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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA PROMOSSA
DALLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA
PASTORALE DEGLI OPERATORI SANITARI

Aula del Sinodo - Giovedì, 12 novembre 1987

 

1. Con intima gioia porgo il mio deferente saluto a tutti voi, illustri signori e gentili signore, che prendete parte alla Conferenza Internazionale, promossa dalla Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari sul tema dell’umanizzazione della medicina, tema fondamentale, della cui importanza si va oggi prendendo sempre più viva coscienza.

2. La vita è dono di Dio. L’uomo non ne è il Signore, ma l’amministratore responsabile. “È il Creatore dell’universo che ha plasmato l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti” (2 Mac 7, 23). L’uomo, perciò, in tutte le espressioni della sua vita appartiene a Dio, al quale deve rispondere (non è forse questa la radice etimologica del termine “responsabile”?) dell’uso da lui fatto del grande dono ricevuto.

Deriva di qui la nobiltà della medicina che, per definizione, è servizio alla vita umana. Come tale, essa comporta un essenziale e irrinunciabile riferimento all’uomo nella sua integrità spirituale e materiale, nella sua dimensione individuale e sociale: la medicina è a servizio dell’uomo, di tutto l’uomo, di ogni uomo.

Di questa verità voi siete profondamente convinti sulla scorta di una lunghissima tradizione, che risale alle stesse intuizioni ippocratiche. Ma è precisamente da questa convinzione che scaturiscono le vostre preoccupazioni di studiosi, di scienziati, di ricercatori per le insidie a cui è esposta la medicina odierna. Infatti “le nuove frontiere . . . aperte dai progressi della scienza e dalle sue possibili applicazioni tecniche e terapeutiche, toccano gli ambiti più delicati della vita nelle sue stesse sorgenti e nel suo più profondo significato” (Ioannis Pauli PP. II, Dolentium hominum, 3).

Mossi anche da queste preoccupazioni voi siete convenuti a questa Conferenza, nel desiderio di offrire il contributo della vostra competenza alla elaborazione delle strategie che possono rivelarsi opportune per una più efficace tutela e una più adeguata promozione del fondamentale dono della vita.

Saggiamente, l’articolazione degli argomenti affrontati nel Simposio, muovendo dal generale al particolare, si sofferma innanzitutto sulla vita e sul diritto alla vita, quindi, sull’uomo e la salute e, infine, sull’uomo e la medicina. Parlare, infatti, dell’uomo e della salute, e dell’uomo e della medicina, presuppone una chiara concezione della vita, del diritto ad essa e alla sua qualità.

3. Non potendo, com’è ovvio, diffondermi sui singoli argomenti del vostro Simposio, voglio esporre alcune considerazioni sul tema centrale intorno a cui ruota ogni altro problema, quello appunto della umanizzazione della medicina. Con tale tema si va al cuore stesso del diritto-dovere di difendere e promuovere la vita e la sua dignità. Non può aversi infatti autentica promozione della vita umana senza una crescente umanizzazione della medicina, che si colloca oltre il semplice apporto scientifico e tecnico. Infatti “la scienza e la tecnica preziose risorse dell’uomo, quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso dell’esistenza e del progresso umano. Essendo ordinate all’uomo da cui traggono origine e incremento, attingono dalla persona e dai suoi valori morali l’indicazione della loro finalità e la consapevolezza dei loro limiti” (Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, 2).

I vostri lavori prevedono un’organica impostazione dei vari problemi che riguardano la nozione di vita e di diritto ad essa, gli interrogativi posti dal grande sviluppo della farmacologia, le istanze suscitate dall’urgenza di salvaguardare l’ambiente, le tensioni connesse con gli squilibri crescenti tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, le prospettive di una strategia politica per la difesa e la promozione della vita umana sulla terra.

È un ventaglio di questioni vasto e stimolante che vi esorto ad approfondire. Rilevo, tuttavia, che mancherebbe il necessario criterio orientatore, se i diversi argomenti venissero affrontati prescindendo da un’adeguata visione antropologica, capace di guidarne la discussione verso soluzioni di vero progresso. Vi sono infatti forme di avanzamento scientifico, che non coincidono con l’autentico bene dell’uomo: il progresso scientifico si risolve, in tali casi, in un regresso umano che può preludere anche a esiti drammatici. È proprio in considerazione di ciò che occorre ribadire l’assioma in forza dei quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente ed eticamente accettabile.

4. Una prassi veramente umanizzata della medicina non può restare indifferente di fronte a una ricerca scientifica che si ponga come fine a se stessa, ignorando le esigenze di un autentico servizio all’uomo. Anche lo studio della vita deve tradursi in servizio alla vita. Gli interrogativi sollevati dalla sperimentazione, dal rapporto popolazione-risorse, dalla malattia irreversibile, si sono fatti più incalzanti da quando il progresso della tecnica ha facilitato il ricorso a soluzioni e strategie che offendono la dignità della vita e della persona umana.

Per resistere alla suggestione di simili prospettive è indispensabile disporre di riferimenti antropologici adeguati, alla cui elaborazione molto potrà contribuire il dialogo interdisciplinare e, in modo particolare, la riflessione sui dati della rivelazione cristiana.

La storia di questi due millenni dell’era nuova è lì a dimostrare quale aiuto possa dare a una vera umanizzazione della medicina l’ispirazione cristiana: questa infatti, facendo vedere in ogni uomo un fratello, fonda il servizio alla vita sul comandamento universale dell’amore. Lo aveva ben capito il dottor Giuseppe Moscati, che ho avuto la gioia di dichiarare santo il 25 ottobre scorso. Egli diceva: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo . . .”. Professore universitario, primario ospedaliero e ricercatore, il dottor Moscati aveva direttamente sperimentato il primato dell’amore nel servizio alla vita.

Il comandamento dell’amore ha le sue radici nella legge naturale della solidarietà umana e attinge vitalità dall’Amore stesso che è Dio. Non solo, ma nell’impegno di promuovere la vita, l’Amore diventa anche punto di incontro costruttivo con coloro che, per misteriose vicende esistenziali, non hanno accolto o compreso il messaggio di Gesù. Uno sguardo anche superficiale alla storia della medicina consente di rilevare una singolare continuità tra valori umani e cristiani, grazie alla cui interazione s’è venuto formando quel ricco patrimonio di civiltà e di progresso, che costituisce l’orgoglio della vostra categoria.

5. La medicina in quanto avvicina l’uomo nel momento cruciale della sofferenza, quando egli avverte acuto il bisogno di salvaguardare la propria salute, deve fare di colui che l’esercita, a tutti i livelli, un esperto di grande sensibilità umana. Ciò vale ovviamente, nell’ambito del rapporto individuale, ove umanizzazione significa, tra l’altro, apertura a tutto ciò che può predisporre a comprendere l’uomo, la sua interiorità, il suo mondo, la sua psicologia, la sua cultura. Umanizzare questo rapporto comporta insieme un dare e un ricevere, il creare cioè quella comunione che è totale partecipazione. Soltanto così il servizio diventa anche testimonianza, ed essendo servizio alla vita, si trasforma in incentivo ad amarla, a coglierne il più vero e profondo significato in ogni sua manifestazione.

Questo, però, ha una sua verità anche sul piano sociale: qui l’istanza dell’umanizzazione si traduce nell’impegno diretto di tutti gli operatori sanitari a promuovere, ciascuno nel proprio ambito e secondo la sua competenza, condizioni idonee per la salute, a migliorare strutture inadeguate, a eliminare le cause di tante malattie, a favorire la giusta distribuzione delle risorse sanitarie, a far sì che la politica sanitaria nel mondo abbia per fine soltanto il bene della persona umana.

6. L’umanizzazione della medicina risponde a un dovere di giustizia, il cui assolvimento non può mai essere delegato interamente ad altri, richiedendo l’impegno di tutti. Il campo operativo è vastissimo: esso va dall’educazione sanitaria alla promozione di una maggiore sensibilità nei responsabili della cosa pubblica; dall’impegno diretto nel proprio ambiente di lavoro a quelle forme di cooperazione - locale, nazionale e internazionale - che sono rese possibili dall’esistenza di tanti organismi e associazioni aventi tra le loro finalità statutarie il richiamo, diretto o indiretto, alla necessità di rendere sempre più umana la medicina.

La Chiesa, che considera la sollecitudine per chi soffre parte integrante della sua missione (Ioannis Pauli PP. II, Dolentium hominum, 1), e che guarda all’uomo come a “propria via” (Eiusdem, Salvifici Doloris, 3), è vicina come ha giustamente rilevato e ribadito il recente Sinodo ai laici che, personalmente o associativamente, si adoperano per una crescente umanizzazione della medicina. Essa, attraverso individui e istituzioni, è direttamente impegnata nel mondo della sofferenza e della salute, con la collaborazione illuminata e generosa di tutti gli operatori sanitari. Qui emerge infatti una particolare e decisiva sfida del nostro tempo: noi non possiamo assistere inerti al permanere di una situazione in cui intere popolazioni soffrono per mali, che la scienza medica è ormai in grado di affrontare e di sconfiggere.

Umanizzare la medicina è raccogliere questa sfida e adoperarsi generosamente per l’edificazione di un mondo nel quale ad ogni essere umano siano assicurati i mezzi necessari per la piena valorizzazione di quel fondamentale talento della vita, che ha in Dio “amante della vita” (Sap 11, 26) la sua origine e il suo ultimo destino.

Nell’esortarvi a fare quanto è in vostro potere per corrispondere a questo nobilissimo compito invoco su di voi e sul vostro lavoro la benedizione illuminante e confortatrice dell’Onnipotente.

 

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