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VISITA PASTORALE IN EMILIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAGAZZI E AI GIOVANI DELLE SCUOLE MEDIE E SUPERIORI

Duomo di Reggio Emilia - Lunedì, 6 giugno 1988

 

Carissimi giovani e ragazzi, e voi rappresentanti del laicato cattolico di questa Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla.

1. Mentre entravo nel vostro Duomo, mi avete accolto festosamente. Ve ne sono grato. Ho ascoltato attentamente il vostro giovane collega, come pure il rappresentante dei laici, i quali hanno fatto da portavoce a quanto voleva esprimermi il cuore di tutti, un cuore ricolmo di affetto e di attese.

Ecco, con vera gioia ringrazio il Signore di poter essere ora tra voi per ricambiare questi vostri sentimenti e portare, al tempo stesso, la risposta del Redentore all’anelito di vita, che così intensamente pulsa dentro di voi.

Per questo mi è cosa molto grata riflettere con voi - anche se brevemente - su una frase significativa che Gesù rivolse un giorno a quanti avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 31).

2. Come conoscere la verità che Cristo ci ha insegnato, anzi, la verità che è lui stesso, facendone il principio dell’intera esistenza e il fondamento della propria libertà? L’esperienza di studio della maggior parte di voi vi ha portato a scoprire che si impara quando si uniscono, ad una seria applicazione, un atteggiamento aperto, uno spirito attento, una mente disposta ad accogliere quanto l’insegnante comunica o il libro riporta.

Ciò vale ancor più nei confronti di quel maestro di verità che è Cristo e per quel libro di vita che è il suo Vangelo. La conoscenza di Gesù, infatti, non può ridursi ad un livello semplicemente informativo od erudito, ma deve coinvolgere l’intera persona, portandola ad avere in sé “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5). “Rivestito” in questo modo di Cristo (cf. Rm 13, 14; Gal 3, 27), ciascuno di voi può sperimentare in sé e vivere la libertà di cui Cristo stesso gli ha fatto dono (cf. Gal 5, 1).

Ma perché ciò avvenga, è necessario che vi poniate stabilmente e diligentemente al seguito di Gesù, camminando con lui come fecero gli apostoli. Allora il redentore, maestro e amico unico, darà anche a voi “la grazia e la verità” (Gv 1, 17), consentendovi di passare dalla legge del timore a quella dell’amore, che è propria dei figli. Lontano da Gesù si è solamente creature davanti a Dio, creatore inaccessibile. Accanto a Gesù siamo figli davanti al Padre, che, se ha voluto bene all’uomo quando vagava per strade sbagliate, ancor più lo ama ora che percorre la via indicata dal Figlio suo.

3. Commentando la frase evangelica, che ho citato all’inizio, san Tommaso d’Aquino richiama il fatto che il servo di casa non può dimorare per sempre in essa, perché la condizione in cui versa è di per sé precaria e transitoria. Il figlio, invece, è a casa sua stabilmente (cf. S. Thomae “In Ev. B. Ioannis Expositio”, can. VIII, 1. IV), e sempre viene accolto, quando ha errato e torna pentito dal Padre di ogni misericordia.

La legge della carità è una legge di libertà (cf. S. Augustini “Epist. 167”, 6, 19), perché illumina mente e cuore, che sono così in grado di vedere nei comandamenti l’indicazione di ciò che più conviene alla persona, perché ne riflette l’intima essenza e ne appaga le più profonde aspettative. I comandamenti allora non sono più sentiti come una imposizione che viene dall’esterno, ma come un’esigenza che nasce dall’interno, alla quale pertanto la persona si sottomette di buon grado - “liberamente” -, perché sa di poter in tal modo realizzare se stessa in pienezza.

Voi potete quindi capire, cari ragazzi, che la libertà è, sì, un diritto umano irrinunciabile e basilare, ma che essa non è caratterizzata dal potere di scegliere il male, ma dalla possibilità di fare responsabilmente il bene, riconosciuto e desiderato come tale.

Cristo ci libera, rendendoci capaci di tale scelta positiva con la forza della sua grazia, egli scioglie l’oscurità dell’errore, sconfigge la paura della rinuncia, toglie la servitù del male, rende capaci di abnegazione e di tenace impegno nel cammino verso Dio, fonte di inalterabile pace.

4. Per questo mi rivolgo a voi, giovani e ragazzi, ed anche a voi, genitori, insegnanti, educatori, a voi animatori e responsabili delle organizzazioni cattoliche, per proporvi, con la forza del grande affetto che vi porto, di accogliere senza riserve Cristo, verità luminosa che libera, e per esortarvi ad un’assidua familiarità con lui. La fraterna consuetudine con Gesù, vissuta nella preghiera e nella frequenza ai sacramenti, stimola a muovere i propri passi su quel cammino spirituale, che la Tradizione della Chiesa indica con i consigli evangelici della povertà, della castità e dell’obbedienza e che, guardato in profondità, è cammino di liberazione, rispettivamente, dalla schiavitù delle cose, dalle bramosie della carne, dalla prepotenza dell’io.

Appare chiaro, così, che i consigli evangelici, grazie ai quali ci si avvia su tale cammino, sono come atteggiamento interiore, una proposta offerta a tutti; come linea ascetica, un’indicazione particolarmente necessaria ai giovani, che vogliono prepararsi seriamente al matrimonio e alla vita di famiglia; come stato di vita, costituiscono la condizione di chi, rispondendo alla vocazione del Signore, vuole raggiungere la piena libertà di spirito e consacrarsi totalmente al servizio di Dio e dei fratelli.

Come vedete, carissimi, i tre consigli evangelici segnano una pedagogia, che conduce alla maturità cristiana. Vivendo in spirito di povertà, castità e obbedienza, voi, con l’aiuto dei genitori e degli educatori, plasmate in voi stessi una personalità salda, capace di rispondere con sempre maggior sicurezza alla propria vocazione, al compito per cui Dio interpella ciascuno.

Dico pertanto agli adulti, genitori ed insegnanti: accompagnate figli ed alunni alla scoperta della volontà divina con l’esempio unito alla parola affettuosa ed al rispetto, così da favorire la loro decisione, senza imporla. Voi, giovani, vivete la scelta vocazionale non tanto e non solo come problema di inserimento nella società e nella Chiesa, ma soprattutto come risposta alla predilezione di Cristo, che non ha esitato minimamente ad offrire la vita in favore vostro e dell’intera umanità e vi predilige a tal punto da chiedervi di essere suoi collaboratori, ciascuno in un suo ruolo specifico, tutti restando però nell’alveo del suo unico amore.

A voi, rappresentanti ed esponenti delle associazioni, organismi e movimenti ecclesiali o di ispirazione cristiana, che, insieme ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formate il tessuto vivo e operoso di questa diocesi protesa nell’impegno dell’evangelizzazione, desidero rivolgere una parola di particolare gratitudine, fiducia e incoraggiamento. Conosco le difficoltà che avete dovuto affrontare e che vi hanno temprato nella fede e nella fedeltà alla Chiesa, conosco la generosità con cui offrite il vostro servizio e date la vostra testimonianza, nella catechesi, nelle iniziative di carità verso i più deboli ed emarginati, nelle istituzioni civili e nella vita culturale. Agite sempre in reciproca armonia e sincera collaborazione, radicati nella connessione ecclesiale, che è connessione con Cristo e attraverso Cristo con Dio Padre.

Nel nome di Cristo, maestro fratello e amico, invito voi tutti qui presenti ad avere il coraggio della generosità, per poter gustare la gioia che scaturisce dal dono. A tutti la mia benedizione!


A conclusione dell’incontro con il mondo della scuola e del laicato cattolico, nel Duomo di Reggio Emilia, il Santo Padre pronuncia le seguenti parole.  

Ecco, permettetemi di fare una piccola sintesi, perché ci troviamo nella Cattedrale di Reggio Emilia e la Cattedrale è sempre un luogo di sintesi, un centro. Questo centro si chiama anche madre: madre delle chiese, madre delle parrocchie, madre delle comunità. Allora, è molto bello che oggi in questa Cattedrale ci siamo incontrati. Ci siamo incontrati con tutta la Chiesa reggiana, specialmente questa Chiesa rappresentata espressamente dall’apostolato: apostolato dei sacerdoti, apostolato delle suore, delle religiose, dei religiosi, e apostolato dei laici. Un punto specifico di questo apostolato è la catechesi e l’educazione, e quindi la scuola.

Devo dirvi che abbiamo cominciato a visitare questa Cattedrale, che è abbastanza ampia, già durante il percorso nelle strade, perché già nelle strade ho incontrato tanti bambini piccoli, grandi, con i genitori, con gli insegnanti, con le suore. E ho dovuto uscire dalla cosiddetta “Papamobile” e camminare accanto alle transenne per salutare tutti. E tutti appartenevano già alla nostra assemblea, come appartengono naturalmente tutti coloro che si trovano sulla piazza, davanti alla Cattedrale. Perché oggi la Cattedrale, essendo, come è, abbastanza vasta, si mostra troppo piccola, insufficiente per dare posto a tutti, a tutti gli appartenenti a quella comunità della Chiesa che cammina soprattutto nell’opera della educazione cristiana, della educazione evangelica.

Voglio notare alcuni piccoli fatti, gesti, parole. Un ragazzo, all’entrata della Basilica, mi ha detto: mi benedica perché ho fatto la Cresima. Una parola molto bella, una bella richiesta. Per lui il fatto di essersi recentemente cresimato è un momento della vita, un momento importante. E lo è veramente: è un momento decisivo, in cui noi battezzati, figli di Dio, diventiamo tutti testimoni di Cristo e cominciamo a prendere parte alla sua missione messianica, alla sua missione apostolica, come gli apostoli. E poi parecchie persone mi hanno detto: prega per il nostro parroco perché è ammalato. Si può dire una piccola cosa, ma nello stesso tempo una cosa grande: se i parrocchiani pensano in questo momento al loro parroco, si sentono uniti a lui e condividono anche la sua situazione di salute o di malattia, è una bella cosa, una espressione di quello che è Chiesa. Perché la Chiesa è la comunione. E comunione vuol dire partecipare alla vita di un altro, così come Gesù ci ha lasciato la sua vita, se stesso, e ci ha fatto partecipi della sua vita. Così ci ha invitato a partecipare anche noi mutuamente, reciprocamente alle nostre vite, alle nostre preoccupazioni, alle nostre gioie, alle nostre tristezze. Una piccola parola così eloquente.

Così ci troviamo dentro la Basilica. Ho cercato di salutare, anzi di abbracciare, di dare la mano alle persone della prima fila, della seconda fila, ma c’erano tante altre persone fino alle pareti. Ho incontrato anche un piccolo gruppo di miei connazionali. Lo dico perché la città di Reggio Emilia è rimasta nella storia della Polonia attraverso un inno, un canto che è diventato inno nazionale, composto qui da un colonnello polacco nell’epoca prenapoleonica.

Così siamo entrati fino al centro della Basilica dove sta Gesù, e io ho pregato brevemente, e tutti si sono messi in silenzio, in preghiera. Era l’espressione della vostra comunione, della vostra partecipazione. Il momento centrale della Chiesa è sempre lui, Gesù Cristo Eucaristia. Lui fa la Chiesa dappertutto il mondo. Poi abbiamo sentito le allocuzioni di un giovane, della presidente dell’Azione Cattolica diocesana, la mia risposta, la mia meditazione. Adesso ci avviciniamo al momento di lasciare la Cattedrale, ma voglio farlo passando sull’altro lato . . . Per essere anche fedele ad un principio della giustizia, la giustizia distributiva . . . Così cerchiamo di onorare la Cattedrale, che deve essere una sintesi della vita umana in Cristo, della vita cristiana. Quindi deve essere anche segnata, marcata dagli elementi della giustizia, ma soprattutto dall’amore. Voglio dire questo e lasciare questo nelle mani del vostro Vescovo carissimo, perché la Cattedrale, il duomo è la sua chiesa. Questa chiesa centro, questa chiesa madre delle altre chiese, delle altre comunità, di tutta l’assemblea dei credenti è la sua chiesa, la chiesa del Vescovo. E lui la conosce, perché la sua vocazione specifica è quella di conoscere più profondamente il mistero di questa chiesa, chiesa che è madre e maestra di tutte chiese.

Così ringraziamo il Signore per questa occasione che ci ha dato oggi di incontrarci nella Cattedrale per riflettere sulla importanza della catechesi, della educazione cattolica, dell’apostolato dei laici, e poi di fare anche una sintesi di quello che è la Chiesa attraverso la Cattedrale. Perché la Cattedrale è un monumento d’arte, è un edificio che nella sua costituzione, diciamo “fisica”, è un oggetto. Ma questo oggetto è anche un grande simbolo: pur essendo un oggetto morto - le pietre sono morte - è un simbolo della vita. Allora volevo riflettere, trovandomi qui, come è accaduto tante volte nella mia vita, in una Cattedrale, sul mistero della Cattedrale, di quella vita di cui la Cattedrale, la chiesa del Vescovo è sempre il grande simbolo. E auguro a questa chiesa, centro e madre di tutte le chiese della vostra diocesi di Reggio Emilia, di essere sempre più madre e maestra, di essere una madre feconda, feconda nel senso proprio della sua maternità, che è una maternità spirituale; di essere feconda spiritualmente, generando i figli e le figlie alla vita nuova, alla vita soprannaturale, alla vita in Cristo Gesù, generandoli, lasciandoli maturare, lasciandoli maturare fino alle vocazioni personali.

Certamente un segno della fecondità spirituale della Chiesa, della Chiesa cattedrale, della Chiesa locale, di tutta la Chiesa, sono le vocazioni. Vocazioni alla santità nella vita coniugale, nella vita dei laici, ma nello stesso tempo nella vita sacerdotale, religiosa, perché tutte queste sono le componenti indispensabili per creare questa compagine evangelica di un corpo, del corpo di Cristo. Nel corpo di Cristo devono essere presenti tutte queste vocazioni, perché come diversi organi fanno la vita del corpo, così queste vocazioni, anche la vocazione religiosa e naturalmente la vocazione dei laici, dei genitori, dei giovani, degli insegnanti, fanno la vita del corpo che è la Chiesa diocesana, ma questa Chiesa diocesana è anche una rappresentanza di quello che è la Chiesa universale, nella sua universalità. Vi ringrazio ancora una volta. Il Signore vi benedica tutti.

 

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