricordarvi l’avvenimento che voi stessi avete citato: la Confederazione Elvetica celebra, in questo 1987, il 5° centenario del popolarissimo eremita di Ranft, san Nicola da Fluel. Ho avuto la grazia di andare in pellegrinaggio alla Chiesa parrocchiale di Sachseln e di pregare davanti alla cassa che contiene le reliquie. Ho chiesto per il vostro paese l’intercessione di colui che gli svizzeri chiamano “Padre della Patria”. Le vostre diocesi organizzeranno presto numerose festività alle quali le autorità civili si assoceranno. Possano essere queste celebrazioni per tutti gli abitanti l’occasione di una riscoperta delle ricchezze della fede, uno stimolo per lo spirito di concordia che caratterizza la vostra confederazione e più generalmente per la promozione della pace tra i popoli. Voi stessi menzionate le iniziative che sono da intraprendere e da portare avanti per affermare la pace, per regolare i problemi dei profughi o di coloro che chiedono asilo, per promuovere la solidarietà con i poveri del mondo, secondo le esigenze economiche che essa implica.

Da parte vostra aiuterete i giovani, le famiglie, gli uomini e le donne impegnati nel servizio del bene comune a comprendere meglio e ad ammirare la santità del vostro compatriota. Il bambino e l’adolescente traspaiono, il soldato pronto a tutti i sacrifici, l’eccellente padre di famiglia, il magistrato coscienzioso, l’eremita tutto votato alla penitenza e alla preghiera, colui che restituì la pace tra le confederazioni in un momento in cui la rottura pareva inevitabile, questi sono tutti tratti seducenti della vita di san Nicola, ancora oggi capaci di elevare l’anima del popolo elvetico. Di tutto cuore mi associo alle vostre feste giubilari e invoco sulle vostre persone, sul lavoro della vostra conferenza episcopale, su ciascuna delle vostre diocesi e sui loro sforzi di evangelizzazione le più abbondanti benedizioni del Signore.

 

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