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VISITA PASTORALE IN EMILIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE COMUNITÀ DELLUNIVERSITÀ,
DELL
’ACCADEMIA MILITARE E DELLE SCUOLE CITTADINE

Modena - Sabato, 4 giugno 1988

 

Illustri docenti!
Cari studenti dell’Università, dell’Accademia Militare, e delle altre scuole di Modena!

1. Vi rivolgo il mio saluto cordiale e il mio vivo ringraziamento per questo incontro così significativo e così importante nel corso del mio pellegrinaggio a Modena. Incontro importante perché mi permette uno scambio di idee sul rapporto educativo e sul cammino verso la maturità, a cui mira la scuola al fine di elevare gli animi ai grandi ideali umani, spirituali e sociali.

Oggi infatti l’educazione e la scienza che la illumina e la sostiene, ossia la pedagogia, sono nobili attività, che acquistano un grande valore per l’uomo e il futuro delle istituzioni, preposte all’elevazione morale e spirituale della gioventù.

Attraverso l’educazione, l’individuo giunge alla capacità di orientarsi alla verità e al bene; approda cioè all’autonomia della sua persona, all’arte d’inserirsi come soggetto d’iniziativa e di cultura nel proprio ambiente, al possesso di quelle virtù umane, morali e religiose, che costituiscono la struttura spirituale dell’uomo maturo.

L’educazione è un atto di carità dell’uomo verso l’uomo: dei genitori verso i figli, degli insegnanti verso gli alunni, degli adulti verso i minori. Gli educatori hanno perciò il dovere di conoscere i processi psicologici delle varie età per adeguare la loro azione alle capacità ricettive e assimilative dei singoli per servire meglio la crescita dei figli o degli alunni.

Per questo gli educatori devono coltivare il proposito di progredire in continuazione assieme agli alunni, di essere modello di vita al fine di favorire una condotta ispirata agli ideali di vita coerente ed impegnata, da essi perseguiti. Anche i discepoli hanno il dovere di cooperare all’azione educativa, esprimendo rispetto e gratitudine per quanti operano nella scuola: sentimenti che sono dovuti dagli alunni per giustizia agli insegnanti, così come dai figli ai genitori. È questo un dovere che tutti i ragazzi devono scoprire, via via che avanzano verso l’età adulta. I docenti introducono gli alunni nella conoscenza della verità e del bene. Essi hanno il compito di restare punto di riferimento dei giovani e devono incrementare le attitudini nascenti, non mortificarle; orientare alle virtù e non ostacolarne il possesso.

2. L’educazione comincia in famiglia. Occorre aiutare i genitori ad acquisire la preparazione necessaria e a trovare il tempo indispensabile per poter educare i figli. Alla Chiesa, come alla società civile, compete il difficile compito di illuminarli sui loro diritti-doveri, inalienabili e insopprimibili.

L’educazione familiare deve muovere bene i primi passi sin dall’infanzia, perché possa poi svolgersi in modo ordinato nella fanciullezza, nella preadolescenza e nell’adolescenza. Ognuna di queste età, infatti, mentre è condizionata dalla precedente, prepara la seguente.

I genitori non bastano, però, da soli a far fronte alle molteplici esigenze educative, rese oggi sempre più complesse. Necessitano di altre istituzioni: la Chiesa, la scuola, i gruppi e le associazioni giovanili.

La scuola è venuta assumendo un’importanza centrale nella società postmoderna, anche perché chiamata a fornire le specializzazioni tecniche e scientifiche necessarie all’esercizio delle varie professioni. Una società protesa al bene dei cittadini favorisce con tutti i mezzi sia la scuola di Stato sia la scuola libera, a garanzia delle libertà democratiche e del pieno soddisfacimento delle necessità presenti e future delle generazioni che salgono.

Compito della scuola è la formazione dell’uomo. Essa perciò deve sviluppare negli alunni capacità di riflessione ed attitudini di pensiero riguardanti non soltanto la scienza, ma anche i valori umani ed etico-religiosi, senza i quali si istruisce, ma non si educa la persona.

Quando la scuola accentua, in forma unilaterale, il momento dell’istruzione a danno di quello dell’educazione, danneggia gli alunni.

Questi hanno il diritto di essere preparati non solo al lavoro e alla professione, bensì anche alla capacità d’interpretare i problemi della società e della storia, della vita personale e collettiva, in responsabile autonomia di giudizio.

Ciò vale in particolare per la scuola cattolica, che ha Cristo come fondamento del suo progetto educativo. Essa deve quindi aiutare gli alunni a trovare nella persona, nell’opera e nelle parole di Cristo la pienezza dei valori indispensabili per la loro formazione integrale.

3. La scuola deve assolvere anzitutto ai compiti dell’istruzione obbligatoria: un arco di tempo che, in Italia, si estende dai sei ai quattordici anni. È un periodo importante, nel quale i fanciulli e i preadolescenti s’incontrano con gli insegnanti, maestri e professori, per apprendere i beni essenziali della cultura, necessari per inserirsi nella società. Insieme, fanno un cammino delicato, ma proficuo, in cui i docenti, attraverso un impegno e una riflessione che non hanno mai fine, si fanno guida sapiente e paziente degli alunni.

In questo periodo s’incontrano due libertà: quella matura degli insegnanti e quella in via di formazione dei discepoli. Esse devono dialogare ed intendersi, superando le difficoltà reciproche per raggiungere una sintonia di intenti e di propositi. L’autorità dell’adulto, che gli deriva dai valori che impersona, è un’autorità di servizio, che sa gradualmente ritirarsi a mano a mano che il soggetto interiorizza quei contenuti, che il docente gli va presentando.

La libertà dell’alunno, per rafforzarsi ad accrescersi, necessita dell’azione liberatrice dell’educatore, senza la quale non progredisce a quei livelli di sufficiente maturità, a cui dovrebbe giungere. Tra autorità e libertà non esiste, quindi, un rapporto necessariamente conflittuale. Se esso esplode, significa che l’una o l’altra sono degenerate in autoritarismo o in libertarismo, che ostacolano qualsiasi progresso educativo.

La scuola rende più efficace il proprio lavoro formativo con la collaborazione della famiglia attraverso idonei organismi, in ordine soprattutto ai contenuti essenziali del progetto educativo. Occorre che genitori e insegnanti s’incontrino e imparino a dialogare nel supremo interesse dei figli o alunni. Bisogna capire il rapporto scuola-famiglia nelle sue istanze profonde, difenderlo dalle possibili deviazioni, rafforzarlo nelle motivazioni formatrici e renderlo efficace negli esiti concreti.

4. Alla scuola dell’obbligo fa seguito quella dell’adolescente, la quale avvia ad un lavoro qualificato o prepara agli studi universitari.

A questa età, meglio che in quelle precedenti, si coglie il valore della presenza dell’adulto come punto di riferimento per l’alunno.

L’adolescente, infatti, matura tutte le capacità della sua intelligenza: si fa riflessivo, scopre il mistero della persona, coglie la problematicità della sua esistenza, si accorge delle tensioni esistenti nella società, prende consapevolezza della provvisorietà della propria vita, si rapporta a Dio in termini più personali, diventa capace di progetto e imposta un’azione sistematica per attuarlo, intuisce le meraviglie del mondo interiore. Ogni azione educativa, quindi, comporta anche la conoscenza dei valori religiosi e morali, che sono fondamento essenziale della crescita umana.

L’adolescente si affaccia così stupito a contemplare la straordinaria ricchezza della vita: ne è meravigliato, ma anche confuso. Per questo, certe sue forme d’insubordinazione e di contestazione nascondono l’incompiutezza e la fragilità della sua età e manifestano la necessità di una guida che sappia comprendere le sue esigenze e rispondere ad esse in modo adeguato.

La scuola richiede pertanto insegnanti capaci d’introdurre gli adolescenti nelle nozioni tecnico-scientifiche delle varie discipline, ma al tempo stesso idonei ad impostare una formazione rispettosa della singolarità della persona e stimolatrice di responsabile e creativa partecipazione.

5. L’adolescente, che continua gli studi, alle soglie della giovinezza entra all’università, in cui s’introduce ai vari campi del sapere, dà vita al proprio progetto professionale, saggia le proprie capacità ed attitudini.

Negli studi universitari i giovani, attraverso il magistero e la testimonianza dei professori, scoprono che la scienza e la cultura sono a servizio dell’uomo. Ricerca e scoperta scientifica, frutto dell’intelligenza umana, devono contribuire a rendere la vita delle persone più sicura e più degna. Tutto infatti è per l’uomo, nulla contro l’uomo: questi è il valore più alto nell’ordine del creato visibile. L’uomo è un fine a cui tutto va sottoposto. Se diventa strumento della scienza, perde la propria dignità, diventa oggetto, si trasforma in cosa nelle mani delle potenze di questo mondo.

Perché i progressi nei vari settori della scienza abbiano sempre come scopo il bene dell’uomo e l’incremento della vita dal concepimento alla morte naturale occorre che siano animati dalla cultura morale. Ciò non significa un limite per l’intelligenza umana, bensì un aiuto perché dal suo interno intraveda ciò che la esalta e la nobilita.

Durante gli studi universitari i giovani vanno formati a capire che oltre le verità scientifiche, razionalmente descritte e comprovate, ve ne sono altre di ordine morale e religioso alle quali l’uomo è chiamato ugualmente ad aprirsi con la sua intelligenza. Sono gli stessi professori che, con la loro maturità culturale, possono essere di valido aiuto ai giovani nella progressiva scoperta della consonanza che esiste tra gli assiomi della scienza e quelli della religione.

In tal modo, i giovani apprenderanno, con grande loro vantaggio, che scienza e fede sono due universi tra i quali sussiste, pur nella diversità, un’armonia profonda, feconda di stimoli per l’una e per l’altra, apportatrice di luce per la cultura e di sostegno per l’uomo nella vita quotidiana.

Illustri docenti e cari studenti!

Vi auguro ogni successo in questa ardua, ma gratificante ricerca della verità. Non vi scoraggino le difficoltà e non vi arrestino le incomprensioni. Non disperate mai della verità: continuate a cercare, se ancora non l’avete trovata. Il raggiungimento del traguardo compenserà largamente la fatica del cammino. Da parte mia, prego Iddio perché vi sia largo di luce e di sostegno e vi conceda la gioia della verità, il “gaudium de veritate”, di cui parlava Agostino: di quella verità che trova la sua pienezza in Cristo.

Accompagno questi miei pensieri e questi miei voti con la mia benedicente invocazione al Signore, perché assista e conforti il vostro impegno.


Al termine del discorso rivolto ai Docenti dell’Università di Modena, ai presidi delle scuole medie superiori, agli insegnanti e studenti ed agli allievi dell’Accademia Militare di Modena nella chiesa di Sant’Agostino il Santo Padre improvvisa queste parole.  

Vorrei fare un’osservazione: avete scelto molto bene l’ambiente in cui si svolge questo incontro. Si tratta della chiesa di sant’Agostino. Il santo patrono, sant’Agostino, certamente dice tanto non soltanto agli scienziati della filosofia e della teologia, ma a tutti i rappresentanti della cultura e non solamente ai cristiani ma anche agli altri, perché, certamente, egli era un genio, un genio dell’intelletto, della conoscenza, ma nello stesso tempo un genio dell’amore. Queste due forze costituiscono l’insieme dell’uomo, della sua personale struttura, della sua trascendenza, della necessità quasi innata, o connaturale, alla umanità di andare fuori, di trascendere cioè se stessa; e fuori vuole dire andare verso la verità, andare verso il bene ed ancora verso l’uno e altro nel senso di ricerca dell’Assoluto. Tutto questo appartiene alle “scoperte” di sant’Agostino, come anche della tradizione filosofico-teologica cristiana in genere. Se si prende in considerazione tutto ciò allora si vede facilmente che l’uomo non può essere, definito in altri termini da quelli con i quali è luminosamente definito nel libro della Genesi: “Fu creato ad immagine e somiglianza di Dio”. L’uomo non si spiega altrimenti, si spiega soltanto con queste categorie.

Vi auguro sempre più, seguendo altre indicazioni di sant’Agostino, di avere quell’inquietudine creativa: “Cognoscere te, cognoscere me”.

Queste due conoscenze, queste due inquietudini, questo “inquietum cor”, tanto caratterizzante la personalità e la vita del santo, si possono augurare ad ogni uomo. In questa tensione si realizza la nostra vocazione di essere uomo. Si realizza questo essere di più. Viviamo in una civiltà che, in un certo senso, preferisce, privilegia l’avere, l’avere di più; allora ciascuno di noi deve sempre riscoprire in se stesso la necessità di “essere di più”, perché questa è la vera finalità della nostra esistenza umana.

 

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