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VISITA PASTORALE IN EMILIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LE AUTORITÀ E LA CITTADINANZA IN PIAZZA CAVALLI

Piacenza - Sabato, 4 giugno 1988

 

Signor sindaco, autorità, fratelli e sorelle.

1. Dopo aver sorvolato un lungo tratto dell’antica “via Emilia”, già tracciata dai romani per congiungere i luoghi che in certo modo sono l’itinerario del mio viaggio apostolico in questa florida regione della valle Padana, sono particolarmente lieto di essere qui, stasera, con voi in questa storica piazza per rivolgervi il mio saluto cordiale.

Non vi sorprenderete se vi dico che già vi conosco, che già mi siete un poco familiari e che già godete della mia amicizia. Difatti, dentro gli occhi, il cuore, l’intelligenza, i gesti e le parole, ma soprattutto dentro la fedele e discreta dedizione di alcuni vostri nobili concittadini e miei illustri collaboratori - alludo, oltre che al compianto Cardinal Antonio Samorè, ai signori Cardinali Mario Nasalli Rocca, Opilio Rossi, Silvio Oddi e Agostino Casaroli, mio Segretario di Stato, come anche al Nunzio Apostolico in Italia, monsignor Luigi Poggi, e ad altri Presuli ai quali la vostra terra ha dato i natali -, io da tempo ho intravisto i “piacentini” ed ho imparato a stimare questa vostra città.

Grazie dunque, Piacenza. E grazie a tutti voi, per la vostra accoglienza calorosa e gradita.

Un ringraziamento a tutte le autorità: al signor prefetto che mi ha portato i saluti del governo italiano e un ringraziamento particolare al signor sindaco per le elevate e cordiali parole con cui ha voluto delinearmi il volto storico e culturale, nonché i problemi attuali di questa città, ed esprimermi, a nome della cittadinanza intera la gioia per questo incontro e l’attesa per una mia parola.

2. Da parte mia, desidero anzitutto e sinceramente rendere omaggio a questa vostra presenza di popolo unito, pacifico e laborioso, espressione di quello stile di collaborazione nell’ambito di una grande famiglia civile, che distingue la vostra vita associata. Infatti, pur nelle comprensibili difficoltà a coniugare i diversi interessi e le personali divergenze ideologiche, la vita della vostra città e provincia non è stata solo ricca di figure esemplari nel passato, ma lo è anche oggi per l’apporto di cittadini tra i quali la conflittualità sociale non è turbata da eccessi, radicalismi o intolleranze, ma anzi è caratterizzata da mutuo rispetto e da un innato senso della misura e del riserbo.

La tolleranza è un valore morale della vostra cultura, non piccolo e non trascurabile.

Nella mia recente enciclica ho voluto segnalare “come valore positivo e morale la crescente consapevolezza dell’interdipendenza tra gli uomini sentita come sistema determinante di relazioni” (Sollicitudo Rei Socialis, 38). Infatti l’interdipendenza, quando viene riconosciuta e praticata, può portare a scoprire e a dare un nome a quella forma di attuazione del bene comune che è la solidarietà. Sarebbe di grande vantaggio alla vita comunitaria, se oltre alla tolleranza, già così preziosa in un mondo tribolato dalla conflittualità, si ponesse a fondamento del vivere pubblico la categoria morale della solidarietà, che “non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane, ma è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo Rei Socialis, 38).

3. Viaggiando in questi giorni per l’Emilia, una delle regioni più ricche d’Italia, mi torna alla mente la parabola evangelica dell’uomo ricco (cf. Lc 12, 13-21) che è tentato di confidare esclusivamente sui beni che è riuscito a mettersi da parte.

Pur incontrando anche da voi il triste fenomeno della disoccupazione specialmente giovanile ed altre situazioni di disagio sociale, che sono state ricordate nell’intervento del signor sindaco e per le quali esprimo la mia sentita partecipazione, rilevo con piacere che la laboriosità della vostra popolazione, la sua singolare intraprendenza ed efficienza, sono premiate solitamente da buoni livelli di reddito uniti a una forte capacità di risparmio.

Però il benessere e il successo economico, che pur rappresentano un legittimo desiderio dell’uomo, non possono essere aspirazione unica dell’esistenza. L’educazione delle persone e l’edificazione delle famiglie suppongono il riferimento costante a valori trascendenti e ad una cultura che metta sempre la persona prima del lavoro e dei beni materiali.

Questo non può essere interpretato come un invito a rifuggire dalle proprie responsabilità concrete. La Chiesa ricorda con chiarezza il dovere di collaborare allo sviluppo economico del territorio mediante il proprio impegno e gli investimenti per contribuire ad assicurare nuove possibilità di occupazione, oggi e domani, in un luogo per quanto possibile non troppo lontano da casa.

Aveva già detto il Concilio che “danneggiano gravemente il bene comune coloro che tengono inutilizzate le proprie ricchezze” (Gaudium et Spes, 65); e io stesso ho recentemente ricordato che “la collaborazione allo sviluppo di tutto l’uomo è un dovere di tutti verso tutti, e deve, allo stesso tempo, essere comune alle quattro parti del mondo: est e ovest, nord e sud” (Sollicitudo Rei Socialis, 32).

Vigilate perché la vostra laboriosità resti sempre virtù, sia espressione delle vostre capacità e di un giusto impegno per le realtà terrestri, ma non diventi il valore unico o principale della vostra vita. Non accada che, sotto l’influsso di un sistema dominato quasi esclusivamente dalla produttività fine a se stessa, la dedizione al lavoro diventi alienazione e si trasformi in forza distruttiva della persona e della famiglia.

4. La storia di questa città bimillenaria, le cui radici furono all’inizio irrorate dal sangue del martire sant’Antonino, annunciatore tra voi del Vangelo, testimonia l’impegno di persone, che con pari intensità hanno sviluppato i germi della operosità e della fede, della fedeltà alla patria e dell’amore alla Chiesa. Sotto il profilo umano e religioso, il vostro passato remoto e recente, ricco di santi e di cittadini illustri, dimostra che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo piacentino.

Auspico che anche questa mia visita apostolica serva ad incrementare quell’umanesimo cristiano a cui si ispira l’agire della vostra gente. Nessuno s’accontenti di una religiosità fatta di esteriorità, di tradizioni e di pura osservanza, ma la riempia di vera fede cristiana, voluta e coerente. E poiché cristiani non si è mai da soli, non vivete la fede isolatamente, ma nella solidarietà e nel sostegno della comunità cristiana; offrite a vostra volta agli altri il bene della fede che avete ricevuto in dono.

La Chiesa di Piacenza in Sinodo è tra voi a continuare il dialogo di amicizia e di salvezza, a cui il Papa vuol oggi portare il suo contributo.

La speranza e l’augurio di un domani migliore è affidato alla vostra vitalità, alla vostra solidarietà, alla vostra fede.

Il Papa dice a ciascuno di voi: non sopportate di nascondere nell’anonimato e nel silenzio la meraviglia di una vita vissuta in piena umanità: “Non si accende una lucerna per nasconderla sotto il moggio” (Lc 11, 33). Partecipate, accentuate gli scambi, sostenete gli organismi preposti al bene comune, soccorrete chi tra voi e nel mondo è visitato dalla sofferenza.

In questi nobili impegni, vi assista la Madre del Redentore e madre nostra Maria, che dall’alto di questo palazzo gotico vede e “precede” il vostro popolo.

Diletta Piacenza, patria di amici fedeli, vivi in serenità e pace; e che Dio ti accompagni sempre.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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