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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA METROPOLIA DI CRACOVIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 12 novembre 1987

 

Cari e venerati fratelli!
Eminenza, arcivescovo, vescovi
.

1. Do un cordiale benvenuto a tutti voi in occasione della visita “ad limina Apostolorum”, che state svolgendo in conformità al ritmo quinquennale stabilito dal diritto della Chiesa.

Saluto anche i vescovi assenti della Provincia di Cracovia e, in modo particolare, il già vescovo di Katowice.

Durante i cinque anni, che ci separano dall’ultima visita, la composizione dell’episcopato della metropolia di Cracovia, ha subìto notevoli cambiamenti. Se n’è andato per ricevere il premio da Cristo, pastore supremo, il vescovo di Czestochowa Stefan Barela. Ha rinunciato alla cura pastorale della diocesi, a motivo dei raggiunti limiti d’età, il vescovo di Katowice Herbert Bednorz. Sono stati nominati due nuovi vescovi diocesani e due vescovi ausiliari. Il vescovo di Tarnów è stato elevato alla dignità di arcivescovo.

Ogni volta tutti ci rendiamo conto di quale sia il significato di tale visita. Tutti ogni volta ci rendiamo nuovamente conto che cosa essa significhi e che cosa esprima. Il “videre Cepham” (Gal 1, 18) dell’apostolo Paolo si è sviluppato correttamente nella forma delle diverse usanze, ciascuna delle quali esprime a suo modo l’essenza stessa della Chiesa.

Come ha messo in rilievo il Concilio Vaticano II, la Chiesa è nella sua costituzione essenziale una “comunione” sul modello della santissima Trinità stessa. E la comunione si esprime nel reciproco “comunicarsi” dei fondamentali beni della fede e della vita di fede, ai quali la Chiesa intera prende parte. Intera vuol dire: nella sua dimensione universale; intera vuol dire allo stesso tempo: nella dimensione di ogni Chiesa particolare o locale.

La visita “ad limina Apostolorum” ha come scopo un particolare avvicinamento e incontro di queste dimensioni, che insieme costituiscono la Chiesa: corpo di Cristo.

2. La questione di cui parlo, io l’ho vissuta molto profondamente - certamente in riferimento all’esperienza conciliare - prima proprio in codesta comunità episcopale, che giunge oggi per la visita “ad limina Apostolorum”. Se è lecito dire così, “ho imparato” il senso della Chiesa, come “comunione”, mediante il Concilio e contemporaneamente mediante la vita di ogni giorno nella comunità della Chiesa di Cracovia e della metropolia di Cracovia.

La vostra visita, cari fratelli, è per me così cara perché voi portate qui nelle vostre persone la stessa realtà ecclesiale del popolo di Dio, alla cui formazione anche a me fu dato di prender parte per molti anni. Da lì sono stato chiamato alla sede romana di san Pietro: però ha appreso la verità sulla “communio Ecclesiarum” presso la tomba di san Stanislao. Insieme ci siamo anche preparati al 900° anniversario della sua morte per martirio, unendo questi preparativi alle prime iniziative che avevano come scopo l’introduzione dell’insegnamento del Vaticano II nella vita.

3. La via che avevamo scelta per tale scopo era la via dei Sinodi, da secoli e da millenni sperimentata nella Chiesa.

È stata questa prima la via dei Sinodi diocesani. E quindi, negli anni 1971-1975, si è svolto il I Sinodo della diocesi di Katowice. I suoi lavori e le sue delibere miravano a ravvivare la fede, la preghiera e la vita nella Chiesa di Katowice.

Il Sinodo pastorale dell’archidiocesi di Cracovia mi era stato dato di convocarlo nel 1972 e di concluderlo sette anni più tardi come successore di san Pietro nella sede di Roma, durante il mio primo pellegrinaggio in patria nel 1979. Per tutti noi esso si collega con il 900° anniversario... del servizio pastorale di tale Chiesa, la rinnovata consapevolezza della sua missione salvifica e il programma stabilito della sua realizzazione.

Il IV Sinodo della diocesi di Tarnów, annunciato all’inizio della Quaresima del 1982, si è concluso il 13 marzo del 1986, nel 200° dell’erezione della diocesi. I suoi lavori si sono svolti sotto il motto “ad immagine della Chiesa universale” (Lumen Gentium, 23) e lo scopo era quello di rendere più viva la coscienza che la Chiesa particolare deve rispecchiare nel modo più perfetto la Chiesa universale.

Il Sinodo della diocesi Czestochowa dal 1976 al 1985 ha compiuto uno sforzo collettivo per rileggere l’insegnamento del Concilio per assimilarlo e applicarlo nella vita.

Nell’anno 1984 è stato annunciato il III Sinodo della diocesi di Kielce, che deve introdurre la diocesi del secondo centenario della sua esistenza e rinnovare la vita di quella Chiesa nello spirito del Concilio.

Parallelamente abbiamo scelto la via del Sinodo provinciale, la cui chiusura mi è stato dato di vivere insieme con voi nella cattedrale di Wawel, durante il pellegrinaggio in Patria nel 1983. In un certo senso esso coincideva con i Sinodi diocesani e si proponeva come scopo di intraprendere, da parte di tutte le diocesi della metropolia, uno sforzo comune per approfondire la fede e ravvivare lo spirito religioso ispirandosi al Concilio Vaticano II, come esige la nostra epoca.

Questo comune lavoro pastorale ha avuto anche come scopo quello di stringere i legami e di approfondire la comunione nell’ambito della metropolia, con il rispetto dei diritti di ciascuna diocesi di intraprendere concrete azioni alla luce delle proprie necessità ed esperienze.

4. La verità sulla Chiesa come “comunione” indica anche in una luce nuova la questione della vita e della vocazione sacerdotale di quella comunità che i sacerdoti (“presbíteroi”) costituiscono in ogni Chiesa diocesana.

Cari fratelli, dite ai sacerdoti che, come vescovo di Roma, conservo il senso profondo di essere radicato nel presbiterato, in mezzo ai quale sono diventato sacerdote di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio. Ogni giorno ricordo nella preghiera i membri defunti di tale presbiterato, accanto ai sacerdoti defunti della mia nuova diocesi.

Mi rallegro per il fatto, che la vocazione sacerdotale nella nostra Provincia ecclesiastica, e anche in tutta la Polonia, ha la forza di parlare alle giovani anime. Rendo grazie a Dio perché i seminari sono pieni, ancora più pieni di prima.

Questo è un particolare segno e insieme un dono della divina Provvidenza, che impegna a una diligente e responsabile sollecitudine perché esso non venga smarrito, ma sia pienamente sfruttato per il bene della Chiesa in Polonia e della Chiesa universale. Bisogna anche ricordare costantemente che non il numero ma la qualità dei sacerdoti decide dell’efficacia e della messe della semina evangelica.

Così è stato ai tempi degli apostoli e così è oggi. Ci troviamo qui dinanzi a un problema, quello della formazione sacerdotale, cioè di quel sistematico processo mediante il quale viene preparato lo spazio interiore per l’azione dello Spirito di Cristo negli animi dei giovani, lo spazio della maturazione delle vocazioni sacerdotali perché, “in persona Christi”, con il cuore indiviso, si serva gratuitamente l’uomo, lo si sollevi dalle cadute e dalle crisi mediante la testimonianza della fede, della speranza e della carità, che è in Cristo e da Cristo.

Questo è un grande compito posto davanti ai vescovi, agli educatori e ai professori dei seminari, delle università cattoliche, delle facoltà di teologia. Ho parlato di questo durante il pellegrinaggio di giugno in Patria, ricordando le più importanti direttive del Concilio Vaticano II nel decreto Optatam Totius, sulla formazione spirituale e intellettuale nei seminari. Secondo le indicazioni ivi contenute gli alunni vi si dovrebbero formare per diventare autentici pastori, e dunque al servizio della Parola, al servizio della santificazione mediante i Sacramenti, al servizio pastorale sul modello di Cristo che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). Lo stesso decreto raccomanda che i superiori e i professori dei seminari siano scelti tra i migliori sacerdoti, che si distinguano per la perfetta formazione intellettuale e spirituale, che abbiano esperienza pastorale e capacità pedagogiche. Il vescovo dovrebbe anche costantemente circondare di particolare premura gli operatori dei seminari “e dimostrarsi verso gli alunni vero padre in Cristo” (cf. Optatam Totius, 4-5).

5. Nel suo magistero sulla vita e sulla missione dei sacerdoti, il Concilio ha ricordato che la vocazione sacerdotale - anche se direttamente unita al presbiterato diocesano - possiede nello stesso tempo il suo orientamento universale. Essa è “per tutta la Chiesa”.

“Il Dono spirituale - leggiamo nel decreto sul ministero e la vita sacerdotale, Presbyterorum Ordinis (Presbyterorum Ordinis, n. 10) - che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, fino agli ultimi confini della terra (At 1, 8) . . . Ricordino quindi i presbiteri che ad essi incombe la sollecitudine di tutte le Chiese, pertanto i presbiteri di quelle diocesi che hanno maggiore abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l’invito del proprio ordinario, in quelle regioni, missioni o opere che soffrono di scarsezza di clero”.

Il sacerdozio come dono, come sacramento sociale è fonte di un particolare apostolato nella Chiesa; essa infatti è missionaria per propria natura e rimane costantemente in stato di missione. Questa caratteristica missionaria della Chiesa è inscritta nelle vocazioni sacerdotali e religiose. Con soddisfazione bisogna notare il fatto che la Chiesa in Polonia, e specialmente la provincia di Cracovia, ormai ha un suo patrimonio in questo così importante campo della vita e dell’attività della Chiesa qual è l’evangelizzazione. Sempre più numerosi giovani, sacerdoti e religiose seguono la chiamata di Cristo, partono con entusiasmo per i paesi di missione, al fine di diventare servitori della parola della Verità divina, dispensatori dei misteri di Dio, pionieri del Vangelo e dell’evangelizzazione.

Come vescovo di Roma sul quale grava una particolare responsabilità per tutta l’attività missionaria della Chiesa, ringrazio per i missionari e le missionarie polacchi. E ne chiedo ancora, poiché “la messe è molta ma gli operai sono pochi” (Mt 9, 37).

6. Rivolgendomi ai sacerdoti in Patria, in modo particolare durante il mio ultimo pellegrinaggio, cercavo di mettere in rilievo il profondo legame con la società, che caratterizza durante le generazioni la vita e il servizio dei presbiteri nelle nostre diocesi. Veramente: “scelti fra gli uomini... costituiti per il bene degli uomini” (Eb 5, 1).

Questo legame diventa sempre nuovamente un compito da assumersi in relazione al profilo sociale delle vostre diocesi, sottoposto ai cambiamenti.

Tali cambiamenti avvengono in modo diverso in ciascuna delle diocesi che fanno parte della metropoli. Nelle regioni agricole avviene un graduale processo di urbanizzazione e di meccanizzazione. Una grande parte della popolazione agricola trova occupazione negli ambienti industriali. Nelle regioni industrializzate notiamo i tipici processi della trasformazione delle mentalità e dello stile di vita; a volte questi sono mutamenti positivi, spesso preoccupanti. Indipendentemente dal carattere di una regione, tutti vengono raggiunti dall’influsso dei mezzi di comunicazione sociale, prima di tutto dalla televisione, che impongono un modo di pensare e di valutare, che diventa comune, spesso assimilato inconsapevolmente.

Le forze con le quali le singole diocesi si accingono ad assumersi i compiti di fronte alle trasformazioni sopra menzionate, variano. L’intera metropolia conta oltre otto milioni di cattolici. Tra loro lavorano oltre settemila sacerdoti diocesani e religiosi. In media vi sono circa 1150 fedeli per un sacerdote.

Nonostante queste condizioni diversificate, bisogna tuttavia assumersi i necessari compiti pastorali con la speranza che lo zelo dei presbiteri e la fecondità del loro lavoro diventino per i giovani un incoraggiamento a seguire le loro orme.

7. Permettete che in questo vasto contesto io tocchi ancora un problema al quale sono stato molto strettamente legato come metropolita di Cracovia, eche allo stesso tempo è il problema della Chiesa in tutta la Polonia, anzi della Chiesa universale.

Si sa che mentre le autorità statali del tempo “liquidarono” l’antichissima Facoltà di teologia dell’Università Jagellonica (trasferendola arbitrariamente all’Accademia di teologia cattolica fondata a Varsavia), la Santa Sede ha consegnato nelle mani dell’arcivescovo di santa memoria E. Baziak, il decreto che affermava che quella Facoltà, come ateneo accademico della Chiesa, non cessa di esistere a Cracovia, lasciandosi guidare sin da allora dai principi della legislazione ecclesiastica nel rispettivo campo.

Da quel momento (cioè dall’anno 1959-60) è stato fatto moltissimo perché tale ateneo acquistasse una forma e un profilo adatti a sé, venendo incontro ai molteplici compiti, che vengono posti davanti alla Chiesa dal Vangelo, letto secondo “i segni dei tempi”, a misura degli interrogativi e dei bisogni dell’uomo “nel mondo contemporaneo”.

Seicento anni fa la beata regina Edvige insieme al suo consorte tanto operò per la Facoltà di teologia nell’“Alma Mater” cracoviense, tenendo presenti tra l’altro - e forse soprattutto - i bisogni di evangelizzazione della Lituania da poco battezzata.

I bisogni dell’evangelizzazione ci rinviano sempre alle scienze coltivate in modo corretto: alla teologia, alla filosofia, alla giurisprudenza, alla storia e, oggi, ancora a tanti altri brani del sapere, che formano la mentalità contemporanea dell’uomo incontrato sulla via del Vangelo.

Esprimo la mia gioia perché l’Ateneo di Cracovia (oggi come Pontificia Accademia di teologia) può continuare a servire la Chiesa e la società in Polonia. Prima di tutto serve la provincia di Cracovia, ma non solo.

A tutti coloro che hanno dato e continuano a farlo una mano a quest’opera importante esprimo una profonda gratitudine. Allo stesso tempo pongo la questione dell’Accademia Cracoviense sul cuore di tutti i miei fratelli dell’episcopato qui presenti, iniziando dal grande cancelliere. Siamo i portavoce di una causa giusta e importante. Si potrebbe dire: di una di quelle che decidono della ragion di stato polacca.

8. Sapete bene, cari fratelli, quanto grandi compiti ci attendono costantemente nel campo: della catechesi dei bambini e dei giovani, della catechesi degli adulti, della pastorale universitaria, della pastorale degli agricoltori e di tutto il mondo del lavoro e di altri tipi della pastorale specifica, della pastorale del mondo della cultura - e dei mezzi di comunicazione sociale - e di tanti altri. Ho cercato di parlare di questi temi durante il mio ultimo pellegrinaggio in Polonia. Si sa che ciascuna delle menzionate direzioni della pastorale “mette in moto” anche un rispettivo settore dell’apostolato dei laici. Ed esse tutte si incontrano definitivamente nelle dimensioni della pastorale della parrocchia e della diocesi, dove anche l’apostolato dei laici dovrebbe trovare il posto che gli compete. Sembra che tutto questo complesso di compiti trovi un certo riflesso a Cracovia e in tutti i seminari e gli ambienti che sono uniti con quell’Ateneo dal punto di vista organizzativo (cf. Tygodnik Powszechny, l’ultima relazione del prorettore all’inaugurazione).

Questo riguarda anche la pastorale del matrimonio e della famiglia, che forse mai come oggi richiede una solida base nella preparazione teologica prima di tutto degli stessi sposi - genitori - iniziando già dai candidati alla vita familiare come pure dei pastori. Grande, fondamentale tema e grande compito della Chiesa e della società.

9. Cari fratelli! Ci incontriamo nell’Anno mariano, che in tutta la Chiesa viene vissuto sotto l’aspetto dell’Avvento. Avvento significa la venuta del Signore. E noi desideriamo prepararci all’inizio del terzo millennio a quella Venuta e al millennio della diocesi di Cracovia. Ci prepariamo dunque assieme a colei che è stata preparata nel modo più perfetto dallo Spirito Santo, e colei che costantemente prepara a questo tutti noi.

Su questo tema sappiamo molto dalle nostre esperienze polacche: quelle antiche e quelle dei nostri giorni. Nel territorio della vostra provincia ecclesiastica si trova Jasna Gora e inoltre tanti altri santuari mariani di raggio più vicino, basti nominare Kalwaria Zebrzydowska, Piekary, Tuchów, oppure Limanowa o Wislica.

Maria ci “precede” tutti nella peregrinazione mediante la fede. Coloro che, in questa peregrinazione, la seguono nel modo più coraggioso, realizzano in sé in modo particolare la vocazione alla santità. Ricordiamo i santi e i beati della nostra regione sin dalle lontanissime date della storia comune, ci rallegriamo perché anche in questo secolo questa vocazione produce nuovi frutti. Penso in particolare alla beata Karolina della diocesi di Tarnów.

Maria “precede” tutti nel pellegrinaggio della fede, della speranza, dell’unione con Cristo. Che questa sua guida materna continui tra le generazioni che entrano nel nuovo millennio, e oltre!

Il periodo del millennio ha lasciato un enorme patrimonio “mariano”, che bisogna costantemente assimilare, continuare, rinnovare.

Cristo-Eucaristia, Cristo che “amò sino alla fine”, desidera che ci avviciniamo a lui tramite Maria. È infatti lei a ripetere costantemente a tutti e a ciascuno - così come a Cana - “fate quello che vi dirà”.

Benedicendo di cuore tutta la metropolia e ogni diocesi singolarmente, i pastori, i presbiteri, le famiglie religiose maschili e femminili, e tutti coloro che formano codesta Chiesa, vi prego di unirvi a me per impartire insieme la stessa benedizione alla fine della recita dell’“Angelus Domini”.

 

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