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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AD UN  CONVEGNO PASTORALE
SUI PROBLEMI DEL LAVORO

Venerdì, 20 novembre 1987

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio affettuoso saluto a tutti voi, delegati delle diocesi italiane e delle associazioni cristiane, che vi siete riuniti a Roma per il Convegno pastorale sul tema “Uomini, nuove tecnologie, solidarietà: il servizio della Chiesa italiana”, con il proposito di dare attuazione al documento della CEI su “Chiesa e lavoratori nel cambiamento”, pubblicato il 17 gennaio scorso in occasione dell’incontro promosso per il quinto anniversario della Laborem Exercens.

L’Anno mariano, che questa mattina avete onorato con una speciale celebrazione nella basilica di Santa Maria Maggiore, propone alla nostra venerazione la Madre del Redentore, che della Chiesa è come “figura nella fede, nella speranza e nella carità” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris Mater, 2). La propone nella prospettiva dell’anno duemila e di tutta la problematica sociale e storica che con esso avanza.

Il vostro Convegno segue a brevissima distanza il Sinodo dei vescovi, che ha offerto alla Chiesa la grazia di un’approfondita e corale riflessione sulla vocazione e missione dei fedeli laici, chiamati, come non mai in altri tempi, a testimonianze solide e generose in una fase della storia densa di complessi e radicali cambiamenti.

In tale prospettiva, la decisione di promuovere questo Convegno merita particolare apprezzamento perché, attraverso lo sforzo di comprensione dei fenomeni specifici della nuova società post-industriale e dell’informazione, intende da una parte fornire un contributo originale alla creazione di una cultura del sociale, in cui le tecnologie siano al servizio dell’uomo, e, dall’altra, evangelizzare ogni aspetto della vita sociale e in modo particolare il mondo del lavoro.

2. Con riferimento al cambiamento sociale in atto, uno dei punti che maggiormente preoccupano è il progressivo divaricarsi fra loro di due dimensioni del vivere, che dovrebbero invece essere in una costante interazione, vale a dire la dimensione economica e quella etica. Siamo sempre più spesso posti di fronte a fatti e fenomeni sociali, dove l’economia afferma la sua razionalità senza alcun riferimento all’etica. In una visione cristiana delle cose va invece ribadito che l’economia, pur godendo come ogni altro settore specifico dell’agire umano, di una sua relativa autonomia, rimane intrinsecamente legata all’etica, che è misura universale dell’autentico bene umano. Essa quindi, negli obiettivi che si propone e nelle metodologie attraverso le quali li persegue, deve riferirsi costantemente alla norma morale.

Non è certo facile stabilire, in concreto, un rapporto positivo tra economia ed etica, che ne garantisca il comune servizio alla crescita dell’uomo. Con riferimento ai temi affrontati dal vostro Convegno, non si può infatti non tenere presente l’enorme complessità che caratterizza la società odierna, né ignorare le preoccupanti contraddizioni, che in essa emergono: mentre infatti si assiste, da una parte, al prevalere di criteri unicamente economici e di attività rivolte al consumo, viene dall’altra sempre più manifestandosi l’incapacità di conciliare la giusta distribuzione del reddito con la valorizzazione delle prospettive dello sviluppo.

Giunge quindi opportuna questa vostra iniziativa, che intende proporre alla coscienza ecclesiale e civile l’urgente necessità di rifarsi ai valori etico-sociali quale punto di riferimento ineludibile del vario articolarsi dell’attività economica e politica.

Il valore-guida, capace di indicare il giusto orientamento per l’opportuna composizione degli attuali molteplici dinamismi del lavoro umano, inteso nella sua più ampia accezione, oggettiva e soggettiva (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, 5-6), è il valore della solidarietà. Valore profondamente umano, la solidarietà nella prospettiva cristiana acquista uno spessore nuovo e più pieno, fino a potersi proporre quale “espressione unificante della vita cristiana”. La solidarietà è per noi cristiani, in ultima analisi, un’istanza teologale, che ha nella stessa realtà del mistero di comunione del Dio uno e trino il suo fondamento ultimo, la sua radicazione e la sua norma definitiva: essa “traduce efficacemente in pratica gli obblighi della carità evangelica” (Chiesa e lavoratori nel cambiamento, 29.30).

Occorre essere attenti al rischio, sempre possibile, di trasformare la solidarietà in una proclamazione astratta, mentre compito di ogni cristiano è di incarnarla nelle situazioni concrete, così da contribuire alla loro positiva evoluzione.

3. Esistono, in effetti, non pochi problemi che fanno riferimento al rapporto tra economia ed etica e sembrano particolarmente bisognosi di un forte richiamo al valore della solidarietà.

In primo luogo la crescente mondializzazione dei processi economici deve rendere criticamente attenti alle implicazioni del modello di sviluppo adottato. Non è ammissibile un atteggiamento di passiva inerzia di fronte agli effetti perversi, e in definitiva anche economicamente irrazionali, di processi che penalizzano pesantemente il terzo mondo, creando forme sempre più profonde di squilibrio e di disuguaglianza. Va prestata molta attenzione ai costi che derivano dall’impatto di tali processi con l’ambiente naturale e alle ripercussioni che il perseguimento di determinati livelli di produttività finisce per avere sull’equilibrio generale e sullo stesso futuro dell’umanità.

In secondo luogo non possono non preoccupare certe tendenze che, in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa, separano l’efficienza economico-tecnologica dall’efficienza sociale, invece di cercare una loro corretta coniugazione. Nel campo dell’economia è necessario ispirarsi, oltre che a parametri di razionalità economica, anche a criteri etici di solidarietà e di giustizia nella prospettiva del vero bene del singolo e della comunità.

Ciò significa che le esigenze morali e sociali della solidarietà non devono essere recepite solo quali semplici correttivi di un processo di crescita, la cui logica si fonderebbe esclusivamente su considerazioni di ordine economico e tecnico, ma devono essere riguardate come parte integrante dello stesso processo, come dati dai quali non è possibile prescindere.

4. Nell’orizzonte di queste riflessioni va affermata la centralità del lavoro (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, 1-3) nell’organizzazione complessiva del sistema economico. Le nuove tecnologie aprono, sotto questo aspetto, nuove e feconde prospettive, ma determinano anche l’insorgere di problemi inediti, a livello sia occupazionale che di definizione della qualità del lavoro. Il governo complessivo del sistema economico, secondo una logica di solidarietà, non può non tenere nel debito conto l’attività lavorativa, in quanto perno fondamentale del processo di umanizzazione.

Non mi nascondo i complessi interrogativi che si pongono in questa materia e sono consapevole che ad essi vanno offerte risposte equilibrate, che non sottovalutino le giuste esigenze dell’economia. Tuttavia occorre riaffermare il principio secondo cui, rispetto alla pura produttività economica, il primato spetta all’occupazione.

Aggiungo inoltre che, di fronte al dramma di una disoccupazione crescente, il lavoro dovrà essere sempre maggiormente considerato e concepito come un “bene da condividere”: bisognerà perciò immaginare e progressivamente introdurre nuove modalità di distribuzione del lavoro e di condivisione dei suoi frutti.

5. Il discorso non sarebbe completo se non si richiamassero le responsabilità degli uomini politici nella conduzione della vita economica, alla luce soprattutto della crisi che investe il cosiddetto Stato del benessere e le Istituzioni di rappresentanza e di partecipazione. Di fronte alla complessità e irreversibilità degli attuali processi di trasformazione può essere forte la tentazione di abdicare a quei compiti di guida che sono propri dei legittimi garanti del bene comune. Occorre invece “non subirli passivamente, ma tentare con tenacia lungimirante e con creativa sapienza di governare il cambiamento investendo le risorse più preziose di uomini e di mezzi nella ricerca e nel progetto” (Chiesa e lavoratori nel cambiamento, 30).

È quindi urgente che il potere politico riscopra in pieno la sua funzione, che è di creare le condizioni perché l’economia si sviluppi come servizio all’uomo, di orientare sapientemente le scelte economiche verso obiettivi di promozione globale della collettività umana, di farsi prioritariamente carico della tutela dei più deboli, nel quadro di una crescita della società in tutte le sue parti.

6. Da questi pochi accenni, dettati da profonda preoccupazione ma anche da stimolanti prospettive, ben si comprende quali impegni pastorali attendono nel prossimo futuro la Chiesa italiana e i fedeli laici.

Uno di essi sembra primeggiare sugli altri, quello di una riconsiderazione del fatto sociale nella sua globalità, per tentare una nuova comprensione, giungendo così alla formulazione di proposte operative più adeguate.

Per far questo, in una società sempre più ricca di conoscenze ma forse più povera di sapienza, i fedeli laici, immersi nel vissuto quotidiano, devono sentire il dovere di assimilare e diffondere la “conoscenza” della verità sull’uomo e delle esigenze incondizionate che da essa derivano. Infatti “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo . . . Cristo rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22).

La testimonianza, a cui i fedeli laici sono particolarmente chiamati, consiste anzitutto nella scoperta e nell’annuncio del senso teologico e, conseguentemente antropologico del vivere sociale, di quel senso cioè e di quella finalità che Dio stesso vuole e persegue nel suo progetto di salvezza, per ciascun uomo e per l’umanità intera.

Una tale testimonianza trova il suo più sicuro sostegno nella dottrina sociale della Chiesa, come espressione concreta e continuamente aggiornata delle esigenze e delle implicazioni che scaturiscono, nelle diverse situazioni storiche, dalla verità sull’uomo.

Il riferimento alla dottrina sociale cristiana aiuterà in modo particolare nell’elaborazione di una nuova e più autentica cultura del sociale cosicché libertà e corresponsabilità, autonomia e interdipendenza, efficacia e solidarietà siano sapientemente coniugate. Una cultura cristianamente ispirata non potrà non essere “segno di contraddizione” nell’attuale contesto socio-culturale, sempre oscillante, sia nelle sue manifestazioni più specificatamente culturali sia in quelle a carattere economico e politico, tra i due poli dell’individualismo e del collettivismo, superficialmente contrapposti, ma accomunati in fondo dalla mancata percezione della dimensione trascendente della persona umana.

Per proporre efficacemente tale nuova cultura del sociale è necessario che i cristiani sappiano esprimere una più incisiva capacità di inculturare la loro fede nella realtà complessa e in continua trasformazione che costituisce il presente e l’avvenire della società italiana (cf. Ioannis Pauli PP. II, Discorso al Convegno ecclesiale di Loreto, 11 apr. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 989ss.).

In quest’opera di grande respiro hanno un posto di rilievo le associazioni di laici che, consapevoli della propria ricchezza cristiana e quindi della propria originalità irriducibile, devono ritrovare vigore e slancio per scrivere pagine di storia ricche di operosa carità e di rinnovata creatività culturale, sociale e pastorale per il bene della nazione italiana.

7. Colgo volentieri l’occasione di questo incontro per confermarvi il mio apprezzamento e rivolgervi la mia esortazione a perseverare generosamente negli impegni di pastorale sociale e del lavoro ai quali tanto di voi stessi avete già dato e tanto auspico che possiate ancor dare in futuro, per il bene della Chiesa, delle varie categorie di lavoratori e della stessa Nazione. Voglia Dio avvalorare i vostri propositi e rendere fecondi di frutti.

Di questi voti è pegno la benedizione apostolica che di cuore imparto a voi tutti e a quanti nella Chiesa italiana condividono la vostra sollecitudine.

 

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